Come dialogare di sessualità con i giovani

La disinformazione regna sovrana fra adolescenti e giovani. Almeno quando si parla di sessualità, sesso e contraccezione: si fanno “grandi”, ma ne sanno poco e male, esponendosi a rischi dalle conseguenze ignote: malattie a trasmissione sessuale, gravidanze indesiderate, potenziale infertilità. Quanto è importante informare e responsabilizzare le fasce più giovani a una sana sessualità, quali modalità seguire? Come i genitori possono affrontare tematiche così intime, delicate e personali? Ne abbiamo parlato con la Professoressa Rossella Nappi, docente dell’Università di Pavia e membro del direttivo della Società Internazionale di Endocrinologia Ginecologica (ISGE).

Nella sua esperienza e dai dati di letteratura, quanto sono informati i giovani sulla sessualità?
«Pensano di sapere tanto, ma in realtà ne sanno poco e sono addirittura più insicuri rispetto al passato sotto diversi punti di vista: sull’immagine e la conoscenza corporea, sulla sessualità come performance che va eseguita in una certa maniera per essere sempre all’altezza. Sanno che esistono i metodi barriera o di contraccezione ormonale sicura, ma non li usano con frequenza. Ricerche recenti attesterebbero che solo un giovane su due fa uso del preservativo a causa di barriere culturali, come ad esempio la convinzione che la richiesta del condom al partner sia legata all’idea di promiscuità, e preferiscano così affrontare rapporti non protetti. Con indiscusse conseguenze: il rischio di gravidanze indesiderate, come un utilizzo reiterato della pillola del giorno dopo che non va demonizzata, ma che deve diventare occasione per parlare con un referente qualificato, medico o farmacista, di contraccezione ormonale sicura. Ovvero di contraccezione del prima (preventiva), mantenendo la pillola del giorno dopo come soluzione di emergenza: in caso di dimenticanza dell’anticoncezionale o quando il preservativo si rompe. C’è bisogno di (in)formare i giovani, poco propensi ad ascoltare i consigli degli adulti, sfruttando i canali e il linguaggio a loro più convenzionali».

Quali ritiene siano le vie più efficaci?
«Occorre instaurare un dialogo tra pari, secondo quella che viene definita una “peer education”, all’interno della scuola in cui, al posto dell’educazione dogmatica del ginecologo, siano studenti più grandi come anche studenti di medicina, a informare ragazzi più giovani, anche attraverso gruppi di lavoro in cui si confrontino sulle loro esperienze con un linguaggio adeguato. Penso ad argomenti più comuni come la contraccezione sicura, fino a questioni più serie e delicate come l’identità sessuale, in merito ai quali abbiamo avuto un aumento delle consulenze, che spesso sono frutto di timori, ansia, difficoltà a confrontarsi con gli altri. Questa educazione va estesa anche alle malattie a trasmissione sessuale (MTS): tutelarsi significa proteggere la quintessenza di sé stessi, della propria femminilità o mascolinità, anche in caso di incertezze su identità e orientamento sessuale e del proprio potenziale riproduttivo. Il sesso, infatti, non è pericoloso nella misura in cui ci si sa proteggere, nel rispetto di sé stessi e degli altri e questo significa anche fare uso del preservativo. Inoltre, con i giovani va aperto e instaurato un dialogo che li aiuti a imparare, a crescere, a non sentirsi giudicati dagli adulti, anche nel caso di scelte omosessuali o di avere più partner. Occorre insegnare a un/una giovane il “controllo” delle proprie scelte e della situazione, in qualsiasi contesto, sia esso il bere, le droghe e la protezione, per non diventare vittime di violenza o poter essere strumentalizzati dal branco, passando da abusatori, come nel caso di un uomo che esercita violenza su una donna, ad abusati da un altro uomo, il capobranco che, sfruttando la perdita di controllo, anche parziale dell’altro, “spinge” a fare qualcosa di contrario alla propria volontà. Questo vale per la donna e per il maschio: l’informazione deve essere rivolta a tutti, calibrata sulle necessità di ciascuno. Non ultimo, l’educazione deve essere condotta al passo con i tempi: ad esempio i social hanno cambiato il sesso, con forme di sesso “virtuale”, ma che forse così virtuale non è, perché può essere “agito” via zoom. Ci si guarda, si provano emozioni e vibrazioni verso qualcuno con cui magari il sesso non verrà mai fatto nella vita reale. È necessario quindi che, dialogando di sessualità con i giovani, si tenga conto del contesto sociale e del diverso ventaglio di opportunità che i giovani possono scegliere: fidanzarsi da adolescenti e mantenere lo stesso compagno fino all’università e poi sposarlo; oppure vivere una sessualità più libera, rimandando al futuro l’idea di famiglia».

