Sta cambiando lo scenario di cura del Mieloma Multiplo (MM), anche per le forme recidivanti e refrattarie, le più critiche da trattare, grazie a un impegno condiviso: della ricerca che ha reso disponibile anche in Italia in regime di rimborsabilità un nuovo farmaco, gli anticorpi bispecifici, ovvero una nuova classe di immunoterapie in grado di colpire simultaneamente due bersagli, riattivando il sistema immunitario e colpendo selettivamente le cellule neoplastiche; dei medici e degli ematologi sempre più in ascolto dei pazienti potendo così conoscere meglio la malattia e misurarne le reali necessità e i bisogni ancora insoddisfatti, e delle Associazioni, in primis l’Associazione Italiana contro le Leucemie, Linfomi e Mieloma (AIL) che promuove il tradizionale appuntamento della Giornata Nazionale per la Lotta contro Leucemie, Linfomi e Mieloma (21 giugno) e offre servizi per affiancare il paziente nel percorso di cura e migliorarne la qualità di vita, sia nel caso di MM come di altre malattie onco-ematologiche.
«AIL – spiega la Vicepresidente, Rosalba Barbieri – è organizzata in 83 sezioni territoriali, ognuna appoggiata a un’ematologia di un ospedale pubblico, di cui spesso finanzia progetti per garantire ai pazienti le migliori cure possibili. In particolare il supporto psicologico, all’interno di tutti i reparti di oncologia: non sempre presente, è invece necessario per aiutare la persona ad accettare una diagnosi di MM, una patologia che nel tempo può diventare molto invalidante. Pertanto l’Associazione ha attualmente formato 60 psico-oncoematologi per la presa in carico del malato e della sua famiglia. Inoltre AIL offre servizi di accompagnamento gratuito verso il centro ospedaliero e il domicilio, e viceversa, a pazienti spesso anziani che non guidano o non hanno assistenza, e ospita presso le proprie Case AIL malati che arrivano da fuori regione. Tutti servizi e opportunità che possono essere conosciuti tramite il nostro sito: www.ail.it che dimostrano l’attenzione a 360° al paziente che deve essere accolto, ascoltato, compreso, accompagnato e sostenuto. Infine, stiamo cercando di entrare in Tavoli Tecnici Ministeriali, compreso quelli dei farmaci per portare le istanze dei nostri pazienti, mentre le varie sezioni fanno “rete”, sempre in contatto tra loro e ciascuna a livello locale con le istituzioni del luogo: Comune, Provincia, Regione per supportare il paziente in tutti i suoi bisogni. Circa le novità sulle malattie oncoematologiche, AIL informa con seminari annuali in cui i pazienti possono confrontarsi con gli ematologi, condividere fra loro esperienze, aspetto cruciale per il mutuo-aiuto. Inoltre finanzia nuovi progetti come l’introduzione nel percorso di cura di un nutrizionista dedicato, fondamentale nell’approccio multidisciplinare alla malattia, e diffonde opuscoli sempre aggiornati, in cui parliamo anche di quest’ultima opportunità terapeutica, rimborsabile».
Una opportunità importante per la gestione del MM, una neoplasia ematologica complessa, che in Italia registra ogni anno 5.600 nuove diagnosi (160 mila a livello globale), senza grosse distinzioni fra uomini (lievemente superiore) e donne, prevalentemente in età pari o superiore a 70, con un aumento tuttavia di casi anche sotto i 50 anni, caratterizzata da una proliferazione incontrollata di plasmacellule nel midollo osseo, che va a compromettere progressivamente la funzionalità immunitaria. L’attuale paradigma terapeutico prevede il ricorso a tre classi principali di farmaci, quindi a una “tripla esposizione” terapeutica: agenti immunomodulanti (IMiDs), inibitori del proteasoma (PIs) e anticorpi monoclonali anti-CD38, i quali pur rappresentando una rivoluzione, in molti casi sviluppano nel tempo recidive o refrattarietà (mancata risposta) a tutte e tre le classi, limitando le successive opzioni terapeutiche. L’introduzione degli anticorpi bifasici e in particolare di una specifica molecola (elranatamab) che ha, come anticipato, una doppia azione, usata in combinazione con altri farmaci, sembra scongiurare questi eventi avversi.
