Per superare la balbuzie ci vuole “metodo”

Cinquantanove secondi, un tempo lunghissimo. Eppure potrebbe essere quello necessario a una persona che soffre di balbuzie per pronunciare “semplicemente” il suo nome, magari neppure in maniera corretta, saltellando o ripetendo alcune sillabe oppure allungandole come si farebbe in un canto. La difficoltà a emettere i suoni potrebbe perfino accompagnarsi a mimiche facciali, spasmi, movimenti e motricità incontrollati. Segni ben visibili della balbuzie a cui si aggiungono quelli psico-emotivi, ancora più impattanti: imbarazzo, vergogna, ansia che peggiora il problema e che insorge ogni qual volta si deve aprire bocca. Perché ogni vocalizzo, malamente e faticosamente pronunciato diventa, soprattutto tra i bambini e i giovani, occasione per fare bullismo, un limite al primo appuntamento tra gli adolescenti, un ostacolo penalizzante in età adulta a un colloquio di lavoro, tanto che studi scientifici attestano che donne con balbuzie hanno il 23% di difficoltà in più ad essere assunte rispetto a donne con facilità di parola.

Eppure la balbuzie, nonostante le sue importanti implicazioni, resta un problema sottovalutato anche in funzione dei numeri: 1 milione di casi solo in Italia con una incidenza dell’8% – secondo i dati diffusi in occasione della Giornata Internazionale per la Balbuzie (22 Ottobre) – di cui 5% fra bambini in età prescolare. Infatti la balbuzie insorge di norma intorno ai 2-3 anni e può risolversi spontaneamente nell’88% dei casi entro i 6 anni o permanere in età adolescenziale (ne soffrono oggi circa 150 mila under 18) e adulta. Su larga scala, a livello mondiale, colpisce l’1.5-3% della popolazione. Ma molti casi, anche per le difficoltà diagnostiche, restano sommersi perché la balbuzie non è avvertita o percepita come un problema, neppure dai genitori che non la segnalano al pediatra. «Invece – spiega Rinaldo Missaglia, pediatra e segretario nazionale SiMPeF (Sindacato Medici Pediatri di Famiglia) – disponiamo di adeguati strumenti per far emergere questo problema e per iniziare l’iter di approfondimento diagnostico e terapeutico. Tra questi ci sono alcuni questionari mirati e le cosiddette “visite ad età filtro” da attuare intorno ai 2-3 anni a scopo preventivo e poi a 6 anni per impostare un eventuale accesso a un percorso terapeutico in caso di specifiche problematiche, entrambe ricomprese nel programma “progetto salute infanzia”, caposaldo del sistema dell’assistenza pediatrica territoriale. Ad oggi, esiste però un vuoto assistenziale nel diagnosticare la balbuzie, soprattutto per la difficoltà di accesso, a causa di lunghe liste di attesa, a visite con il neuropsichiatra infantile e il logopedista, primi referenti per l’inquadramento del problema e per l’impostazione di un intervento terapeutico mirato. Per ovviare in parte a questo problema, anche il pediatra dovrebbe diventare punto di riferimento formandosi adeguatamente sulle modalità di manifestazione della balbuzie e le opportunità terapeutiche».

Gli approcci tradizionali a cui si ricorre nella maggior parte dei casi, prevalentemente improntati su una rimodulazione del controllo motorio del linguaggio, possono non arrivare a dare i risultati sperati o un miglioramento/superamento della balbuzie, invece garantiti dal Muscarà Rehabilitation Method for Stuttering (MRS-S). un metodo sviluppato da Giovanni Muscarà, ex balbuziente e fondatore di Vivavoce, centro per la cura della balbuzie, con l’aiuto e il supporto di neurologi, neuropsicologi, fisioterapisti. «Il MRM-S non si limita a insegnare i modi per evitare la balbuzie – dice Muscarà – o ad affrontare il problema solo da un punto di vista psicologico ed emotivo, ma prevede un lavoro di rieducazione della persona, affrontato in un percorso multidisciplinare con differenti figure professionali (neuropsicologo, neurologo, fisioterapista) affinché possa riprendere il controllo di ogni singolo movimento coinvolto nella produzione dei suoni, imparando a gestire il linguaggio anche in un contesto di ansia e stress».

Il metodo MRM-S è, dunque, di tipo comportamentale e si fonda sul principio del motor learning, puntando cioè a rieducare, attraverso la pratica e l’esperienza, il comportamento e la corretta coordinazione tra schemi respiratori, fonatori e articolatori a favore di una migliore padronanza/controllo dei movimenti e quindi della voce. Appresi questi schemi motori, si  prende in cura l’aspetto più emotivo e comportamentale della balbuzie, identificando le situazioni quotidiane vissute dalla persona come stressanti e allenando l’efficacia del nuovo schema motorio appreso in tali situazioni. «Il metodo MRM-S – aggiunge Pasquale Anthony della Rosa, neuroscienziato che collabora con l’Unità di Neuroradiologia Pediatrica dell’Ospedale San Raffaele – è l’unico metodo per la balbuzie in Italia a essere sottoposto a validazione scientifica per analizzare l’effetto del metodo sui vari meccanismi di controllo del linguaggio quali attenzione, controllo cognitivo, monitoraggio, fonoarticolazione e comportamento».

«Sebbene non vi sia unanimità da parte della scienza sulle cause della balbuzie – precisa Valentina Letorio, neuropsicologa – le recenti teorie neuroscientifiche ricondurrebbero la balbuzie a un malfunzionamento dei processi alla base della produzione del suono, compresi la programmazione, l’esecuzione e il controllo dei movimenti che seguono l’emissione dei suoni stessi, inquadrandola come fenomeno cognitivo complesso. Se questi meccanismi subiscono una sorta di cortocircuito, come accade nel balbuziente, e si interrompono, accade che la voce diventa dis-fluente, caratterizzandosi con ripetizioni, tentennamenti, blocchi a cui si sommano esiti psico-emotivi (stati emotivi alterati, ansia, stress) e comportamentali (rinuncia, isolamento)». Per affrontare il fenomeno balbuzie nella sua complessità e impostare un trattamento efficace nel tempo, si richiede un lavoro globale sulla persona, considerata nella sua totalità e individualità, agendo su tutte le componenti coinvolte.

«Guardiamo con grande interesse e curiosità al metodo Muscarà – conclude Missaglia – poiché potrebbe rappresentare un’opportunità per colmare un vuoto di informazioni scientifiche autorevoli per affrontare la balbuzie».

di Francesca Morelli

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