Ri-conoscere le bronchiettasie: primo Libro bianco

“Mia figlia Ivana, che soffriva di bronchiettasie, credeva nella ricerca, nella sperimentazione e nello sforzo comune di rendere più dignitosa possibile la vita delle persone che devono fare i conti con questa patologia. Ringrazio Donatella Nobile presidente AIB, Associazione Italiana Bronchiettasie, che ha desiderato fortemente e contribuito alla pubblicazione di un Libro bianco per far luce sulle bronchiettasie e i medici che hanno curato Ivana e ai quali lei augurava di ricercare sempre nuovi farmaci per dare speranza ai pazienti”. Con queste parole Maria Cristina Mecca, mamma di Ivana, studiosa che lavorava alla Pinacoteca di Brera, ha dato il benvenuto al primo Libro bianco sulle bronchiettasie, di recente presentato alla Pinacoteca anche in ricordo della giovane donna, affetta da questa malattia respiratoria cronica invalidante, caratterizzata da frequenti riacutizzazioni polmonari che aggravano la funzione respiratoria, compromettendo la qualità di vita e che possono ridurre la sopravvivenza. I bronchi subiscono una dilatazione abnorme e permanente con un accumulo di muco e catarro che l’organismo non riesce più a eliminare: il danno anatomico è irreversibile. Ne soffriva anche Papa Francesco e come è successo al Santo Padre, le polmoniti sono una delle complicanze più gravi e frequenti. È una malattia poco conosciuta anche dai medici, a tal punto da essere troppo spesso confusa con altre patologie respiratorie. Eppure, è molto diffusa: si stima ne siano affetti circa 300 mila italiani di tutte le età. E ancora più sconosciuto è l’impatto che questa malattia ha sulla qualità di vita: molti devono abbandonare il lavoro e rinunciano a una vita sociale perché tosse e catarro, la stanchezza e la mancanza di fiato sottraggono l’energia necessaria ad affrontare la giornata.

Aggiunge il professor Stefano Aliberti, Ordinario di Malattie dell’Apparato Respiratorio e Direttore della Scuola di Specializzazione in Malattie dell’Apparato Respiratorio di Humanitas University Responsabile dell’Unità Operativa di Pneumologia presso IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano, che ha fondato il primo ambulatorio bronchiectasie in Italia nel 2011 al San Gerardo di Monza e il primo Programma Bronchiectasie al Policlinico di Milano nel 2016: «In Italia questa patologia respiratoria cronica non ha ancora una sua “dignità” né dal punto di vista diagnostico, né da quello terapeutico e gestionale, e nemmeno da quello burocratico, amministrativo e sanitario. Questa assenza di “dignità”, questo non essere ancora “riconosciuta” si evince anche dalla proposta di aggiornamento dei LEA del 15 aprile 2025 in cui le bronchiettasie non compaiono, tranne che come indicazione per cure termali, un trattamento che al contrario è messo in forte discussione dalla comunità clinica internazionale. Il documento dei LEA suggerisce una ricezione quanto meno parziale da parte dei decisori delle novità cliniche e scientifiche degli ultimi 10 anni relative a questa patologia».

«Proprio dalla consapevolezza che si tratta di una malattia “dimenticata”, spiega Donatella Nobile, presidente di AIB, «unita al desiderio e alla volontà di fare qualcosa per chi un domani si troverà ad affrontarla, è nata l’idea del Libro bianco, un progetto che AIB ha condiviso con la comunità medico-scientifica specializzata in bronchiettasie e che illustra le più attuali evidenze scientifiche, e tiene conto dell’esperienza clinica acquisita negli ultimi dieci anni. Alla stesura hanno contribuito trenta professionisti di eccellenza nel campo della pneumologia, della fisioterapia respiratoria, della microbiologia e di altre specialità che concorrono all’approccio multidisciplinare di questa malattia. Non è un classico manuale di medicina perché usa un approccio e un linguaggio alla portata di tutti, compresi i pazienti e i caregiver».
La pubblicazione fa luce sui maggiori problemi da affrontare: «Innanzitutto un ritardo diagnostico di quasi nove anni – precisa il professor Aliberti –, a cui si aggiunge l’elevato numero di diagnosi errate, soprattutto nei casi in cui le bronchiettasie sono associate alla BPCO o all’asma: i sintomi sono simili e possono essere confusi, ma oggi sappiamo che in presenza di BPCO o di asma è importante verificare anche l’eventuale presenza di bronchiettasie».

