Il lavoro “deprime” le donne italiane

Assenteismo con punte del 25% e calo della produttività, anche del 50%. Sono il peso della depressione sul mondo del lavoro: lo certifica la Società Italiana di Psichiatria (Sip) in occasione della Giornata mondiale della salute mentale del 10 Ottobre, che quest’anno l’Oms (Organizzazione mondiale della sanità) dedica alle ricadute dei disturbi mentali in ambito professionale. Un problema mondiale, quello della depressione, con un forte impatto sociale, economico e relazionale: 300 milioni di individui convivono con problemi depressivi e 260 milioni con stati ansiogeni; in Europa si stima che nell’arco della vita 40 milioni di individui avranno a che fare con disagi mentali. E l’Italia non è da meno: 10 milioni di casi, pari a 3 milioni di depressi – il 5% della popolazione –, con prevalenza di donne e donne lavoratrici. Su 28 milioni di lavoratori, circa 6 milioni (1 su 5) soffre di stress da lavoro, di questi 3 milioni e 200mila sono donne. Sperimentano sintomi e disagi psichici che hanno alla base un denominatore comune: lo scarso adattamento alle difficoltà, vessazioni, ostilità subite in ambito lavorativo, come le forti pressioni e barriere culturali che rendono l’affermazione professionale della donna più faticosa e impegnativa, le differenze salariali rispetto ai colleghi maschi che occupano medesime posizioni, la competitività, i difficili rapporti interpersonali, fino ad essere vittima di atti di bullismo che nel 30% sono causa di esordio della depressione.

A tutto questo si sommano le responsabilità e il ruolo di “care giver” all’interno della famiglia. Situazioni che costano care a 1 milione di donne che sviluppano problematiche e disagi mentali anche importanti: 500mila disturbi d’ansia, 230mila problemi di insonnia, 220mila depressione, 2 milioni 200mila disturbi transitori di ansia, irritabilità, facilità al pianto, deficit di concentrazione, tutti comunque meritevoli di attenzione clinica. Problemi che insorgono con un’incidenza maggiore tra le donne più giovani, complici le alterazioni ormonali nelle diverse fasi riproduttive (gravidanza, puerperio) o in donne che lavorano a contatto con il pubblico. «La depressione – dichiara Bernardo Carpiniello presidente della Sip, direttore della Clinica Psichiatrica della Azienda Ospedaliero-Universitaria e Professore di Psichiatria all’Università degli Studi di Cagliari – è oggi la seconda malattia invalidante al mondo con prospettive di raggiungere, entro il 2030, un preoccupante primato con ripercussioni sulla capacità e produttività lavorativa. A tal punto che la depressione rappresenta oggi la prima causa di giornate perse fra tutte le patologie e tra i fattori che influenzano maggiormente il calo di performance professionali». A ciò si aggiungono gli altissimi costi socio-economici. Un recente studio condotto dall’Oms stima che depressione e ansia costano circa un trilione di dollari, stimati in Europa nell’ordine dell’1% del Pil. Costi umani e monetari che impongono l’adozione, quanto più rapida possibile, di azioni di prevenzione collettiva, counselling, problem solving e attività di promozione della salute all’interno delle imprese e nei luoghi di lavoro. Perché se il lavoro per anni era stato fonte di reddito, di prospettive familiari e di realizzazione di sogni, oggi sembra essere diventato un vettore di preoccupazioni, problemi e patologie mentali, unito ai fattori moderni di rischio quali la velocità, la reattività, l’interazione immediata, l’essere sempre sottoposte a valutazioni personali.

Nuove evidenze e implicazioni sul lavoro, dunque, che hanno alzato il livello di guarda e di attenzione delle istituzioni, impegnate a tutelare cittadini e lavoratori. Come la stessa Sip che intende costituire una rete di alleanza con la medicina generale, la pediatria, la scuola, gli ambienti di lavoro con un duplice scopo: promuovere validi percorsi diagnostici e terapeutici, utili a contrastare la depressione, così come a combattere la disinformazione e lo stigma che ancora avvolgono il fenomeno “depressione e disturbi psichici”. Rivolgendo un’attenzione particolare al femminile, come sottolinea Gemma Lacaita, Direttore Socio Sanitario dell’Asst Fatebenefratelli Sacco di Milano: «La nostra Azienda sta lavorando attivamente con progetti di conciliazione vita-lavoro dedicati al reinserimento delle donne lavoratrici dopo la maternità, che affiancheranno iniziative già realizzate grazie al lavoro di gruppi multidisciplinari dedicati: tra questi, spazi e momenti dedicati alla donna come aree allattamento per le neo-mamme, nidi aziendali con tariffe agevolate, corsi di yoga per i dipendenti. Progetti con i quali intendiamo prenderci cura delle necessità e delle “variabili di genere”, spesso trascurate invece dalle aziende».

Mettendo così un argine al problema depressione che continua a crescere dentro i confini domestici e lavorativi. «Poco conta che venga definita frustrazione o demotivazione, ansia o depressione o ancora esaurimento. Quale che sia la denominazione – conclude Claudio Mencacci, Direttore del Dipartimento Salute Mentale ASST Fatebenefratelli Sacco – questo disagio psichico radicato, che tende a sfociare nel clinico, solleva una questione urgente: la necessità di riformulare in una nuova ottica l’ambiente lavorativo. Trasformandolo cioè in un luogo “professionale” capace di contenere e realizzare appieno il tesoro della diversità tra uomini e donne, invertendo il corso di questa strada finora in salita». Soprattutto per le donne.

di Francesca Morelli

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