Vivere con il tumore tra ansie e paure, in tempo di pandemia

Sono molti i pazienti oncologici ad aver sperimentato ansie e preoccupazioni per la gestione della loro malattia, durante il periodo più acuto della pandemia. Il timore di dover rinunciare a controlli ed esami, di essere più esposti al rischio di contagio a causa delle terapie, di non ricevere adeguate protezioni nelle strutture sanitarie. E le preoccupazioni per le incertezze del futuro, legate alla possibile non continuità delle cure e alla situazione economica e lavorativa. Sono i sentimenti con cui hanno convissuto e tuttora convivono gli oltre 3,5 milioni di italiani con diagnosi di tumore. A rivelarlo, il sondaggio online realizzato nell’ambito del progetto “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere” che, grazie al supporto delle 30 Associazioni promotrici, ha coinvolto 774 pazienti su tutto il territorio nazionale ed è stato presentato in occasione della Giornata del Malato Oncologico (17 maggio). Obiettivo della ricerca? Far emergere il punto di vista, l’esperienza e le esigenze dei pazienti oncologici e onco-ematologici al tempo del Covid-19 in vista di un percorso di tutela dopo la fase più acuta dell’emergenza. «L’idea di promuovere questa ricerca è nata grazie ai tanti pazienti che si sono rivolti a noi durante la prima fase drammatica della pandemia, preoccupati e disorientati», dichiara Annamaria Mancuso, Presidente di Salute Donna onlus, Salute Uomo onlus e coordinatrice del progetto. «Paradossalmente i pazienti del Nord Italia, più colpito da Covid-19, hanno affermato di aver ricevuto più servizi rispetto a quelli del Sud dove invece la pandemia ha colpito molto meno. La criticità più evidente è la mancanza di referenti in grado di gestire dentro i centri di cura oncologici il percorso e l’ascolto dei pazienti. L’indagine vuole aiutare anche i decisori politici, attraverso l’analisi dei dati raccolti, a elaborare precise Raccomandazioni indispensabili per non penalizzare la qualità di vita durante la fase 2 di convivenza con il Coronavirus».

Esami e percorsi di cura

La preoccupazione maggiore dei pazienti oncologici è dover rinunciare a esami e controlli di follow-up (34% delle risposte). Segue il timore di essere più esposti al rischio di contagio a causa delle terapie (16%) e di non avere l’adeguata protezione in ospedale (15%). «Uno dei più grandi temi nella gestione della fase 2 è la ripresa, laddove interrotta o in parte rimandata, della tutela dei pazienti oncologici», puntualizza il Viceministro della Salute, Pierpaolo Sileri. «In questi mesi in Italia sono stati riorganizzati i percorsi di cura, cercando di mantenere inalterata la qualità dell’assistenza, e in alcune Regioni si sta procedendo con servizi in telemedicina, oltre alla messa in sicurezza dei percorsi per i pazienti con patologie oncologiche. Si tratta di soggetti particolarmente fragili, perché hanno un profilo immunologico che li classifica ad elevato rischio di contrarre patologie infettive, come il Covid-19. Ciò che dobbiamo curare e seguire con il massimo sforzo è la creazione di una policy comune per tutto il territorio, che dobbiamo rafforzare grazie ai centri di eccellenza italiani. Diverse settimane fa sono state pubblicate su Nature Medicine le Linee guida per i pazienti oncologici dalla rete Cancer Care Europe, di cui fanno parte anche le strutture italiane. La sfida che abbiamo davanti ci impone di mantenere alto il livello di cura, di dotare e rafforzare la rete territoriale dei medici; di fornire e implementare i percorsi di telemedicina che soddisfino tutte le necessità diagnostiche; di affiancare alle terapie anche il supporto dello psico-oncologo per garantire al paziente il sostegno adeguato».

A livello nazionale il 36% dei pazienti ha lamentato la sospensione di esami e visite di follow-up. Un paziente su 5 ha segnalato la sospensione degli esami diagnostici; ma solo un 3% riferisce lo stop delle cure. Dall’analisi emerge che al Nord, nonostante sia la zona più colpita dall’emergenza Coronavirus, solo il 14% dei pazienti lamenta la sospensione di esami e visite di follow-up, mentre al Centro e Sud Italia questa percentuale sale al 40%. «Nessuno ha sospeso gli esami e i controlli, ma le strutture italiane di oncologia li hanno riorganizzati, in base alle priorità degli ospedali», afferma Filippo de Braud, Direttore Dipartimento di Oncologia ed Ematologia Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori di Milano, «Come oncologi, abbiamo comunicato che gli interventi e le richieste di visite non urgenti potevano essere posticipati, per ridurre i rischi di contagio, abbiamo fatto il possibile per tenere gli ospedali meno affollati e dovremo continuare a farlo per diversi mesi. Gradualmente saremo in grado di garantire il ripristino di queste attività».