Una nuova molecola, con doppia azione
«Grazie a meccanismi innovativi – dichiara Elena Zamagni, Professore associato di Ematologia all’IRCCS AOU S. Orsola-Malpighi di Bologna – questa molecola fa osservare risposte clinicamente rilevanti anche in pazienti con MM triplo-refrattario, in cui le alternative di trattamento erano finora molto scarse. Recenti studi mostrano un controllo della malattia in una percentuale significativa di pazienti, quali una risposta complessiva nel 61% di chi è in trattamento e una remissione completa in circa un terzo dei casi, con benefici mantenuti nel tempo. A 16 mesi, ad esempio, la sopravvivenza libera da progressione è stata di 17,2 mesi e quella globale di 24,6 mesi, con oltre il 70% dei pazienti ancora in vita a 15 mesi dall’inizio della terapia. Dati che sono particolarmente significativi, considerando il profilo ad alto rischio della popolazione studiata. Inoltre, questa terapia offre la possibilità di una gestione ambulatoriale fin dalle prime fasi, un aspetto che può incidere positivamente sull’organizzazione dei trattamenti e sulla qualità di vita dei pazienti». Infatti l’anticorpo bifasico può essere somministrato per via sottocutanea, aumentando l’efficacia clinica e riducendo il carico assistenziale, grazie alla flessibilità del trattamento: dopo una fase iniziale di somministrazione settimanale, tutti i pazienti che raggiungono una risposta clinica possono passare dopo sole 24 settimane a un trattamento bisettimanale, e successivamente, in caso di risposta persistente, a un’ inoculazione mensile dalla 49ª settimana, di conseguenza con anche una frequenza più ridotta delle visite ospedaliere.
«I pazienti affetti da MM recidivato e refrattario dopo “tripla esposizione terapeutica” – aggiunge la Professoressa Maria Teresa Petrucci, Dirigente medico di Ematologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria, Policlinico Umberto I di Roma – rappresentano una delle popolazioni clinicamente più difficili da trattare, con un alto bisogno terapeutico insoddisfatto e un’aspettativa di vita di circa 1 anno. In questo contesto, l’introduzione di un nuovo anticorpo bispecifico segna un passo importante anche per il clinico, che può contare su una opzione molto efficace e più gestibile. Tuttavia per offrire una risposta completa, è indispensabile un approccio multidisciplinare che accompagni il paziente lungo tutto il percorso, prevedendo la collaborazione di più figure professionali: ematologi, nefrologi, neurologi, infettivologi, ortopedici, radiologi, geriatri, psicologi, nutrizionisti, infermieri specializzati, farmacisti ospedalieri, medici di medicina generale che possono contribuire alla gestione delle implicazioni e intervenire nel percorso di malattia. Ancora oggi il MM non è una malattia guaribile, ma ciò che è profondamente cambiato è la sopravvivenza: queste terapie sempre più efficaci, personalizzabili e ben tollerate anche da pazienti fragili e anziani, consentono di poter controllare la malattia più a lungo, trasformandola in una condizione cronica in molti casi, quindi di migliorare sensibilmente la qualità della vita».
La sfida ora è rendere queste innovazioni accessibili nella pratica quotidiana, attraverso una presa in carico strutturata e compatibile con l’organizzazione dei centri ematologici italiani, anche nel modello “hub & spoke”, quindi con centri di eccellenza regionali o di macro area (hub) dotati di mezzi e strumenti che fungono da punto nevralgico a cui afferiscono dai centri periferici (spoke), i pazienti per i quali il livello di complessità degli interventi attesi superi le potenzialità erogative della struttura di periferia. «Inoltre, in un contesto sanitario che riconosce a tutti il diritto alla cura, l’accesso alle terapie non può dipendere dal luogo di residenza. Le Reti Oncologiche e le Autorità sanitarie regionali – conclude il Professor Benedetto Bruno, Direttore Ematologia Universitaria, AOU Città della Salute e della Scienza di Torino – hanno il compito di garantire modelli di presa in carico equi, sostenibili e vicini ai bisogni reali delle persone. Solo attraverso uno sforzo condiviso tra clinici, istituzioni e territorio sarà possibile rendere davvero disponibili le terapie più efficaci a ogni paziente, ovunque si trovi».
di Francesca Morelli