«Interpretare me stessa nel cortometraggio “Due di Noi” è stata un’esperienza bellissima! Ho avuto modo di trovare un senso alla mia storia di tumore, dando voce alle tantissime donne, molte delle quali vivono la malattia in solitudine, senza supporti e in regioni dove la possibilità di cura non è scontata o in situazioni difficili, come l’abbandono da parte dei propri partner, che avviene in un caso su quattro. L’opportunità del cortometraggio offerta da Europa Donna è stata l’occasione per fare rumore, per coinvolgere queste donne, per portare avanti le nostre istanze, perché la malattia metastatica è una maratona che può durare a lungo, con percorsi duri ed esigenze diverse da una malattia oncologica: rappresenta un passaggio che si attraversa, da cui in una buona parte dei casi oggi si guarisce», racconta Chiara, una delle due protagoniste del docufilm. «È essenziale in questo percorso “remare” insieme: ho vissuto i primi due anni di malattia durante il Covid, completamente isolata, rendendomi conto che a poco a poco mi stavo spegnendo. Poi un giorno una collega mi ha invitato ad andare a vogare con le Donne in Rosa: sono salita sulla barca, ho incontrato la squadra del Tripodio Rosa e la mia giornata è cambiata, tanto che abbiamo fondato una seconda associazione in provincia di Treviso che invece ci porta in passerella, a fare sfilate. Se oggi sono ancora qui, lo devo anche a tutte loro che mi conoscono, mi capiscono senza parole, sanno quando sono stanca e sanno come tirarmi su il morale quando ce n’è bisogno. Abbiamo iniziato un percorso fuori dalle barche e dalle passerelle, facendo tantissime cose insieme. Abbiamo acquistato quantità di tempo, grazie alla ricerca e alla scienza che hanno reso le nuove terapie, per quanto dure, più sopportabili: è un dovere di noi pazienti riempire questo tempo di qualità. Ho avuto il primo tumore al seno a 30 anni, ho affrontato 18 mesi di cure e per 18 anni sono stata in remissione; poi la malattia è tornata, metastatica. Vedendo la TAC il medico aveva sentenziato che, nella migliore delle ipotesi, avrei vissuto ancora 9 mesi: sono tornata al centro in cui ero stata curata in precedenza e alla dottoressa che mi ha visitato ho chiesto se potesse farmi un’offerta migliore di quei 9 mesi. Come tutta risposta mi ha detto: “Le offro la vita!”. Da quel momento ho pensato che tutto il tempo avuto dopo quei 9 mesi fosse regalato: me lo sono sudato, è vero. Pertanto, dovevo dare un senso a ciascuno dei giorni a seguire, godendoli appieno, vivendo non sopravvivendo: così l’anno scorso mi sono laureata in Giurisprudenza, con un anno di anticipo, utilizzando i tempi morti delle attese in ospedale per studiare. In qualsiasi momento la vita può cambiare: se avete dei sogni, aprite il cassetto e cominciate a realizzarli, non rimandate a domani. Infine, ringrazio Antonio che mi ha dato amore giorno dopo giorno, nelle difficoltà e nei momenti belli. Oggi sono e mi sento una persona normalissima: nessuno penserebbe a me come a una “donna metastatica”, segno che la scienza sta facendo un ottimo lavoro».
In occasione della proiezione del cortometraggio al Milano Film Fest 2025, tenuto a battesimo per la sua prima edizione dall’attore Claudio Santamaria, presente all’evento, abbiamo intervistato la professoressa Alessandra Gennari, Direttore della Clinica Oncologica dell’Ospedale Universitario di Novara.
Professoressa Gennari cosa si può chiedere oggi alla scienza?
«Si può chiedere quantità di tempo… di qualità, grazie alla possibilità di utilizzare approcci terapeutici efficaci, ma anche un contatto reciproco verso la definizione di un progetto di vita, in cui occuparsi, oltre alla componente della cura della malattia, anche dei suoi molteplici aspetti: della vita di relazione e di coppia, della sessualità, che può essere vissuta in assoluta normalità e di ogni altro interesse della quotidianità: il lavoro, lo sport, le amicizie, la socialità, il tempo libero. Aspetti che sono parte integrante della cura e che devono essere attenzionati anche dall’oncologo, offrendo alle nostre pazienti, la migliore vita possibile e il più a lungo possibile. Infatti tra una donna con malattia metastatica e una donna sana non si può stabilire chi potrà pensare con maggiore sicurezza al futuro. Di fatto la vita di una donna con tumore al seno metastatico nella maggior parte dei casi è del tutto normale, fatta di progettualità, come il matrimonio, i figli, il lavoro, con prospettive e opportunità fino a pochi anni fa impensabili. Così come non è possibile definire l’andamento della malattia, né dare una quantità al tempo, mettere una “etichetta di scadenza”: ci sono pazienti che rispondono a terapie, più nuove o più vecchie, in maniera differente, e potere garantire la quotidianità a tutte loro dà grande soddisfazione».
