Domenica 11 maggio è la festa della mamma. Anche se oggi è diventato molto difficile parlare di maternità, come se si fosse quasi trasformato in oggetto di censura. «Prevale il timore che si rischi di imprigionare di nuovo le donne in una concezione patriarcale. Come se nominare il corpo materno da cui siamo nate, e magari riflettere sulla sua potenza simbolica, fosse controproducente per una libera costruzione della soggettività. Ma una madre è un punto di riferimento costante per i propri figli. Anche se non con tutte è facile andare d’accordo. Tra affinità, dipendenze, contrasti e riconciliazioni. Anche quando il filo sembra spezzato, non lo è quasi mai in modo definitivo: rimane nel ricordo e nell’immaginario», commenta Anna Oliverio Ferrais, già Ordinaria di Psicologia dello sviluppo all’Università La Sapienza di Roma.
Proprio la relazione madre e figlia è al centro del suo nuovo romanzo “Madri e figlie”, Gallucci editore. «È ispirato a cinque storie realmente accadute, che ho un po’ romanzato perché il libro, più che un saggio scientifico, vuole essere un racconto letterario». Storie da cui emergono le dinamiche emotive di una relazione che l’età e i ruoli sociali rendono a volte asimmetrica, ma il cui equilibrio si fonda sempre sugli strati più profondi dell’Io. “Madre e figlia”: è il primo legame che si instaura nella vita di una donna, un legame straordinario, un rapporto sfaccettato e complesso, che vive diverse fasi e tappe, e inizia a crearsi già durante la gravidanza. In base al modo in cui viene costruito, influenza la vita e la crescita di entrambe le figure», osserva Oliverio Ferraris. «Il rapporto madri e figlie è forse il più forte che c’è. Nei primi anni di vita sia i maschi che le femmine hanno un rapporto simbiotico con la propria madre: ma poi i maschi cercano modelli di riferimento diversi, a cominciare dal padre. La bambina, invece, si sente molto simile alla madre e avverte il bisogno di differenziarsi dal punto di vista individuale. Lo vediamo ormai da generazioni: il loro è un rapporto tra due singolarità, un corpo a corpo fatto di continui slanci, stacchi, rimandi, tra affetto, dipendenza, conflitti e turbamento. Come a volte succede alle figlie che si trovano ad accudire la propria madre anziana malata. È quello che prova Irenela, protagonista del primo racconto, che accudisce la madre malata come infermiera. “Non avevo mai immaginato che avrei dovuto aiutarla a lavarsi”: maneggiare il corpo della mamma le sembra una “profanazione”, al punto che avverte nella testa delle vere e proprie fitte di dolore».
Come è cambiato il rapporto madri e figlie negli anni?
«Negli anni ‘70 e ‘80 molte figlie sono andate in conflitto con la madre perché lei cercava di educare nel modo tradizionale e invece le figlie cominciavano a vedere tipi di realizzazione diversi da quelli tradizionali: volevano studiare, andare all’università, avere un lavoro e non fare le casalinghe. Oggi, invece, i ruoli sono confusi: madre e figlia sono due universi che si avvicinano e si allontanano ripetutamente, disegnando parabole sempre nuove. Insomma, la rimodulazione è continua, la relazione cresce, cambia. Nelle presentazioni del libro ho trovato molte donne che hanno testimoniato come il vissuto materno ha condizionato le loro scelte, ma riscoprire di avere delle assonanze emotive con la figura materna le ha aiutate a ritrovarsi. Ogni donna contiene in sé la propria madre e la propria figlia, dice Carl Gustav Jung. Un passaggio importante che ritrovo spesso è quando le figlie diventano a loro volta madri: a livello inconscio molte hanno bisogno di sentire che la madre è d’accordo, perché avvertono che stanno prendendo il suo posto».
Qual è il compito più difficile di una madre?
«Lasciare andare i propri figli: il punto di arrivo è sempre l’autonomia. Accompagnare i figli verso la loro completezza. La prima regola è quella di considerarli come persone. I problemi nella maggior parte dei rapporti tra madre e figlia cominciano a emergere con l’adolescenza. L’incantesimo sembra rompersi all’improvviso. A questo punto la madre si sente abbandonata e non più indispensabile».
Quali consigli per la madre?
«Mai fare paragoni con sé stessa. Attenzione ai silenzi e alle “figlie perfette”, sempre accondiscendenti: meglio lo scontro, la baruffa. Ma soprattutto evitare di fare la parte dell’amica. La mamma può essere amichevole, empatica, raccogliere le confidenze della figlia, ma non fare l’amica. Soprattutto nella fase adolescenziale è importante saper ascoltare, più che giudicare o criticare. La figlia comprenderà più facilmente il punto di vista di sua madre se si sente capita e ne farà il suo punto di riferimento. Essere ascoltati e accettati per quello che si è, capiti, sostenuti e guidati, è uno dei più grandi bisogni all’interno delle relazioni e soprattutto in quelle più strette ed emotivamente coinvolgenti. Come succede nel mio libro ad Antonella e Ilaria, madre insoddisfatta della situazione coniugale e figlia sedicenne con i turbamenti e le ribellioni scatenati da una doppia delusione: l’essere stata lasciata dal ragazzo, che si è legato proprio alla sua amica più cara. I nostri figli continuano ad avere alcuni bisogni fondamentali da soddisfare per poter crescere. Anche nell’era delle tecnologie multimediali e delle comunicazioni. Il messaggio che un bambino vuole ricevere, soprattutto in forma non verbale, nei fatti, è il seguente: “Sono contenta di stare con te”».
di Cristina Tirinzoni