DISTURBI ALIMENTARI, UN MALE SEMPRE PIU’ SOCIALE

Per ogni 100 ragazze, in età adolescenziale, all’incirca 10 soffrono di un disturbo alimentare: di queste, 1-2 nella forma più grave – come anoressia e bulimia – mentre le restanti hanno manifestazioni cliniche transitorie o non del tutto conclamate. Sono i risultati, preoccupanti, emersi da un documento pubblicato in questi giorni sul sito del Ministero della Salute, che raccoglie non solo i dati epidemiologi ma anche le raccomandazioni di trattamento e le motivazioni scientifiche delle diverse sfaccettature della problematica. I disturbi alimentari, spiegano gli esperti, meritano la massima attenzione poiché, seppure lentamente, sono in espansione anche fra i maschi assumendo una dimensione sempre più sociale. Occorre dunque, per cercare di arginare il problema, una migliore conoscenza e sensibilizzazione. Con questo intento ne abbiamo parlato con Elisa Giannetta, professoressa ricercatrice presso la Sezione di Fisiopatologia Medica, Endocrinologia e Scienze Alimentari all’Università “Sapienza” di Roma.

 

Quali sono le cause che innescano un rapporto malsano con il cibo?

«I disturbi alimentari, tipici dell’adolescenza, sono spesso sintomo di un malessere interno alla famiglia. Le teorie più accreditate imputano ai genitori una sovrastima del reale fabbisogno di cibo dei loro figli, che divenuto per entrambi il mezzo attraverso cui dare e/o ottenere qualche cosa, perde il significato correlato a un bisogno di salute. Connotazione che si aggrava nel momento in cui il giovane vive le prime esperienze autonome nell’ambiente dove la scuola, lo sport, le amicizie ma soprattutto le fonti mediatiche propongono modelli di bellezza e successo correlati a un determinato aspetto fisico che, se erroneamente percepite o elaborate, possono contribuire a innescare un rapporto malsano con il cibo».

 

Oggi i disturbi alimentari vengono definiti un male sociale. Come mai?

«A parlare sono i numeri che confermano la crescita del fenomeno: una volta quasi esclusivo appannaggio delle ragazze, il problema comincia a insorgere anche fra i maschi. Ma l’attenzione va oggi rivolta alle giovani: ogni anno 8 donne su 100mila, di età compresa tra i 15 e i 24 anni, combattono con problemi alimentari seri che hanno portato a un incremento delle ospedalizzazioni, in taluni casi già sotto ai 15 anni, a volte con esiti nefasti. Essere colpiti da bulimia e BED (Binge Eating Disorder, l’abitudine compulsiva al cibo) in adolescenza si riflette, in età adulta, in un maggiore rischio di sviluppare patologie drammatiche quali obesità, diabete mellito e malattie cardiovascolari che restano tra quelle con un più alto indice di mortalità».

 

Le nuove abitudini alimentari – junk food, OGM – i cibi “dopati” o i cambiamenti dello stile di vita possono avere contribuito alla diffusione del problema?

«Certamente. La perdita del rispetto della stagionalità e della biodiversità dei prodotti di cui sempre più ci alimentiamo, uniti all’offerta di cibi a basso costo, di rapido utilizzo ma di bassa qualità, così come gli OGM, arricchiti di sostanze simil-ormonali, hanno in parte contribuito a incrementare la diffusione dei disturbi alimentari, dando al problema una dimensione sempre più sociale».

 

Quali sono le ripercussioni sulla salute generale, e specificatamente sulla salute di genere, delle “nuove” abitudini e produzioni alimentari?

«Sono, purtroppo, molteplici. Svariati studi hanno dimostrato la potenziale azione cancerogena degli additivi e coloranti – quali E320, E321 ed E319, derivati del petrolio – o la simulazione dell’azione svolta dagli ormoni delle sostanze chimiche di sintesi, utilizzate nei prodotti industriali. La sovraesposizione, in particolare a questo secondo gruppo di sostanze, ha determinato un progressivo aumento di malattie ormono-correlate: alcuni tumori tipicamente femminili (mammella, endometrio, tiroideo), altamente sensibili ai livelli di estrogeni e di alcune patologie maschili (ipospadia, criptorchidismo, infertilità, tumori testicolari). Questo importante risvolto socio-sanitario indica sempre più la necessità di una corretta informazione e programmi di educazione alimentare sul territorio. Perché in fondo la regola valida è sempre una sola: “Mens sana in corpore sano”.

di Francesca Morelli

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