ANORESSIA: SEMPRE PIU’ PRECOCE, SEMPRE PIU’ PREOCCUPANTE

Patologie subdole che sferrano colpi durissimi al corpo, e molto spesso si correlano a un forte disagio che nasce nella mente e va a distorcere profondamente il rapporto e la visione del cibo e dell’alimentazione. Stiamo parlando dei DCA, Disturbi del Comportamento Alimentare: anoressia, bulimia o i binge eating disorders (disturbi da alimentazione incontrollata). Patologie che insidiano soprattutto le donne (90-95% dei casi) con picchi di maggiore incidenza intorno ai 14 e ai 25 anni. Oltre 9mila nuovi casi ogni anno, secondo gli ultimi dati messi a disposizione dal Ministero della Salute, che segnala un incontrovertibile allargamento del fenomeno, sempre più precoce e preoccupante, al punto di avere indotto l’Istituto Superiore di Sanità ad avviare un percorso di formazione sulla diagnosi precoce per medici di base e pediatri su tutto il territorio nazionale.
Alla dottoressa Laura Bellodi, professore Ordinario di Psichiatria e Preside della Facoltà di Psicologia presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, e Direttore del Centro per i Disturbi Alimentari dell’Ospedale San Raffaele, abbiamo chiesto di aiutarci a capire i disturbi alimentari soprattutto tra le giovanissime.

Dottoressa Bellodi, cos’è  l’anoressia?
«E’ un sintomo che va ascoltato, da prendere sul serio: rinvia a qualcosa di più profondo, che va al di là del puro problema nutrizionale, e coinvolge la sfera psicologica e quella relazionale. Dietro il rifiuto del cibo, viene mascherata una richiesta che non si riesce a esprimere in altro modo, e ruota sempre intorno al desiderio di essere riconosciuti come un soggetto unico e irripetibile. In una lettura psicoanalitica, l’anoressia è anche un atto estremo e drammatico di rivendicazione della propria soggettività e diversità. Diventare invisibili per essere finalmente viste».

C’è davvero un abbassamento dell’età tra le ragazze che soffrono di disordini alimentari?
«Sì, l’età di esordio della patologia si sta abbassando: anoressia, bulimia nervosa e alimentazione compulsiva colpiscono, in un caso su 10, già nella pre-adolescenza, tra i 9 e i 14 anni. Ma ci sono forme di esordio più tardive, addirittura dopo i 40-50. Donne che hanno magari da tempo una sofferenza anoressica latente e che riescono a contenerne la gravità fino a un certo momento, poi la malattia esordisce in occasione di un cambiamento, come una separazione… E il fenomeno è in crescita, anche tra gli uomini. Un fatto nuovissimo: dieci anni fa costituivano un’eccezione. Oggi il 10 per cento della patologia è maschile, e raddoppia nella fascia d’età 13-17 anni. Per loro il disagio si manifesta come l’ossessione per la massa muscolare».

Perché tante ragazzine si ammalano?
«L’anoressia sta diventando sempre di più un “contenitore” di problemi giovanili molto diversi tra loro. Gli adolescenti sono i più vulnerabili e i più colpiti. Questo infatti è un periodo estremamente delicato di passaggio tra la dipendenza dell’infanzia e l’autonomia della fase adulta. Un corpo adolescente è di per sé difficile da gestire in quanto nuovo e in continua trasformazione, imperfetto e spesso portatore di messaggi interiori che la preadolescente non sa ancora decifrare. La precocità della pubertà, che però non sempre corrisponde alla maturazione psichica che consentirebbe alla ragazzina di essere psichicamente pronta a dare un senso ai cambiamenti del corpo, complica anche l’emancipazione: sia la ragazza sia la famiglia sono meno pronti ad affrontare la separazione psicologica che la crescita inevitabilmente comporta». 

Le sollecitazioni dei media sono martellanti e l’ideale di bellezza, omologato a quello di magrezza, è in primo piano. Cosa ne pensa?
«Oggi la magrezza è un’icona di bellezza femminile. Sicuramente c’è l’evidenza di questa pressione sociale e culturale, ma l’accusa al modello di donna proposta dai media non tiene o perlomeno va relativizzata. Il concetto della magrezza delle modelle, se preso come unica chiave di lettura, è riduttivo e non coglie la complessità del problema. La moda, così come la pubblicità e il culto esagerato della magrezza, possono favorire dei processi di identificazione inconscia, ma questi modelli estetici non fanno altro che suggerire la forma del sintomo attraverso il quale si esprime un profondo disagio interiore che già c’è, e che deriva da un complesso intreccio di fattori: predisposizione genetica, aspetti psicologici individuali, bassa autostima, perfezionismo, difficoltà nel processo di separazione-individuazione dal nucleo familiare, rifiuto del corpo adulto e della sessualità, influenze socio culturali e ambientali e molto altro ancora». 

