GIORNATA DELL’AUTISMO: LE MAMME NON VANNO LASCIATE SOLE

Il 2 aprile il mondo si è tinto di blu, il colore della Giornata mondiale della consapevolezza dell’autismo istituita dall’ONU nel 2007. In molte città i monumenti hanno assunto il più intenso colore del cielo: mostre, eventi, convegni per far meglio comprendere questa particolare disabilità e promuovere la ricerca per migliorare la condizione di chi ne soffre e di chi gli sta vicino. Di autismo si parla spesso. Da ultimo la notizia di Robert De Niro, padre di un figlio autistico, intenzionato a proiettare al Tribeca Film Festival, un documentario di Andrew Wakefield, l’ideatore della teoria sul legame tra i vaccini e l’autismo, tesi sconfessata dalla comunità scientifica e sostenuta con prove false, costate a Wakefield la radiazione dall’albo. Dopo molte polemiche De Niro ci ha ripensato: «Non credo che il documentario possa contribuire al dibattito sulla questione come speravo», ha ammesso e il film non verrà proiettato.
Tante discussioni che fanno notizia, suscitano polemiche, ma spesso ci si dimentica che dietro a un bambino autistico ci sono mille difficoltà da gestire giorno per giorno. E non sempre chi deve farlo riceve il giusto supporto. Come le mamme, che hanno un ruolo difficile, sempre! Ma quando il proprio figlio è affetto da un disturbo dello spettro autistico (ASD) lo è ancora di più. Questa condizione prevede una compromissione delle abilità comportamentali, di comunicazione e di interazione sociale. Il bambino autistico fatica a sostenere lo sguardo davanti alla forza e alla complessità del mondo, ha bisogno di aiuto e spesso è principalmente la madre a darglielo e per farlo molte donne rinunciano a lavoro, interessi e svaghi.
Ma secondo uno studio dell’Università di Tel Aviv, pubblicato su Research in Autism Spectrum Disorders, queste rinunce non sempre sarebbero positive. Dall’analisi di una trentina di madri di bambini autistici è emerso che quelle più soddisfatte e coinvolte nelle loro attività quotidiane riuscirebbero meglio a supportare i propri figli. Il grado di partecipazione attiva alla vita di tutti i giorni di un bambino autistico dipenderebbe per un 20-30 per cento da quanto la madre si sente coinvolta in varie attività che vanno oltre la cura del figlio. Questo le consentirebbe di raggiungere l’autoefficacia, quella convinzione di poter affrontare il suo speciale compito e incidere positivamente sul futuro del figlio, tanto importante per il bene del bambino.
«Al di là dei dati di questo piccolo studio, è importantissimo che le mamme di bambini autistici riescano a trovare i loro spazi; mantenere un lavoro, degli interessi sono tutti elementi che fungono da valvola di sfogo, momenti personali per ricaricarsi che proteggono anche da eventuali ansie e depressioni», dichiara la dottoressa Cristina Motta, neuropsichiatra infantile ed esperta di ASD. E questo ha ripercussioni positive sui figli. «Riuscire a mantenere una rete sociale e a non isolarsi dal mondo può permettere anche di favorire la socialità dei bambini e le loro competenze relazionali, oltre che a stimolarli e sostenerli nell’affrontare le semplici attività quotidiane per loro tanto complesse».
Ma perché ciò accada serve che queste donne non siano lasciate sole. Hanno bisogno di sostegno e di imparare a gestire in modo efficace il proprio figlio. «Non è sufficiente volergli bene: le mamme, ma anche i papà, oltre che essere genitori devono diventare educatori, devono imparare ad analizzare correttamente i comportamenti del figlio», continua la dottoressa Motta. «Tra i terapisti e i genitori deve esserci una “joint venture” dove ognuno porta le proprie esperienze e competenze per il bene del bambino, un obiettivo raggiungibile con il parent training».
Ma questa attività di formazione per i genitori, la cui validità nell’incrementare la loro autoefficacia e la loro comprensione del disturbo autistico è stata riconosciuta nelle Linee Guida 21 dell’Istituto Superiore di Sanità, non è sempre accessibile. «È fondamentale, ma mancano purtroppo specialisti adeguatamente formati e, il più delle volte, le ASL non forniscono il servizio che i genitori devono cercare altrove». Lo possono cercare in studi dove esercitano specialisti privati o in una delle Onlus che operano sul territorio e tentano, tra mille difficoltà, di andare incontro alle necessità delle famiglie con un bambino affetto da ASD. Associazioni senza fini di lucro che offrono consulenza, programmi educativi per bambini e spazi dove i genitori possono incontrarsi e confrontarsi e ricevere supporto. Per citarne alcune: “Tuttigiuperterra” di Roma, la friulana “ProgettoautismoFGV” e “L’Abilità” di Milano che, tra gli altri servizi, offrono anche corsi di parent training. Associazioni che collaborano anche con scuole e ASL e che, con i sempre più risicati fondi pubblici, le donazioni, le quote associative e piccoli contributi richiesti ai fruitori dei servizi, in base alle loro disponibilità, aiutano il bambino autistico prendendosi cura dell’intera sua famiglia.

di Cristina Gaviraghi

 

RODDI: LA PIATTAFORMA INFORMATICA PER AIUTARE IL BAMBINO AUTISTICO

Sono stati presentati oggi a Milano i risultati del progetto RODDI (New Robotic Platform for Rehabilitation of Children with Pervasive Developmental Disorders and Cognitive Impairments) in un convegno dal titolo: “Quale tecnologia per quale autismo? Il Progetto RODDI: per giocare, curare, imparare”. Nato dalla collaborazione tra l’Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano, l’Istituto Superiore Sant’Anna di Pisa e l’Associazione milanese l’Abilità Onlus e finanziato dal Ministero della Salute, RODDI è una particolare piattaforma robotica ideata per studiare e favorire, con un approccio multidisciplinare, le capacità relazionali dei bambini affetti da disturbi dello spettro autistico medio-grave. Dopo un’iniziale fase di progettazione, condotta con pedagogisti ed educatori de l’Abilità, la piattaforma è stata sperimentata su alcuni bambini autistici frequentanti l’associazione stessa. «Questo progetto innovativo ci ha permesso di analizzare l’interazione che hanno i bambini con disturbi dello spettro autistico nel contesto del gioco tradizionale e di quello mediato da piattaforma robotica», spiega Matilde Leonardi dell’Istituto Besta. 
RODDI, però, non è da considerarsi un progetto finito, come afferma Carlo Riva, direttore dell’associazione. «È un’esortazione a continuare la ricerca su uomo e tecnologia, per scoprire nuovi metodi e tecniche in grado di andare incontro ai bisogni del bambino autistico, in modo da favorirne lo sviluppo relazionale e della comunicazione».  (C.G.)

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