Come un genitore può affrontare con i figli il tema della sessualità?
«È importante far capire in modo scherzoso ai figli che sono frutto di un atto sessuale fra due persone, che la sessualità è naturale ed è giusto che, prima o poi, un individuo la agisca. Si può in realtà cominciare fin dalla prima età scolare e negli anni successivi con un linguaggio via via più maturo. Il mio suggerimento è che il dialogo su queste tematiche avvenga in contesti informali: ad esempio facendo una passeggiata, a fianco a fianco con il figlio/a, in cui il genitore, in una sorta di auto identificazione, racconti di sé alla stessa età: le paure, le difficoltà a parlare di sesso e sessualità con i nonni e di come invece avrebbe avuto piacere di potersi confrontare con un medico e ricevere informazioni, per esempio sui metodi contraccettivi. Parlare di questi argomenti, partendo da esperienze vissute, funziona perché i ragazzi sono curiosi di conoscere la vita dei propri genitori. Dal canto suo, il genitore deve avere la capacità di tornare a una dimensione “bambina” e il figlio, a sua volta, potrà farlo con i propri figli, affinché si possa instaurare un dialogo fra pari, una contemporaneità emotiva ed espressiva. I genitori devono insegnare ai figli che sono individui unici e irripetibili, che possono stare con persone diverse da sé, imparando a riconoscere nell’altro i propri valori e se così non fosse, non è necessario che si allineino al valore dell’altro, specie se non è condiviso. Se non si ha il coraggio di dire no a fare qualcosa, ad esempio il sesso di gruppo, meglio andarsene e non sottostare a certe regole. Questa presa di posizione non necessariamente sarà occasione di atti di bullismo; dall’altro è pur vero che molti giovani si suicidano anche per colpa dei like e dislike ricevuti: occorre prendere atto e fare qualcosa per fermare questo fenomeno, a partire da una corretta informazione che si avvalga anche di antropologi, sociologi, psicologi, medici e di altre figure professionali».

Qualche buon consiglio per vivere una sessualità sicura in estate…
«Occorre anzitutto non complicarsi le vacanze esponendosi al rischio di infezioni sintomatiche e non, facendo una prevenzione accurata dal punto di vista dell’igiene: cambiarsi il costume, bere molta acqua per evitare la cistite ad esempio. È opportuno vivere una sessualità protetta facendo uso del preservativo e di un metodo contraccettivo tutelandosi da gravidanze indesiderate e da infezioni, come il Papilloma virus, che possono esporre al rischio di tumori, o la clamidia, causa potenziale di infertilità. I giovani devono avere la consapevolezza che è necessario autoproteggersi. Come? Mettendo in atto i consigli del ginecologo o richiedendo in farmacia una pillola sicura come la POP, la pillola solo progestinica, e/o assumendo metodi contraccettivi prescrivibili sempre più sicuri perché a base estrogeni naturali».

di Francesca Morelli

Società Europea di Contraccezione: “POP”, una soluzione senza obbligo di prescrizione

Uno studio inglese, presentato in occasione del Congresso della Società Europea di Contraccezione (ESC), svoltosi di recente a Ghent (Belgio), ha messo in luce le difficoltà che hanno incontrato le donne del Regno Unito nel periodo della pandemia a preoccuparsi della loro “fertilità”, a causa dell’impossibilità di accesso a servizi dedicati, di diagnosi o di cura, per limitati orari di ambulatori e medici, o problemi personali legati alla gestione di figli, famiglia e lavoro. A farne le spese anche la contraccezione: minori occasioni di counselling mirato o di offerte di tutela e prevenzione. La situazione inglese non è distante, presumibilmente, dalla realtà italiana: recenti stime riferiscono che in corso di pandemia si è registrata la diminuzione del 54% degli esami ginecologici, del 34% di nuovi trattamenti e di circa 130 mila cicli contraccettivi in meno. Come risolvere la questione? La dottoressa Michelle Cooper, Consulente in Ginecologia e Salute Sessuale, curatrice dello studio ha esposto come possibile soluzione il ricorso alla POP, la pillola contraccettiva a base di solo progestinico (Progestogen-Only Pill, POP), richiedibile senza obbligo di prescrizione nel Regno Unito, molto apprezzata dalle donne nei nove mesi in cui ne hanno fatto uso. Opportunità che sarebbe applicabile anche in altri Paesi.
La POP incontra il parere positivo anche di esperti italiani: «Favorire la possibilità delle donne di accedere a un metodo contraccettivo sicuro ed efficace», dichiara Rossella Nappi, docente dell’Università di Pavia e membro del direttivo della Società Internazionale di Endocrinologia Ginecologica (ISGE), con il supporto del farmacista, è un importante passo avanti, soprattutto in un periodo come questo dove abbiamo incontrato più difficoltà nell’erogare visite specialistiche. Il confronto con il medico resta fondamentale per una discussione approfondita sulle scelte in tema di salute riproduttiva a lungo termine, ma non avere l’obbligo di prescrizione nell’uso della POP può aiutare, anche in Italia, tutte le donne nella gestione della propria fertilità con maggior consapevolezza in caso di bisogno immediato».
Dunque, quale deve essere oggi e nel futuro l’impegno della ricerca, delle istituzioni e della classe medica? « È necessario migliorare e facilitare la conoscenza sull’uso della contraccezione, sull’aborto, sulle malattie sessualmente trasmissibili e sulla salute riproduttiva in tutti i Paesi europei, avviare differenti politiche in tema di contraccezione e salute riproduttiva, ovvero promuovere la disponibilità di tutti i metodi contraccettivi nei Paesi europei, fare ricerca, incoraggiare le relazioni tra la Società Europea di Contraccezione e Salute Riproduttiva e appropriati enti sanitari a livello mondiale, non solo europeo, condividere fra esperti le conoscenze ed esperienze di contraccezione con Paesi extra-europei, in cui le gravidanze indesiderate restano una questione rilevate. «Promuovere nelle donne la cultura e la gestione della propria fertilità, migliorando l’accesso alla contraccezione e guidando i progressi in questo settore – concludono gli esperti – deve essere una priorità».  F.M.

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