Quali sono le opportunità terapeutiche che offre oggi la ricerca?
«Disponiamo di una nuova classe di farmaci, gli anticorpi immunoconiugati, composti da più parti di cui anche alcuni nuovi tipi di chemioterapia, che hanno rappresentato un’innovazione terapeutica importante in quanto per la prima volta hanno aumentato sensibilmente gli anni di vita delle pazienti con tumore alla mammella metastatico, riuscendo a garantire anche una buona qualità di vita. Queste terapie, nonostante richiedano un’organizzazione delle cure, permettono alle donne di progettare anche il resto della loro vita e soprattutto a noi clinici di potere iniziare a considerare la malattia metastatica come gestibile a lungo termine, curabile, seppure non guaribile. Anche la sequenza di queste nuove terapie contribuisce a prolungare la vita delle pazienti, con un impegno minimo per la donna. Si tratta infatti di terapie che vengono somministrate per via endovena, in Day Hospital, una volta ogni tre settimane, con un richiamo la settimana seguente. I recenti dati presentati all’ultimo Congresso ASCO (American Society of Clinical Oncology), che si è da poco concluso a Chicago, sembrano confermare che sia possibile aumentare ulteriormente la durata di vita con approcci di farmaci combinati, ad esempio con l’immunoterapia, rispetto ai risultati già ottenuti».
Che tipo di messaggio possiamo dare a queste pazienti?
«Non solo di speranza, ma anche di aiuto nella progettualità del loro futuro. Le storie di Chiara e Teresa protagoniste del docufilm, sono una testimonianza preziosa. Ci raccontano in maniera indiretta come le terapie possano incidere in modo significativo sulle pazienti che ricevono una diagnosi di progressione della malattia. La ricerca è in continua evoluzione e oggi il tumore al seno metastatico, sia nelle forme più aggressive come quello triplo negativo, sia nelle forme più diffuse come l’HR+/HER2 – positive all’espressione dei recettori ormonali HR (estrogeno o progesterone) e negative alla proteina Her2, può contare su terapie più efficaci che riescono a dare più tempo e qualità alla vita. Senza dimenticare poi terapie sistemiche più tradizionali, come quella ormonale (endocrina), la chemioterapia, scelte e personalizzate sulle caratteristiche della malattia metastatica. Per noi clinici vedere affrontare un percorso così difficile con tenacia e voglia di futuro è un grande traguardo: diffondere questo messaggio con la voce delle pazienti è fondamentale».
di Francesca Morelli
Chiara e Teresa, protagoniste del cortometraggio
“Due di Noi”, il docufilm ideato e promosso da Gilead Sciences Italia con Europa Donna Italia e Tapelessfilm, presentato alla 1a edizione del Milano Film Fest, diretto da Mattia Colombo e Davide Fois, racconta la storia di Chiara 50 anni, e Teresa 38 anni, distanti geograficamente (Chiara vive a Venezia, Teresa a Salerno), ma con vite parallele e profondamente intrecciate nella loro umanità. Entrambe convivono con un tumore al seno metastatico, una diagnosi che, solo nel 2022, ha riguardato oltre 52 mila donne e che spesso annulla ogni certezza, ogni progetto. Ma che oggi, grazie al progresso terapeutico, sta evolvendo sempre più nella dimensione della cronicità. Teresa ha ricevuto una prima diagnosi di tumore al seno a 31 anni, che poi si trasforma nel 2022 in tumore al seno metastatico: lei, come Chiara, non vuole essere solo la “sua malattia” e affronta la vita in modo pieno, coltiva interessi, si spende per sensibilizzare e aiutare le donne che incontrano il tumore al seno, progetta addirittura il suo matrimonio. Il percorso di Chiara e Teresa non potrebbe essere lo stesso senza il supporto di una rete di donne che quotidianamente si sostengono e si aiutano: le associazioni pazienti in questo contesto rappresentano un porto sicuro dove trovare conforto, accoglienza e aiuto. Europa Donna Italia è da sempre impegnata per le pazienti a fianco della comunità scientifica e delle istituzioni.
Guarda il docufilm: https://www.gileadpro.it/due-di-noi
F.M.