Prima si diceva che era colpa della madre, poco affettiva, ora qualcuno punta il dito contro padri assenti, immaturi e incapaci di gestire il rapporto con la figlia. Ci aiuta a capire?
«Molte mamme sono iperprotettive o severe con le figlie, ma non per questo le ragazze diventano anoressiche. Una mamma che critica l’atteggiamento alimentare della figlia, con frasi del tipo “stai ingrassando”, è facile che la condizioni. Così come il ruolo del padre nello scatenarsi dell’anoressia può essere importante, ma di certo non è lui il “colpevole”. Il fatto è che i disturbi alimentari sono una questione maledettamente complessa. Quel che serve a capire i disturbi alimentari in una persona può non aver nulla a che fare con gli stessi disturbi in un’altra. Ogni anoressia è diversa». 

Cosa può fare un genitore quando inizia a cogliere qualche indizio nella propria figlia?
«In primo luogo si deve tenere presente che il disturbo alimentare è la punta dell’iceberg di una sofferenza che ha radici profonde. E’ a queste che va posta attenzione e non tanto a quello che una ragazza (o un ragazzo) mangia o non mangia. Spostare l’attenzione dal cibo alla sofferenza, a quello che la figlia chiede attraverso il rifiuto del cibo è senz’altro più produttivo che cercare di convincerla a fare uno sforzo di volontà, del resto impossibile in questi casi. Occorre evitare per quanto possibile critiche, rimproveri, accuse di mancanza di volontà o giudizi negativi, mantenendo invece un atteggiamento di disponibilità e vicinanza».

Spesso in questi casi le persone, giovanissime o meno, rifiutano l’idea di essere malate e dunque di farsi curare. Come aiutarle?
«La letteratura scientifica non ha mai dato cenni di remissioni spontanee della patologia, in tutte le età. Purtroppo le anoressiche non riescono a uscirne da sole. Riconosciuti i primi segnali bisognerebbe parlarne subito con il medico di famiglia o, nel caso delle ragazzine più piccole, con il pediatra. Le patologie alimentari sono vere e proprie malattie che non si curano in famiglia. Non bastano l’amore e la cura dei genitori. Spesso mamma e papà si sentono investiti da questa responsabilità e da oscuri sensi di colpa che fanno però perdere del tempo prezioso. Occorre rivolgersi a un centro specializzato o a un professionista per ricevere il sostegno e la cura più appropriati. Chiedere aiuto tempestivamente, prima che passi troppo tempo, aumenta le possibilità di recupero».

Come si curano queste patologie?
«Uscire è possibile. Non esistono però scorciatoie, ma lunghissimi percorsi verso la guarigione, con miglioramenti ma anche possibili ricadute. La complessità della “malattia” deve riflettersi in un approccio di tipo multidisciplinare e integrato, che permetta di affrontare i DCA nei loro vari aspetti: fisici, nutrizionali, psicologici, relazionali e familiari. Nel caso le condizioni cliniche siano gravi, sono necessarie l’ospedalizzazione o l’accoglienza in centri di cura residenziali (vedere box, ndr). L’obiettivo terapeutico consiste nell’aiutare la ragazza a riacquistare normali abitudini alimentari e riconquistare la salute e il peso-forma, assieme al recupero della fiducia in se stessi».

Quale approccio educativo in chiave preventiva suggerisce ai genitori?
«E’ importante accettare i figli nella loro individualità, rispettarne la personalità senza aspettarsi da loro la perfezione. E’ con un atteggiamento costante di comprensione e valorizzazione, e non con l’iperprotezione, che si possono aiutare i figli a costruire un’immagine interiore di sé su cui trovare appoggio per fare fronte alla vita, promuovendo la separazione e l’emancipazione dei figli e sostenendo i loro progetti esistenziali. Un’attenzione alle loro prospettive, ai sogni ma anche, e soprattutto, alle difficoltà e insicurezze. Per una prevenzione efficace, che abbia come obiettivo la realizzazione di una buona armonia tra corpo, autostima e alimentazione, diventa prezioso insegnare alle nuove generazioni la cultura del cibo buono e sano. Anziché dividere il cibo in grasso e magro. Questo porterà a una visione dell’alimentazione come strumento di benessere e non di autodistruzione».

di Cristina Tirinzoni

I CENTRI OSPEDALIERI PER CURARE I DISTURBI ALIMENTARI
A fornire una mappa completa di associazioni e strutture pubbliche e convenzionate sul territorio nazionale è il sito Internet www.disturbialimentarionline.it , un progetto del ministero della Salute. Contiene un elenco diviso per regioni. Si possono chiedere informazioni anche a un numero verde di counseling telefonico 800-180969, attivo 24 ore su 24. Nelle strutture specializzate si avrà il supporto di diverse tipologie di medici, si effettueranno incontri con uno psicologo, un dietista, un nutrizionista.
(C. T.)

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