Giuseppina Torre: «La musica è vita: è stata la mia salvezza contro la violenza psicologica»

«Ci sono momenti in cui guardo il mio pianoforte e rimango incantata. Dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi suonare. Non ricordo un attimo della mia vita senza pianoforte». Ci sono anche momenti nella vita in cui tutto sembra perduto. Poi qualcosa ti fa tornare a vivere. Per Giuseppina Torre, pianista e compositrice di fama internazionale, quel qualcosa è stata la musica, dopo aver subito per anni gli abusi fisici e psicologici dentro casa, mentre fuori, il mondo della musica la premiava. Amatissima in America, ha vinto diversi premi, tra cui due Los Angeles Music Awards e due Akademia Awards of Los Angeles e 5th Imea Awards 2018. Ha all’attivo 2 album: Il Silenzio Delle Stelle (Sony Music Italia, 2015) e Life Book nel 2019 (Decca Records, distribuito da Universal Music Italia. L’artista ha anche firmato le musiche di film e documentari, tra cui la colonna sonora del documentario Papa Francesco – La mia idea di arte. Impegnata nella lotta contro la violenza sulle donne, da anni sostiene importanti iniziative di sensibilizzazione. Lo scorso maggio le è stata conferita dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, l’onorificenza di “Cavaliere dell’ordine al merito della Repubblica Italiana”.

Com’è avvenuto l’incontro con il pianoforte?
«Non ricordo di aver mai giocato con una bambola: il mio compagno era un pianoforte regalatomi quando ero una bambina di 4 anni, da mio zio. Una passione totalizzante. A 7 anni cominciai a prendere lezioni. Dopo le superiori mi sono iscritta a Medicina, ma in testa avevo solo il pianoforte e così mi ci sono dedicata, diplomandomi al Conservatorio di Caltanissetta a 24 anni. Durante i miei studi sono stata persino denunciata dai vicini di casa per disturbo alla quiete pubblica. I miei dovettero affittare un garage per consentirmi di continuare a suonare. E durante le vacanze estive, il pianoforte veniva con noi: mio padre si organizzava per farlo portare nella casa che affittavamo al mare».

Cosa rappresenta la musica nella sua vita?
«La musica per me è vita, la mia isola felice. È stata la mia salvezza e spero che aiuti le persone ad avvicinarsi alla propria anima. La vita è come un pianoforte: i tasti bianchi rappresentano la felicità e i tasti neri la tristezza. Ma anche i tasti neri servono per fare musica».

Si riferisce al momento difficile che ha vissuto e che ha avuto il coraggio di rendere pubblico, sebbene doloroso, e di raccontarlo con garbo e lucidità, quasi in punta di piedi. A guardarla oggi, padrona della sua vita, sembra incredibile…
«Chi mi conosce e sa che persona sono, rimane sbalordito di come io possa aver subito tutto questo. Non è facile, per chi lo vive, uscire dall’incubo, soprattutto quando si ha a che fare con un uomo manipolatore. Ero come intorpidita, non riuscivo a pensare, volevo nascondermi dal mondo. Stavo così male che volevo rinunciare persino alla musica, ai concerti».

Qual è stato il primo segnale che le ha fatto capire di avere accanto un uomo violento e manipolatore?
«La violenza psicologica è purtroppo ancora più subdola e silenziosa di quella fisica. Per questo è sempre più difficile riconoscerne la gravità. Quello che ti accade è talmente enorme che semplicemente nascondi a te stessa l’evidenza. Trovi giustificazioni per accettare ogni comportamento “anormale” e lo trovi giusto. Anzi: ti senti colpevole. Se avessi scelto di fare qualcosa indipendentemente da lui, me l’avrebbe fatta pagare, con critiche, accuse, frasi offensive, umiliazioni, silenzi ostili, parole pungenti. Fino a quando non chiedevo scusa, per cose che non avevo fatto. Mi davo la colpa di ogni cosa e pensavo fosse giusto prendermi tutta la responsabilità».

Poi però le umiliazioni e i silenzi sono diventati qualcos’altro…
«Tutto è precipitato nel 2012, dopo quattordici anni che eravamo sposati. Vedermi di nuovo sicura di me e indifferente al suo silenzio, non sentirmi più chiedere scusa per qualunque cosa, lo mandava fuori testa. Voleva controllare il mio cellulare, voleva sapere chi mi scriveva, chi mi telefonava. Quando mi sono rifiutata, è scattata la prima violenza, gravissima. Poi una seconda, altrettanto pesante. Non so come ho fatto a scappare. Quando sono uscita di casa, non sono più tornata indietro. Non ho portato via nemmeno i vestiti».

“Life Book” rappresenta proprio la rinascita di Giuseppina, come donna e come artista. Le melodie sono fluide, leggere, lasciano un velo di pace in chi ascolta e profondissima quiete.
«A differenza dell’album precedente, scritto in un momento in cui davvero non vedevo uno spiraglio di luce, in questo ogni traccia ha un respiro e un risvolto positivo, c’è un ottimismo che aleggia anche nelle tracce un po’ più malinconiche. Lo definirei come un inno alla vita, alla forza di vivere e al coraggio della nuova Giuseppina. Ho imparato a valorizzarmi e a rispettarmi, ho lavorato tanto interiormente su di me e ho scoperto di avere molta più forza di quella che credevo».

“Mentre tu dormi” è dedicata a suo figlio Emanuele, che oggi ha 15 anni.
«Quando era piccolo vivevamo in simbiosi. Poi, ahimè, ho dovuto riconquistare il suo amore, perché suo padre gli aveva raccontato una serie di cose non vere. Ci sono riuscita pian piano. “Mentre tu dormi” descrive la sensazione che ho provato nel riabbracciare mio figlio. L’ho visto sereno tra le mie braccia. Quella sensazione mi ha ripagato di tutto quello che avevo vissuto. Manu è la mia roccia, il mio faro: per me è stato il motivo per cui al mattino dovevo alzarmi e farmi vedere con il sorriso. Bastava un mio annebbiamento perché mi dicesse: mamma che cos’hai?».

Come educare un figlio maschio rispettoso delle donne?
«Spiegando che l’amore non annienta, non annichilisce e non ha nulla a che fare con il controllo, il possesso, la paura, il senso di colpa, l’umiliazione. L’amore è nutrimento reciproco, è libertà e rispetto dell’altro».

L’album si chiude con Never Look Back: davvero non si guarda più indietro?
«Sì. Perché indietro c’è solo dolore. Certo, ci sono le cicatrici. E quelle le guardo, quasi con orgoglio, perché dicono che ne sono uscita. Con la consapevolezza che quel dolore non potrà più farmi del male».

Un consiglio alle donne?
«Avere fiducia in sé stesse. Sembra una frase banalissima: in realtà noi donne abbiamo grandissime risorse. Spesso ci dimentichiamo di volerci bene e darci valore. È la condizione necessaria per avere rapporti affettivi sani, immuni alle manipolazioni e alla violenza».

Cosa vorrebbe fare che ancora non ha fatto?
«Un viaggio in America “coast to coast” con mio figlio da New York a San Francisco. Manu sta crescendo in fretta e fra pochissimi anni troverà, come tutti gli adolescenti, un’esperienza noiosa e poco entusiasmante viaggiare con la mamma».

di Cristina Tirinzoni

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