La pandemia ha messo in crisi anche la Procreazione Medicalmente Assistita

La pandemia blocca anche la natalità. Gli ultimi dati Istat sembrano registrare, contrariamente alle aspettative di una forzata convivenza, un sensibile calo delle nascite. Più colpite le coppie con problemi di infertilità, costrette a sospendere i trattamenti di fecondazione assistita, quantomeno nel periodo marzo-maggio 2020 e fino alla riapertura dei centri specialistici. Eventi che hanno determinato e motivato diverse reazioni psico-emotive: «Abbiamo osservato reazioni di forte rabbia – ha spiegato Federica Faustini, psicoterapeuta e responsabile dell’area Psicologia del Centro B-Woman per la salute della donna – in seguito all’annullamento del trattamento di PMA, considerato come una violazione dei diritti riproduttivi, mentre coppie con storie di infertilità più lunga hanno vissuto la chiusura dei Centri di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) come una “compromissione” definitiva alla loro possibilità riproduttiva, a causa di un ulteriore deterioramento della riserva ovarica». Tutte le coppie durante il lockdown erano accomunate da un senso di impotenza di fronte all’annullamento del trattamento, indipendente dalla loro volontà, tanto che molte di loro avrebbero comunque continuato le terapie, se fosse stato possibile. Eventi dal forte carico emotivo su cui ha inciso sensibilmente anche lo stress dopo la riapertura dei Centri: l’adozione di misure precauzionali di distanziamento sociale hanno costretto molte coppie a separarsi durante le visite mediche e i trattamenti. «Anche le relazioni sociali – continua l’esperta – hanno incrementato il disagio emotivo pre-esistente: ad esempio, il valore del tempo così importante per le coppie infertili, è stato poco compreso da amici e parenti che l’hanno considerato meno importante a fronte della chiusura dei centri di PMA quale scelta più sicura».

Ancora, lo scarso supporto psicologico offerto dai Centri e la poca comprensione da parte delle propria rete di relazioni hanno alimentato il senso di solitudine delle coppie. Anche i social sono venuti meno al loro ruolo solidale: «In un momento di isolamento forzato e di mancanza dei propri punti di fuga – precisa Faustini – i social hanno rappresentato l’unica occasione di evasione e di connessione per gran parte della popolazione. Durante il primo lockdown abbiamo però assistito all’enfatizzazione di immagini, foto, storie e scene di menage familiare, momenti di condivisione tra cucina, giochi, passatempi che hanno comportato in molte coppie infertili un maggior senso di esclusione». Senza contare il costo economico della PMA che ha costretto diverse coppie, per via della crisi, a chiedere prestiti alle proprie famiglie per poter sostenere i trattamenti. Un punto di forza per loro, a differenza di altre realtà coniugali, è stata la relazione di coppia. I percorsi di PMA in condizioni di normalità sono spesso vissuti con reazioni emotive molto differenti: la donna in prima linea, sentendosi unica responsabile del progetto generativo, e uomini che a volte vengono percepiti poco partecipi e interessati. «Il percorso viene così frequentemente vissuto come una corsa contro il tempo, come un compito da assolvere. La convivenza forzata – conclude la psicoterapeuta – i ritmi più lenti, per molte coppie sono stati positivi: hanno consentito maggiore comunicazione, condivisione e intimità, aiutando a controbilanciare il senso di incertezza e di solitudine di questo durissimo momento storico».

Francesca Morelli

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