Osteoporosi: una nuova terapia per la rigenerazione delle ossa

“La frattura del femore è stato un evento traumatico per mia mamma, 90 enne. Dopo l’intervento chirurgico ad aprile, che si è risolto in pochi giorni di degenza all’Ospedale di Carate, vicino a Seregno dove abitiamo, è seguito un periodo di riabilitazione a domicilio, con il prezioso supporto della fisioterapista Laura che non finirò mai di ringraziare. La grinta e la voglia di autonomia di mia mamma l’hanno portata a riprendere pian piano a camminare, pur col supporto del deambulatore. E per Natale il grande regalo di camminare, azzardando persino qualche passo da sola. Piccola e gracile, ma molto vigile e prudente, sembrava una bambina, che stava iniziando i primi passi in autonomia. Purtroppo però, il fisico debilitato e un’infezione polmonare, che ha colpito tante persone anziane durante i primi mesi dell’anno, non le hanno permesso di continuare il suo percorso di recupero nella deambulazione che, quasi sicuramente, le avrebbe ridato quell’autonomia a cui mia mamma tanto anelava. E nel giro di poche settimane una grave polmonite ha portato via per sempre mammetta, che ho avuto la fortuna di assistere fino al suo ultimo respiro, esalato mentre la tenevo tra le braccia. Sono convinta che, se non avesse contratto la polmonite, ora, dopo un anno dall’intervento, sarebbe stata in grado di camminare autonomamente”.

Purtroppo le casistiche confermano che la frattura del femore causa una mortalità dal 20% al 30% entro un anno, paragonabile alle due più comuni cause di morte non legate ai tumori, come ictus e cardiopatie: la disabilità dovuta all’osteoporosi è addirittura superiore rispetto ai tumori (ad eccezione di quello ai polmoni). L’International Osteoporosis Foundation (IOF) ha stimato che in Italia si verificano 568 mila fratture nella popolazione ultrasessantacinquenne e che il 71% delle donne ad alto rischio non abbia ricevuto cure farmacologiche adeguate. Dei soggetti in trattamento, il 50% sospende la terapia dopo 6 mesi. Il clinico sa che i farmaci anti-fratturativi sono in grado di prevenire la seconda frattura fino al 70% nella popolazione in oggetto. Si prevede però un aumento di fratture da fragilità del 25% entro il 2030. In Italia, sono circa 5 milioni le persone con osteoporosi, di cui l’80% costituito da donne in post-menopausa.

Tra le terapie, da oggi è disponibile abaloparatide, indicato per il trattamento dell’osteoporosi nelle donne in post-menopausa ad aumentato rischio di frattura: a febbraio 2025 ha ottenuto la rimborsabilità da parte dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA). Lo studio registrativo di fase 3, ACTIVE (Abaloparatide Comparator Trial In Vertebral Endpoints), dimostra l’efficacia e la sicurezza di questo farmaco rispetto a placebo o teriparatide nella prevenzione delle fratture in donne in post-menopausa con osteoporosi. Come evidenziato dai risultati dello studio, pubblicati sulla rivista scientifica JAMA (Journal of the American Medical Association), abaloparatide, analogo di sintesi del peptide correlato all’ormone paratiroideo umano (1-34 hPTHrP), riduce il rischio di fratture vertebrali dell’88% e di fratture osteoporotiche maggiori (polso, femore, spalla e colonna vertebrale) del 69% rispetto a placebo. Farmaco anabolico, dunque terapia di prima scelta secondo le linee guida per la cura dei profili ad alto rischio di osteoporosi, promuove l’osteogenesi sulle superfici dell’osso trabecolare e dell’osso corticale tramite stimolazione dell’attività osteoblastica: comporta, infatti, un rapido aumento della densità minerale ossea nei diversi siti dello scheletro.

«Abaloparatide rappresenta una novità importante nel trattamento dell’osteoporosi post-menopausale», afferma Maurizio Rossini, professore ordinario di Reumatologia all’Università di Verona, direttore dell’Unità operativa complessa di Reumatologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata e Consigliere della Società Italiana di Reumatologia (SIR). «Agisce in modo selettivo sugli osteoblasti, stimolando l’osteogenesi, ovvero la formazione di nuovo tessuto osseo, contribuendo a ridurre significativamente il rischio di fratture. In particolare, questo farmaco si rivela molto efficace nell’aumento della densità minerale dell’osso corticale, presente in distretti come il femore. Per noi specialisti è uno strumento in più per intervenire in modo precoce ed efficace, soprattutto nelle pazienti ad alto rischio, aiutandole a ridurre la fragilità e il rischio di disabilità e a mantenere una buona qualità di vita».

«L’osteoporosi è una malattia silenziosa ma profondamente invalidante, che accompagna le donne per molti anni dopo la menopausa», afferma Ferdinando Silveri, vicepresidente del comitato scientifico FEDIOS, Federazione Italiana Osteoporosi e malattie dello Scheletro. «Come FEDIOS, pensiamo sia fondamentale riconoscere la natura cronica di questa patologia e garantire percorsi terapeutici continui e personalizzati. Accogliamo quindi con grande favore l’arrivo di nuove opzioni di trattamento che possano supportare le pazienti nelle diverse fasi della malattia, migliorando non solo la salute ossea, ma anche la qualità della vita».

«L’osteoporosi post-menopausale impatta profondamente sulla qualità di vita: limita i movimenti, riduce l’autonomia e alimenta la paura costante delle fratture», conferma Bruno Frediani, direttore del Dipartimento di Scienze Mediche Chirurgiche e Neuroscienze dell’Università di Siena, professore ordinario di Reumatologia e presidente della SIOMMMS, Società Italiana dell’Osteoporosi, del Metabolismo Minerale e delle Malattie dello Scheletro. «Per questo, ogni innovazione terapeutica che può offrire un migliore controllo della malattia, un recupero della densità ossea, ma anche un rafforzamento strutturale è un passo avanti importante. Il cambiamento nell’offerta terapeutica, con soluzioni più mirate e capaci di stimolare attivamente la formazione di nuovo osso, apre nuove prospettive per molte donne. È fondamentale che queste opzioni siano condivise in un dialogo costante tra medico e paziente, così da costruire percorsi di cura personalizzati, efficaci e sostenibili nel tempo».

Abaloparatide è una soluzione iniettabile sottocute in penna preriempita, senza necessità di refrigerazione dopo il primo utilizzo, per 30 giorni. La soluzione deve essere iniettata nella parte bassa dell’addome, approssimativamente alla stessa ora ogni giorno nella dose giornaliera raccomandata di 80 microgrammi. La durata massima totale del trattamento deve essere di 18 mesi. Dopo la conclusione di questa cura, le pazienti possono proseguire con altre terapie per l’osteoporosi.

di Paola Trombetta

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