VIDAS: come accompagnare il malato terminale

Accompagnare e prendersi cura delle persone in situazioni di malattie gravi che porteranno inevitabilmente alla morte. È il compito di medici, infermieri, assistenti sociali e altri operatori, che seguono queste persone sia a domicilio, che negli Hospice. Ma è anche la scelta di tanti volontari che si confrontano con grande coraggio e spirito di abnegazione con queste realtà e accompagnano i malati, giorno per giorno, condividendo le loro ansie e paure.
In occasione della Giornata mondiale del Sollievo (26 maggio), abbiamo intervistato la dottoressa Giada Lonati, direttrice socio sanitaria di VIDAS (www.vidas.it).

Cos’è VIDAS e quali obiettivi si propone?
«È un’organizzazione di volontariato che dal 1982 fornisce cure palliative: all’inizio solo a domicilio, nella città di Milano; successivamente dal 2006 anche nell’Hospice per adulti e dal 2019 nel primo Hospice pediatrico della Lombardia. Segue persone di ogni età, affette da patologie inguaribili, nei diversi gradi di assistenza che queste persone richiedono. È stata fondata dalla signora Giovanna Cavazzoni nel 1982 che lavorava nel settore Pubbliche relazioni dell’Istituto dei Tumori e si era resa conto che esistevano malati oncologici che, quando la terapia (chemio o radio) non aveva successo, venivano un po’abbandonati a sé stessi. Da qui era nata l’idea, che si ispirava a modelli già esistenti in altri paesi europei, di creare delle équipe che curassero i pazienti a domicilio. Nel primo anno VIDAS ha seguito circa 20 malati; oggi ne seguiamo più di 2 mila nella città di Milano. Quando la signora Cavazzoni si era ammalata di tumore, aveva deciso di affidare la gestione dell’associazione al dottor Ferruccio de Bortoli, ex Direttore del Corriere della Sera, che è l’attuale presidente».

I pazienti seguiti sono soprattutto a domicilio o anche in alcune strutture? Che tipo di assistenza viene fornita?
«Prevalentemente sono seguiti a domicilio, anche perché abbiamo solo 20 posti letto nell’Hospice per gli adulti che si trova in zona Bonola (Via Ojetti 66) e accanto c’è quello che può accogliere sei giovani pazienti con le loro famiglie. Sul territorio arriviamo ad assistere circa 250 malati ogni giorno. Le cure palliative, per definizione, si prendono carico della sofferenza globale del nucleo paziente/famiglia e sono gestite da un’équipe costituita da medico, infermiere, assistente sociale a cui si associano altre figure professionali come lo psicologo, l’assistente spirituale, il volontario, riabilitatori di varia natura e operatori dell’igiene che si occupano di rispondere a tutti i bisogni del paziente e della famiglia. Nel servizio domiciliare fa parte anche l’erogazione diretta dei farmaci: abbiamo una farmacia interna e inviamo a domicilio i farmaci necessari. Ci occupiamo anche della fornitura di alcuni ausili come il letto antidecubito, la carrozzina, il deambulatore che servono al paziente. Per i minori il discorso è un po’ diverso perché la maggior parte di loro è affetta da malattie genetiche spesso rare, che comportano gravi disabilità: per questo li assistiamo anche per un periodo molto lungo, che può durare diversi anni».

Lei è autrice di diversi libri, tra cui “L’ultima cosa bella” e il più recente del 2022 si intitola “Prendersi Cura”. Cosa vuol dire per lei “prendersi cura” del malato che però non potrà guarire?
«Prendersi cura è una tematica connessa alla mia esperienza professionale di medico che si occupa di cure palliative. Ho lavorato in questo settore per 5 anni all’Ospedale di Garbagnate, per altri 5 anni all’Istituto dei Tumori e per 20 anni presso l’Associazione VIDAS. È fondamentale la riflessione che tutti siamo curanti e nello stesso tempo oggetti di cura. Tutti siamo potenzialmente capaci di “curare”: la cura non è competenza esclusiva dei medici che prescrivono i farmaci. Ci sono tanti altri modi per prendersi cura delle persone che diventano anche esperienze di grande arricchimento personale. Un’immagine che amo molto è quella della candela: spesso temiamo che la sofferenza dell’altro ci consumi. Ma col passare degli anni mi sono resa conto che la candela, pur consumandosi, si trasforma in un’energia diversa. La cura è esattamente questa esperienza di trasformazione. Mi chiedo spesso cosa sarei oggi, se non avessi vissuto accanto a persone che ho visto morire a ogni età. E questo ha avuto certamente un prezzo nella mia vita: ma sulla bilancia metto anche la ricchezza che queste esperienze mi hanno dato».

Tra le testimonianze che ha riportato nel libro, vuole ricordarne una che l’ha colpita in particolare?
«Di esperienze ne ho avute tante. Racconto spesso di una giovane donna, che era mia coetanea, ed è morta nell’anno in cui abbiamo entrambe compiuto 40 anni. Aveva combattuto una battaglia molto dura in seguito a una diagnosi di tumore addominale. Per molto tempo, nonostante la diagnosi, aveva vissuto come fosse stata diversa dalle persone malate, perché si sentiva “salvata”. Ma quando ha avuto la prima recidiva ha capito che doveva anche confrontarsi con gli altri pazienti. E purtroppo all’ultima recidiva, era consapevole che non ce l’avrebbe fatta, ma il suo compito era anche di incoraggiare le persone nella sua stessa condizione. Aveva acquistato un terreno in Sicilia dove, insieme al compagno, dovevano costruire una casa tutta per loro ed era un terreno pieno di mandorli. Ricordo che sul suo comodino conservava tre mandorle. Le considerava un segno che non poteva illudersi, ma poteva continuare a sperare. Per me ancora oggi quelle tre mandorle rappresentano il simbolo della speranza, che è ben diversa dall’illusione…».