Il rischio maggiore per la propria salute, avvertito dai pazienti in questa situazione di emergenza, è la condizione di immunodeficienza (47% delle risposte). Nel 21% delle risposte i pazienti si sentono più esposti al contagio a causa della mancanza di adeguati percorsi di protezione negli ospedali e nel 18% il rischio maggiormente percepito è il rinvio delle visite di controllo. «Nella fase di emergenza ci sono state numerose difficoltà e criticità nel riorganizzare i percorsi ai quali erano abituati i pazienti», aggiunge Giorgina Specchia, Professore Ordinario di Ematologia all’Università degli Studi Aldo Moro di Bari. «Le emergenze assistenziali hanno richiesto in modo repentino una notevole quantità di risorse umane e strumentali per far fronte alla presa in carico dei pazienti sintomatici con infezione da Covid-19. Non è stato semplice per gli Ospedali organizzare e sostenere il carico assistenziale con percorsi in sicurezza, cioè non a rischio di contagio, per tutti gli altri pazienti, compresi quelli onco-ematologici. In questa situazione molti soggetti, per lo più anziani e privi di supporto familiare, si sono sentiti trascurati o abbandonati». Motivo di conforto nel periodo di lockdown sono stati la famiglia e gli amici per metà del campione intervistato. La quasi totalità dei pazienti ha avuto, come fonte di informazione, Internet e i canali social, seguiti da stampa e televisione. Solo un paziente su 10 ha chiesto informazioni allo specialista e un paziente su 5 al medico di famiglia. Un terzo degli intervistati è preoccupato e sopraffatto dalla mole di informazioni (infodemia) che arrivano ogni giorno sul Covid-19. Infine, il 21% sente la mancanza di un rapporto con il proprio medico curante. Solo il 3% cita lo psiconcologo come figura di riferimento.

Tre le aree prioritarie per la ripartenza

«L’emergenza sanitaria ha creato una forte limitazione all’accesso ai servizi sanitari “differibili” come le prestazioni psicologiche, la cui erogazione è stata garantita da remoto pur con molte difficoltà», commenta Angela Piattelli, Vice Presidente SIPO, Società Italiana di Psiconcologia. «Le Ordinanze hanno vietato la possibilità di rivolgersi a professionisti non strutturati e in Italia tali cure vengono erogate soprattutto da loro. La condizione di isolamento forzato, la consapevolezza di essere più fragili e più esposti al contagio, accanto al bisogno di continuità delle cure, hanno dato priorità assoluta ai bisogni fisiologici e di sicurezza».

Adesso, nella fase due, l’obiettivo è ridisegnare i percorsi assistenziali: certezza delle cure, percorsi dedicati di accesso alle strutture sanitarie e assistenza domiciliare, sono prioritari per la metà del campione. L’indagine evidenzia alcuni aspetti di cui i decisori politici dovranno tener conto per mettere a punto Raccomandazioni che accompagnino il paziente oncologico nel percorso di cure. Tre le aree di intervento prioritarie, identificate dalle 30 Associazioni di pazienti promotrici del progetto “La salute: un bene da difendere, un diritto da promuovere”:

  • Attuare percorsi personalizzati; incentivare l’assistenza territoriale con la telemedicina e il telemonitoraggio domiciliare.
  • Promuovere sul territorio programmi di consegna a domicilio dei farmaci e facilitazione delle modalità di pagamento da parte dei pazienti; agevolare le prenotazioni con il supporto delle farmacie.
  • Incentivare la figura dello psiconcologo, anello di congiunzione tra paziente-famiglia e struttura sanitaria, valorizzandone il ruolo; pensare a una tutela economica per caregiver e familiari.

Assieme all’assistenza vi è anche il tema del rientro al lavoro: nelle situazioni professionali di alta esposizione al contagio, per alcuni pazienti e caregiver, il rientro alle proprie attività lavorative rappresenta una difficoltà. Durante il periodo di convivenza con il virus, sarebbe opportuno prevedere un’estensione temporale delle tutele nel lavoro e la semplificazione della procedura di certificazione del rischio per persone immunodepresse, con malattia oncologica o che stanno seguendo terapie salvavita, facendo in modo che sia sufficiente l’attestazione del medico di famiglia, senza aggravi burocratici.

di Paola Trombetta

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