«Il 2 luglio 2020 è una data che non dimenticherò mai. Quelle macchioline con contorno sfumato che avevano trovato a mia moglie durante un’ecografia ci davano preoccupazione, ma non avremmo immaginato tutto quello che sarebbe successo dopo l’esito della biopsia. Erano giorni che non dormivamo serenamente, ci eravamo detti: saranno noduli che aspireranno, non pensiamo al peggio. Nello stesso ospedale, pochi giorni prima, ci avevano comunicato che a suo padre rimaneva poco da vivere e quel 2 luglio eravamo in un ambulatorio con lei impietrita davanti alla dottoressa che ci comunicava la diagnosi. In quel momento avevo visto che Francesca ormai non ascoltava più, la conosco da 20 anni… mi aveva stretto forte la mano dicendomi: “vai avanti tu ad ascoltare”. Ci stavano spiegando che il percorso sarebbe stato lungo, difficile, con speranze ma poche certezze. Chemioterapia, mastectomia totale con dissezione ascellare, radioterapia e immunoterapia. Vagavamo persi per quel reparto ospedaliero dove si incontrano altre persone deboli, con il viso scavato e segnate dalla malattia; lo stesso ospedale che per due volte ci ha regalato la gioia più grande con la nascita dei nostri figli. Lo stesso ospedale che due anni prima mi aveva ridato una seconda vita, dopo aver superato con successo un’emorragia cerebrale mentre lei era incinta della nostra secondogenita. Stavolta era tutto diverso, ci aspettava un inferno! Il suo pensiero era come comunicarlo a sua mamma che da lì a poco avrebbe perso il marito, ai nostri due bambini di 6 e 1 anno e mezzo. Il 7 luglio morì suo padre e il 9 luglio ci fu il funerale, lo stesso giorno della Tac per verificare la presenza di metastasi. L’inferno era iniziato. Ricordo ancora una sera in cucina con i nostri bimbi…Gaia era piccolina e non poteva comprendere la situazione. A Tommy invece abbiamo comunicato la malattia della mamma: gli abbiamo raccontato che ogni volta che la mamma andava in ospedale le iniettavano tanti piccoli soldatini, che sparavano a queste cellule cattive e le combattevano. Lui faceva un sacco di domande: “oggi i soldatini quante cellule ti hanno ammazzato?”, “ma sono i soldatini che ti hanno fatto i buchi nel braccio?” Il cambiamento di Francy era impietoso e angosciante: la testa completamente calva, il corpo esile, i suoi bellissimi occhi erano diventati spenti e tristi, non era più lei; ed io, neppure. Ma l’amavo incondizionatamente, le lacrime scendevano, la fatica fisica e mentale era quotidianamente devastante; il cancro ci stava togliendo tanto, ma facevo di tutto per farla sentire ancora donna, mamma, moglie. L’amore, il nostro amore, quello continuava ed essere sempre vivo, è quello ci ha dato la forza per attraversare l’inferno. A distanza di 2 anni Francy ha ritrovato il sorriso, i capelli stanno ricrescendo, ha una forza incredibile, ogni 6 mesi fa i suoi controlli; rimaniamo con il fiato sospeso per qualche giorno e poi ci abbracciamo quando ci comunicano l’esito favorevole. La strada è ancora lunga, ma va affrontata con fiducia, coraggio e pazienza. E i soldatini…quelli ci sono sempre, nella scatola dei giochi di Tommy, ogni tanto lui li toglie dalla scatola, li mette tutti in fila e con molta dolcezza racconta la storia della mamma alla piccola Gaia».
Il racconto “Soldatini” di Luca Locatelli è la storia che ha vinto la sesta edizione del Premio letterario #afiancodelcoraggio, promosso da Roche Italia per dare voce ai racconti della malattia oncologica delle donne attraverso la lente narrativa dei caregiver uomini. A dimostrazione che ci sono uomini veri e autentici che amano le proprie donne incondizionatamente, anche a dispetto di una malattia devastante come un tumore. Un messaggio di ottimismo che rincuora, in occasione della imminente Giornata contro la violenza alle donne (25 novembre) e dà speranza, in contrapposizione ai recenti fatti di cronaca di femminicidi, di cui abbiamo parlato anche nel nostro portale. Da questo racconto, premiato da una qualificata giuria, presieduta da Gianni Letta, è stato prodotto l’omonimo cortometraggio, con la sceneggiatura di Marika Tassone, studentessa del corso “Creare storie” promosso da Anica Academy ETS che sarà diffuso nei circuiti televisivi e cinematografici, partner dell’iniziativa, tra cui appunto Anica Academy ETS, Massimo Ferrero Cinemas, Mediaset, Iris, La 5, Medusa, MP Film, Radiomediaset, The Space Cinema.