Per quanto riguarda le cause, vanno dalle malattie genetiche come fibrosi cistica e discinesia ciliare primitiva, ai deficit immunologici, e possono essere associate a patologie come artrite reumatoide o malattia di Crohn, oltre alle già citate BPCO e asma. Un quadro complesso che ha in comune sintomi quali la tosse cronica con produzione quotidiana di catarro, bronchiti e polmoniti ricorrenti. «La gestione delle bronchiettasie parte da un accertamento eziologico che è molto importante proprio perché sappiamo che alle bronchiettasie sono associate alcune malattie che possono beneficiare di trattamenti specifici, penso per esempio all’asma grave o ai deficit immunitari: in circa il 60 per cento dei casi riusciamo ad arrivare a una diagnosi e a controllare le bronchiettasie curando la malattia sottostante. Nel 40 per cento invece la causa non è nota», spiega il professor Francesco Blasi, Preside della Facoltà di Medicina dell’Università degli Studi di Milano, Ordinario di Malattie dell’apparato respiratorio e Prorettore ai Rapporti con il Sistema Sanitario. «Il gold standard della diagnosi è la TAC del torace ad alta risoluzione. Ottenuta la diagnosi, il paziente deve essere inviato a uno pneumologo e, per i casi più gravi, a un Centro di riferimento per una presa in carico multidisciplinare».

L’approccio multidisciplinare alla patologia vede diverse figure specialistiche collaborare con lo pneumologo, per quanto riguarda sia la diagnosi che la terapia: il fisioterapista respiratorio (che ha un ruolo particolarmente importante), il microbiologo clinico, il radiologo, l’immunologo clinico, il gastroenterologo e l’otorinolaringoiatra. Le bronchiettasie sono una malattia cronica e irreversibile, pertanto l’obiettivo terapeutico è tenerla sotto controllo agendo su diversi fronti per evitare che peggiori. Ridurre il numero delle riacutizzazioni dovute a infezioni è una delle priorità. Il programma terapeutico punta a: trattare i sintomi; prevenire le infezioni respiratorie; prevenire il declino della funzione respiratoria; migliorare la qualità di vita dei pazienti.

Le cure sono personalizzate e tengono conto delle eventuali comorbidità. Alcune delle patologie associate alle BE, come per esempio i deficit immunitari o l’asma grave, dispongono di trattamenti specifici che dunque possono modificare anche la storia della malattia bronchiettasica. Vero e proprio cardine della terapia in tutti i casi è la fisioterapia respiratoria: prevede esercizi mirati a liberare dal muco le vie respiratorie per ridurre il rischio di infezioni e l’infiammazione. Per trattare l’infiammazione polmonare vengono somministrati macrolidi a basso dosaggio per lungo tempo per sfruttare il loro effetto immunomodulante. Per contenere l’infezione si ricorre ad antibiotici specifici per i patogeni che la provocano, assunti per via sistemica o inalatoria. Un ruolo importante ce l’hanno le vaccinazioni contro virus e batteri che possono aggravare la malattia. L’ostruzione polmonare e la mancanza di fiato prevedono l’utilizzo accurato di farmaci broncodilatatori. Trattandosi di una malattia cronica e irreversibile, questi trattamenti devono essere assunti per lunghi periodi. Ad oggi non sono ancora stati approvati farmaci specifici per le BE.

di Antonella Franchini

Nei bambini può essere reversibile, se presa precocemente

A differenza di quanto avviene negli adulti, nei bambini le bronchiettasie possono essere una malattia reversibile, a patto che vengano diagnosticate precocemente. «Dobbiamo prestare attenzione alla tosse catarrale che dura più di quattro settimane e che si ripresenta con una certa frequenza: in questi casi il pediatra deve indagare le cause anche se il bambino non presenta altri sintomi e apparentemente sta bene. Questo è infatti il quadro con cui si presenta la bronchite batterica protratta che, a sua volta, è la causa principale delle bronchiettasie in età prescolare», spiega il dottor Ahmad Kantar, Responsabile UO di Pediatria e del Centro Pediatrico dell’Asma e della Tosse Istituti Ospedalieri Bergamaschi – Policlinico San Pietro, Ponte San Pietro (BG). «La bronchite batterica protratta si cura con antibiotici mirati per i batteri che ne sono la causa, per almeno due settimane. In questo modo è possibile prevenire lo sviluppo delle bronchiettasie». Le bronchiettasie non sono una rarità nell’età prescolare. I campanelli d’allarme sono: tosse cronica umida/produttiva di durata di 4 settimane che non risponde alla terapia antibiotica, risoluzione incompleta di una polmonite, polmonite ricorrente o bronchite batterica ricorrente. Inoltre, anomalia all’auscultazione toracica persistente, inspiegabile (ad esempio crepitii polmonari persistenti) o anomalie radiografiche del torace.

Anche nei bambini, se si sospetta la malattia, l’esame dirimente è la TAC ad alta risoluzione che oggi è sicura perché espone il bambino a meno radiazioni. «Con la TAC possiamo, infatti, diagnosticare anche un’alterazione dei bronchi molto piccola quindi identificare la malattia quando è in uno stadio iniziale. Questo ci permette di intervenire con la terapia mirata al momento giusto: esistono prove che dimostrano che, con una gestione diligente, la bronchiectasia pediatrica nelle sue fasi iniziali può essere stabilizzata e può essere persino reversibile». Un messaggio importante è rivolto a chi ritiene che in un bambino che va all’asilo la tosse catarrale che dura settimane sia “normale”: «No, non è normale. È necessario indagare e scoprirne la causa» sottolinea il dottor Kantar.

A. F.

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