Tumore dell’endometrio: in prima linea l’immunoterapia in associazione alla chemioterapia

In prossimità del mese di giugno, dedicato alla prevenzione dei tumori all’utero, notizie incoraggianti sono in arrivo per le donne che devono affrontare un tumore dell’endometrio. L’autorità regolatoria ha da poco approvato l’indicazione in prima linea dell’immunoterapia a base di dostarlimab in combinazione con la chemioterapia per le pazienti “con carcinoma dell’endometrio primario avanzato o ricorrente, con deficit del sistema di mismatch repair (dMMR) ed elevata instabilità dei microsatelliti (MSI-H) che causano un’alterazione del sistema di riparazione del DNA”. Questa popolazione rappresenta il 20-30% dei tumori dell’endometrio primari avanzati o ricorrenti che complessivamente rappresenta la quarta tipologia di tumore per incidenza nel genere femminile, con circa 10 mila nuovi casi l’anno.

Con l’aiuto della professoressa Domenica Lorusso, direttore del programma di Ginecologia oncologica dell’Humanitas San Pio X di Milano, cerchiamo di approfondire l’argomento e capire i benefici di questa nuova combinazione per le donne con questo tumore.

Innanzitutto di che tumore si tratta e quali i segnali d’allarme?
«Il tumore dell’endometrio interessa il corpo dell’utero ed è estremamente frequente, con un trend in aumento a causa dell’invecchiamento della popolazione e del cambio degli stili di vita. Si tratta infatti di una neoplasia della post-menopausa, con una diagnosi intorno ai 60 anni, ma si assiste alla sua comparsa anche in età giovanile. E’ il più frequente tumore ginecologico e colpisce circa 10 mila donne ogni anno. Di solito si annuncia con perdite ematiche che, in post-menopausa, non devono esserci e questo porta a una diagnosi che nell’80% dei casi trova la malattia ancora localizzata nell’utero. Nel 20% dei casi la malattia viene però diagnosticata in una forma avanzata. In un ulteriore 20%, pur essendo inizialmente localizzato, la malattia tende a dare recidive. Da un punto di vista molecolare sono almeno quattro tipi diversi di tumori».

Quali terapie vengono solitamente utilizzate? E quali le novità?
«Per la cura della malattia avanzata e metastatica si è sempre usata la chemioterapia con carboplatino e taxolo (paclitaxel). La grande novità di oggi è che i tumori all’endometrio sono diversi dal punto di vista molecolare e circa il 30% presenta una caratteristica genetica che si chiama “instabilità dei microsatelliti”, ovvero un’alterazione del sistema di riparazione del DNA, noto come “mismatch repair” che rende questo tumore in grado di rispondere all’immunoterapia. Oggi abbiamo una nuova opzione terapeutica: combinando l’immunoterapia alla chemioterapia tradizionale, siamo in grado con un farmaco, recentemente approvato dall’AIFA, dostarlimab, di ridurre del 70% il rischio di progressione e mortalità. Ed è un risultato che finora non speravamo di avere».

La conferma viene dai dati dello studio RUBY, che ha consentito il riconoscimento dell’efficacia di questa combinazione di farmaci.
«Il via libera dell’autorità regolatoria arriva a poco più di un anno di distanza da quella europea e si basa appunto sui risultati dello studio RUBY, che ha valutato l’efficacia dell’aggiunta di dostarlimab alla chemioterapia standard, carboplatino e paclitaxel, rispetto alla sola chemioterapia, con carcinoma endometriale primario avanzato o recidivato, con un follow-up di oltre 2 anni. Lo studio ha evidenziato una riduzione del 72% del rischio di progressione della malattia o di morte nelle pazienti con una specifica caratteristica molecolare, che è l’“instabilità dei microsatelliti”, che viene accertata con un test di immunoistochimica, già noto perché si usava nei tumori del colon. L’aggiunta di dostarlimab alla chemioterapia ha determinato una riduzione del 68% anche del rischio di morte rispetto alla sola chemioterapia. Questa combinazione è dunque stata approvata dall’AIFA come nuovo standard di cura in prima linea».

Ci può spiegare il meccanismo d’azione di questo nuovo farmaco?
«È un farmaco anti-PD 1, un check point inibitore. Ovvero rende riconoscibile, da parte del nostro sistema immunitario, le cellule del tumore, perché blocca i recettori che lo rendono al contrario invisibile al nostro sistema immunitario».

Con questo nuovo farmaco, così selettivo, possiamo anche azzardare la parola “guarigione”?
«Lo studio RUBY, al quale hanno partecipato anche otto centri italiani, ha cambiato la pratica clinica per tutte le pazienti con carcinoma endometriale primario avanzato o ricorrente, con “instabilità dei microsatelliti”. Il 72% di riduzione della progressione della malattia o di morte in donne con carcinoma dell’endometrio avanzato o recidivante che presentano questa caratteristica, è un traguardo enorme, inimmaginabile. Significa anche che potremmo pensare di aver guarito alcune di queste pazienti: un verbo, guarire, che non avrei mai immaginato di poter usare per tumori recidivanti o che esordiscono al in fase metastatica. A questo punto non è utopia pensare che alcuni gruppi di pazienti potrebbero addirittura beneficiare della sola immunoterapia in prima linea senza chemio e abbiamo due studi in corso che risponderanno a questo quesito».

di Paola Trombetta

Prevenzione e qualità di vita

«Per il tumore dell’endometrio purtroppo non esiste uno screening come il pap test per il collo dell’utero», conferma Nicoletta Cerana, presidente di ACTO Italia-Alleanza contro il Tumore ovarico che per il mese di Giugno, dedicato ai tumori dell’utero, promuove una serie di iniziative di informazione e visite di prevenzione gratuite (www.acto-italia.org). «La diagnosi è abbastanza semplice, perché è prevalentemente legata a un sintomo precoce: il sanguinamento anomalo in pre e postmenopausa, che va sempre approfondito con esami specifici. Tra i fattori di rischio, oltre all’età, è ormai accertato un aumento in caso di obesità e diabete. Un ruolo lo gioca anche l’eccessiva esposizione agli estrogeni, come avviene a fronte di un inizio precoce del ciclo mestruale (menarca precoce), di menopausa tardiva o assenza di gravidanze. Altri fattori sono la familiarità e l’ereditarietà: in quest’ultimo caso la Sindrome di Lynch è una condizione ereditaria che aumenta il rischio di sviluppare sia un tumore dell’endometrio, sia del colon in età giovanile. Per questo è importante che in caso di diagnosi di Lynch i familiari della paziente vengano sottoposti allo specifico test genetico. Nel campo dei tumori ginecologici stiamo assistendo a una rivoluzione epocale. Dopo i successi della medicina personalizzata nella cura del tumore ovarico, accogliamo con entusiasmo questa opportunità terapeutica che apre nuove speranze di vita non solo ad ogni donna che sta lottando contro un tumore avanzato dell’endometrio, ma anche ai suoi familiari. Perché non bisogna mai dimenticare la forte capacità che un tumore femminile ha di ripercuotersi sul futuro dell’intera famiglia e in particolare sulla vita di coppia. Purtroppo questi tumori incidono sulla sfera sessuale, un argomento ancora tabù per le donne, di cui raramente parlano anche col ginecologo, mettendo spesso a rischio le relazioni affettive. Per questo è importante il ruolo delle Associazioni Pazienti, per promuovere un dialogo e un confronto anche su queste problematiche». A tale proposito segnaliamo il sito: www.womencare.it dove si possono ascoltare testimonianze di donne che hanno affrontato questo tumore e superato le difficoltà ad esso connesse.

Paola Trombetta

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