«È stata un’esperienza davvero dura la diagnosi di un tumore al seno», conferma Francesca, moglie del vincitore, non nascondendo una profonda commozione, durante la cerimonia di premiazione che si è tenuta a Roma, con il patrocinio della RAI. «Ma la presenza premurosa e incoraggiante di mio marito mi ha aiutato a superare questo inferno. Anche perché la mia diagnosi di tumore al seno era avvenuta pochi giorni prima della morte di mio padre. Sono convinta che un supporto psicologico sia indispensabile in queste circostanze. Ed io ho avuto la fortuna di avere uno “psicologo” accanto a me, che mi conosceva come nessun altro al mondo. Ricordo il mio primo anno di malattia in cui ho vissuto come fossi in una “bolla”, affrontando le chemioterapie e l’intervento di mastectomia con forza e determinazione. Ma poi subentravano giorni di rabbia e angoscia perché avevo i valori sballati e non riuscivo a fare la chemio. E vivevo questi momenti come una sconfitta. Ma mio marito mi mostrava sempre la faccia positiva della medaglia e mi incoraggiava. Dopo diversi mesi di chemioterapia, dal 23 luglio 2020 al 14 dicembre, sono stata operata e ho subito una mastectomia totale a gennaio 2021, nel pieno dell’isolamento da Covid. Ricordo che tra i vaccini contro il Covid, la chemioterapia e l’immunoterapia, a cui in seguito ho dovuto sottopormi, mi sentivo una sorta di donna bionica… Cosa consigliare a chi si trova nelle mie stesse condizioni? Prendere di petto la malattia e non farsi sopraffare; non perdersi mai d’animo ed essere coraggiose e fiduciose di intraprendere questo viaggio, che può rivelarsi lungo e difficoltoso, ma prima o poi finisce. E a volte la malattia ti apre addirittura nuovi orizzonti e ti fa vivere con maggiore intensità la vita, soprattutto quando si è circondati dall’affetto dei propri cari!».
L’importanza dei caregiver
Secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, in Italia il 65% dei caregiver familiari sono donne, di età compresa tra i 45 e i 55 anni, che spesso svolgono anche un lavoro fuori casa o sono costrette ad abbandonarlo (nel 60% dei casi). Alcuni studi hanno mostrato come l’esperienza di cura non sia neutrale dal punto di vista del genere. Dalle storie di #afiancodelcoraggio affiora che gli uomini nel ruolo di caregiver si adeguano al modello sociale di genere che richiede loro forza, controllo, distacco e protezione e in cui prevale un’empatia controllata. In più di un terzo delle storie (38%), il caregiver afferma di aver esercitato un controllo deliberato sulle proprie emozioni, nascondendole o vivendole in solitudine. In realtà il 64% degli uomini caregiver prova una grande preoccupazione, il 58% paura e il 54% addirittura disperazione. Riesce però a mascherare questi sentimenti nell’accompagnamento della donna malata, ma al tempo stesso mette in atto atteggiamenti di isolamento per nascondere questi stati d’animo.
«L’analisi delle 50 storie presentate in occasione di questa sesta edizione, fa emergere la valenza articolata del progetto #afiancodelcoraggio, che ha rappresentato un’azione di ascolto, e nello stesso tempo, ha offerto ai caregiver uno spazio narrativo protetto che ha consentito di condividere vissuti ed emozioni che raramente hanno modo di esprimere», ha commentato la dottoressa Cristina Cenci, senior partner di Eikon Strategic Consulting, in occasione della premiazione. «Essere sostegno senza sostenersi a propria volta, è un compito difficile che può portare a situazioni di forte disagio. Per essere efficace come caregiver, l’uomo tende a rendere invisibile agli altri la sua sofferenza che, in un circolo negativo, si traduce in solitudine e isolamento. La maschera di genere da risorsa rischia di trasformarsi a sua volta in problema. Per questo sarebbe importante il supporto di personale psicologco in tutti i reparti di oncologia, anche per i caregiver».
di Paola Trombetta