Leucemie, linfomi, mielomi: un tempo queste malattie facevano paura e avevano scarse possibilità di cura. Oggi, grazie ai progressi della ricerca scientifica, le prospettive per i pazienti sono profondamente cambiate: aumentano le possibilità di guarigione e, in molti casi, è possibile convivere a lungo con la malattia mantenendo una buona qualità di vita. In Italia, oltre 500 mila persone convivono con un tumore del sangue e ogni anno si registrano 30 mila nuove diagnosi. Circa 1400 sono bambini tra 0 e 15 anni e 800 gli adolescenti che si ammalano di tumore, in prevalenza di tipo onco-ematologico.
Per approfondire questi argomenti, si è svolto a Roma l’evento “Dalla Ricerca alla Cura: l’azione di AIL nella lotta ai tumori del sangue. Ricerca scientifica, innovazione terapeutica e assistenza ai pazienti”, promosso da AIL in occasione della Giornata Nazionale per la Lotta contro Leucemie, Linfomi e Mieloma (21 giugno) vedi news Rubrica Medicina che ha visto la partecipazione di qualificati esperti, tra cui la dottoressa Angela Mastronuzzi, Presidente AIEOP (Associazione Italiana di Ematologia e Oncologia Pediatrica) e Responsabile Unità di Neuro-Oncologia, Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma.
Quanti sono i bambini colpiti da tumori ematologici e quali i più frequenti?
«Nel nostro Paese, ogni anno, si ammalano di una neoplasia circa 1.400 bambini tra 0 e 15 anni e circa 800 adolescenti; la patologia ematologica oncologica è predominante. Le leucemie sono il tumore più comune nei bambini: contiamo circa 450-500 casi all’anno della forma linfoblastica acuta, in assoluto il tipo più frequente, circa 65-70 di leucemia mieloide acuta e circa 25 casi di sindromi mielodisplastiche. Per quanto riguarda i linfomi, più comuni durante l’adolescenza, si stimano circa 300 casi di tipo Hodgkin e 190 di linfomi non-Hodgkin. La percentuale dei guariti è elevata, con alcune differenze tra le diverse patologie, in linea generale l’80% di chi si ammala in età pediatrica guarisce; il 70 % in età adolescenziale. Naturalmente dipende dal tipo di neoplasia, ad esempio alcune forme di leucemie linfoblastiche guariscono nel 90% dei casi».
Il merito di queste guarigioni dipende molto dai nuovi farmaci che, grazie alla ricerca, sono oggi utilizzati nella clinica. Avete trials clinici specifici in corso? Quali farmaci state utilizzando?
«L’Italia partecipa a numerosi studi clinici, molti dei quali internazionali, sulle malattie onco-ematologiche che colpiscono i bambini e gli adolescenti. In Italia utilizziamo gli stessi protocolli di cura per tutti i centri AIEOP. In questi protocolli stiamo cercando di inserire farmaci sempre meno tossici, per ridurre gli effetti collaterali a lungo termine e migliorare la qualità della vita, più efficaci nell’aumentare la percentuale di guarigione che si ottiene in media nell’80% dei casi. Per fare un esempio, molti protocolli prevedono ancora l’uso delle antracicline, che possono avere un effetto cardio-tossico. Ora si utilizzano farmaci più mirati, che consentono di “modulare” e ridurre l’utilizzo delle antracicline. Tra i nuovi farmaci, gli anticorpi monoclonali bispecifici, utilizzati per le leucemie linfoblastiche acute a cellule B: legano il linfocita T normale, con quello B malato, che viene soppresso. Abbiamo anche altri anticorpi “intelligenti” per i linfomi, diretti contro molecole presenti sulla superficie della cellula malata, che inducono la risposta del sistema immunitario per distruggerle. Un progetto molto attuale è la terapia con CAR-T, la più all’avanguardia in ambito ematologico. Si tratta di una terapia cellulare, che utilizza i linfociti T, prelevati dal bambino, che vengono “ingegnerizzati”, potenziandone gli effetti mirati contro le cellule tumorali e reinseriti nel paziente stesso. Come nuova frontiera si stanno utilizzando anche linfociti T provenienti da donatori».
AIL finanzierà il progetto presentato da AIEOP che prevede l’utilizzo di un Data manager per il coordinamento degli studi dell’Associazione. Cosa comporta?
«Il vero salto in avanti in ematologia pediatrica è stato fatto quando abbiamo cominciato a utilizzare i protocolli di studio, perché i numeri sono piccoli e le patologie complesse. Questo ci ha permesso di sperimentare nuovi trattamenti e soprattutto di lavorare in sinergia per riconoscere i fattori di rischio associati alle patologie e poterle monitorare, al fine di somministrare la dose corretta di farmaco per il singolo paziente. Conoscere al meglio una patologia dal punto di vista biologico ci permette di sapere quanto è aggressiva e, di conseguenza, con quale quantità di farmaco trattarla. I nostri bambini guariscono, ma dobbiamo prestare molta attenzione agli effetti collaterali che possono presentarsi sul lungo periodo e avere un impatto sulla qualità di vita. Lavorare come è garantito dal protocollo significa permettere a qualsiasi bambino che si ammala in Italia di ricevere le stesse cure in ognuno dei 50 Centri AIEOP distribuiti sul territorio nazionale e anche le medesime garanzie di diagnosi e di monitoraggio nel tempo. Questo è molto importante, per esempio nel caso di recidive. A fine 2024 erano in corso 37 studi clinici: 19 nazionali e 18 internazionali. E questo significa che i protocolli consentono l’apertura verso l’estero: un bambino che si ammala di leucemia in Italia viene trattato allo stesso modo di un bambino in un altro Paese europeo che aderisce al consorzio europeo BFM, che all’inizio includeva Gran Bretagna, Francia e Germania, ma ora si è esteso ad altri Paesi europei e collabora con AIL per la struttura dei protocolli. Oggi sono presenti all’interno dei nostri studi osservazionali quasi 75 mila bambini».
Quanto è importante la collaborazione tra AIL e AIEOP per migliorare la ricerca e garantire un supporto ai piccoli pazienti e alle loro famiglie?
«La nostra Associazione che compie 50 anni, essendo nata nel 1975, grazie a un gruppo di persone che in maniera collaborativa, sia del mondo dell’adulto sia di quello pediatrico, ha deciso di standardizzare le cure. La collaborazione si è mantenuta fino ad oggi: molti risultati che abbiamo derivano da quelli già ottenuti nel mondo degli adulti, che sono stati valutati anche in ambito pediatrico. Ciò ha consentito di migliorare e rendere sicuri i trattamenti in pediatria. AIL ci sostiene da sempre a tutto tondo: nell’accoglienza delle famiglie nelle Case AIL per lunghi periodi per consentire le cure, ma anche all’interno dei reparti di ematologia, con l’istituzione della scuola dell’infanzia e il trasporto ai centri di cura. La sinergia è presente anche in alcuni protocolli condivisi per il mondo dell’adulto e quello pediatrico, ad esempio quelli sulle leucemie promielocitiche, che sono patologie trattate in modo simile nei bambini e negli adulti».
di Paola Trombetta