Giovani: una bevuta tira l’altra e il danno è fatto

Falò in spiaggia, serate con gli amici, nottate in discoteca: sono tra i passatempi più graditi dei giovani in vacanza, che spesso non calcolano gli effetti collaterali delle ore piccole. Comprese le bevute, che finiscono con un abuso di alcool e di superalcolici in generale. Un rischio non soltanto per l’ubriacatura, un evento che ha effetti passeggeri, ma per la salute se l’abitudine continua nel tempo, con serie conseguenze soprattutto per il fegato. «L’alcool non è un nutriente – spiega la dottoressa Raffaella Romeo, responsabile del Servizio di Epatologia dell’Istituto Auxologico di Milano, in occasione dell’evento “Prendersi cura dell’adolescente: partiamo dalla comunicazione” – né le bevande alcoliche sono alimenti. Sono invece sostanze estremamente caloriche, tanto che basta sospendere il loro consumo (chi è a dieta lo sa) per iniziare subito a perdere peso». Accade così che ragazzi iniziati all’alcool, vedendo salire l’ago della bilancia a causa dell’eccessiva quantità di calorie liquide introiettate, rinuncino al cibo, un nutriente sano, per poter continuare a intossicarsi di alcool. Perché questo è il risultato finale, con intensità dipendente dalla gradazione alcolica, cioè dalla quantità di etanolo presente in ciascuna bevanda: più bassa nella birra, più elevata nel vino bianco o rosso, elevatissima nei superalcolici. «Dunque – aggiunge la dottoressa – bere una birra o un bicchiere di whisky, non è la stessa cosa. Né sono uguali gli effetti alcolici che possono andare, con quantità basse di alcool in corpo, dallo stato di ebbrezza, con esiti di blanda euforia, allegria, difficoltà di movimento e di parola, rallentata capacità di elaborazione mentale, tristezza e apatia, a stati di ubriachezza accompagnati da tachicardia, andamento barcollante, disturbi di equilibrio, eloquio poco comprensibile, ubriachezza profonda, allucinazione, confusione mentale via via che le quantità di etanolo aumentano, fino all’alcolemia – ultimo stadio dell’ubriacatura – che nella peggiori delle ipotesi può richiedere il trapianto di fegato o portare al coma e alla morte».

Indispensabile per non correre rischi e danni irreversibili, anche durante le serate estive, è il rispetto delle unità alcoliche tollerate dall’organismo. «Una unità – fa notare la Romeo – corrisponde a 1 bicchiere/boccale di birra medio, o a un bicchiere di vino di 12° circa, o a un aperitivo di 18° C o a un bicchiere di liquori a 40° circa, di cui ciascuna apporta 12 grammi di alcool nel sangue». Una soglia alcolica facile da superare: a un uomo adulto basta una dose giornaliera di 40 grammi, pari a 2-3 unità, a una donna 20 grammi, cioè 1-2 unità; quantità che, invece, non sono tollerate da un fisico giovane, sotto i 16 anni: «L’etanolo – aggiunge l’epatologa – viene metabolizzato attraverso uno specifico enzima e poi immagazzinato nel fegato sotto forma di zuccheri o grassi e in parte eliminato come acqua o anidride carbonica. Si tratta di un enzima che però inizia a formarsi intorno a 16 anni, giungendo a maturazione verso i 21 anni: bere sotto questa soglia “di sicurezza” fa sì che l’etanolo, non metabolizzato, circoli nel sangue allo stato naturale creando danni epatici importanti come steatosi epatica, cioè il deposito di grasso all’interno del fegato, l’epatite alcolica, che anticipano la cirrosi». Il messaggio è chiaro: l’alcool prima dei 16 anni non dovrebbe essere assunto affatto, in nessuna quantità, in nessuna circostanza, per nessun motivo! Assunto in questa fase giovanile, l’alcool stimola lo sviluppo di dipendenza da sostanze alcoliche, anche da adulto. «Le ripercussioni – precisa la Romeo – si avvertono sia sul fegato sia sull’apparato digerente con possibili casi di reflusso, esofagite, maggiore incidenza di tumori del cavo orale, esofagei e del colon, e danni sensibili del sistema nervoso. Soprattutto sul tono dell’umore, sulla ridotta capacità di attenzione e carente memoria di lavoro o a breve termine, con problemi cognitivi progressivi importanti e irreversibili, una volta comparsi».

È allarme fra gli esperti perché l’abitudine all’alcool in Italia fra i giovani sembra essere sempre più precoce e di facile acquisizione. Un’analisi condotta su studenti di 15-16 anni nel nostro Paese e nel resto d’Europa ha attestato che i ragazzi italiani hanno vita facile nel procurarsi o accedere alle bevande alcoliche rispetto a giovani del Nord Europa, area storicamente nota per avere un tasso elevato di giovani bevitori. In particolare in Lombardia il consumo di alcool ha subito un incremento tra il 2011 e 2016, soprattutto tra le femmine, con una predilezione al binge drinking, l’assunzione di grossi quantitativi di alcool (maggiori di 6 unità) in un tempo molto breve, anche in poche ore, utilizzando strategie tra le più pericolose.

Perché i giovani bevono se, come sembra, amano poco o affatto il gusto dell’alcool? Un’indagine condotta nel 2017 dal Laboratorio Adolescenza, in collaborazione con la Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza e dell’Osservatorio Permanente Giovani e Alcool su un vasto campione di giovani e giovanissimi, avrebbe evidenziato che la maggior parte dei ragazzi(ni) inizia a bere a casa, con il placet della famiglia (50%) già a partire dai 10 anni (o prima) in occasione di festività e compleanni, continuando poi l’abitudine fuori casa. Più spesso con gli amici perché bere fa gruppo, fa stare bene con gli altri o fa sentire più grandi, non fa sfigurare con i compagni. Urgono allora ripari, dicono gli esperti, e azioni di sensibilizzazione su più fronti: attraverso la famiglia, educandola a essere meno permissiva e a informare correttamente e consapevolmente i ragazzi sul rischio delle bevute e i danni da alcool;  attraverso il pediatra che da osservatore privilegiato, può notare per primo il passaggio dal bere occasionale a quello abituale; attraverso la scuola che può e deve diventare un interlocutore di conoscenza e consapevolezza al bere responsabile. Per prevenire e non cadere nella rete della dipendenza.

di Francesca Morelli

 

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