Come affrontate la relazione con questi malati a cui cercate di infondere speranza? E come i pazienti si rapportano alla quotidianità di una malattia incurabile?
«Il nostro compito non è certo togliere la speranza, ma nemmeno alimentare l’illusione. L’obiettivo che ci prefiggiamo è costruire un “ambiente di verità”, all’interno del quale il paziente può fare tutte le domande che desidera per trasformare quello che è un evento biologico in un significato biografico. Non è tanto importante sapere tutto sulla malattia, ma sentirsi autorizzati ad esprimere le proprie paure, la sensazione che il corpo ci sta lasciando, salutare e piangere con le persone che amiamo. I nostri compiti sono sostanzialmente due: il primo è far capire alle persone che non saranno più sole, perché noi non abbiamo paura del loro dolore e staremo con loro fino alla fine. L’altro è cercare di dare un significato a quello che sta succedendo, per vivere con pienezza questo tempo. Per farlo è indispensabile coltivare un’attitudine personale che consenta di gestire emotivamente la situazione e trovare anche una sorta di gratificazione. Il nostro compito è aiutare le persone a vivere bene il presente che hanno a disposizione, a riempirlo di qualità e di significato, cercando di accompagnarle, ascoltarle, capire quali sono i loro bisogni. Per questo a nostra volta lavoriamo molto in équipe, aiutandoci a vicenda, seguendo anche corsi di formazione, con il supporto di psicologi e personale qualificato che ci danno una mano a gestire le nostre emozioni».

di Paola Trombetta

 

IL GIRO D’ITALIA DELLE CURE PALLIATIVE PEDIATRICHE FA TAPPA A MILANO

Farà tappa a Milano, lunedì 3 giugno, il 3° Giro d’Italia delle Cure Palliative Pediatriche (GCPP), inaugurato il 4 maggio a Roma sul Ponte della Musica, promosso da Fondazione Maruzza, impegnata da oltre 20 anni nel campo della terapia del dolore e delle cure palliative pediatriche per i minori affetti da malattie inguaribili, insieme a VIDAS, organizzazione che dal 1982 offre assistenza socio-sanitaria gratuita ad adulti e bambini malati inguaribili. Dopo il grande successo delle prime due edizioni che hanno visto la presenza di circa 35mila partecipanti, con più di 100 eventi in 17 Regioni italiane e il coinvolgimento di oltre 200 associazioni, il 2024 si annuncia ancora più̀ denso di eventi. Obiettivo della terza edizione è promuovere lo sviluppo delle Reti di Cure Palliative Pediatriche (CPP) coinvolgendo la società civile e sensibilizzando i professionisti e le Istituzioni per renderle operative in tutte le Regioni.

In occasione del quinto anniversario dall’apertura di Casa Sollievo Bimbi, il primo hospice pediatrico della Lombardia, VIDAS ospita lunedì 3 giugno, dalle ore 9 fino alle 16.30, presso l’Auditorium Alberto Malliani (via Ojetti 66), l’incontro “CARING TOGETHER: la rete delle Cure Palliative Pediatriche in Lombardia”, che si inserisce nella tappa milanese del Giro. Un momento di riflessione e studio sui bisogni di natura clinica, psicologica, sociale e spirituale dei bambini con malattia inguaribile e delle loro famiglie con esperti del settore, docenti ed esponenti delle istituzioni. Tra loro: Ferruccio de Bortoli, presidente VIDAS, Igor Catalano, responsabile Progetto Pediatrico VIDAS, Augusto Caraceni, direttore Scuola di Specializzazione in Medicina e Cure Palliative, Università degli Studi di Milano; Valentina Fabiano, direttrice Scuola di Specializzazione in Pediatria della Università degli Studi di Milano; Walter Bergamaschi, direttore generale ATS della Città Metropolitana di Milano e Lamberto Bertolé, Assessore al Welfare e Salute Comune di Milano. L’incontro è gratuito previa iscrizione qui. La giornata si conclude con l’omaggio musicale dei giovani allievi di Mondo Musica, scuola fondata nel 1999 e diretta da Veruska Mandelli.

Il titolo della terza edizione è: “Ciascuno a suo Nodo, insieme siamo Rete”, un modo per far conoscere il concetto di Rete di Cure Palliative Pediatriche, il modello organizzativo previsto dalla legge 38/2010 che definisce professionisti e servizi atti a garantire la miglior qualità di vita possibile al minore con patologia inguaribile ad alta complessità assistenziale e alla sua famiglia. Le Cure Palliative Pediatriche sono un approccio assistenziale in grado di garantire ai minori affetti da malattie inguaribili e alle loro famiglie la miglior qualità̀ di vita possibile, attraverso il lavoro di professionisti specializzati che si prendono cura dei bambini, preferibilmente a domicilio, sostenendo le famiglie in tutte le fasi della malattia, alleviando sofferenze fisiche, psicologiche, emotive e spirituali.  P.T.

 

 

Articoli correlati