LA MALATTIA, LA LUCE, L’AMORE…

C’è un altro libro di cui devo per forza raccontare: Il male dentro. Qui si parla di tumore ma non è un libro “sulla malattia”, come ne esistono tanti in circolazione, anche di belli: è un romanzo sulla vita, la luce, l’amore. “La vita è anche quella che sguscia fuori, inarrestabile, in un pianeta alieno quale è un istituto oncologico”, dice Maria Giovanna Luini che ritorna in libreria col suo sesto romanzo. “Nessuno ama la vita più di chi conosce la lotta per non perderla…”. Il male dentro (Cairo Editore) è una storia narrata a più voci, ambientata in un istituto oncologico d’avanguardia e di ciò che lì accade: medici e pazienti, infermieri, gente che si incontra e interagisce, e vive, ama e muore, e ha paura e ha gioia, ironia e speranza. Storie di vita. Poco importa se anche questa volta ci sia qualcosa di autobiografico o no. Perché ormai tutti lo sanno: Giovanna Luini, scrittrice di narrativa e saggistica, è lo pseudonimo (usando il cognome del marito Alberto, chirurgo senologo) della dottoressa Maria Giovanna Gatti, medico oncologo e comunicatore scientifico all’Istituto Europeo di Oncologia di Milano, da sempre in prima linea accanto a Umberto Veronesi nella lotta contro il cancro.

Ha scritto fiabe, raccontato i disturbi alimentari, la solitudine e l’erotismo… Perché adesso ha deciso di scrivere un romanzo ambientato in un centro oncologico?

«Per anni ho creduto che non l’avrei fatto. Ero certa di non volere mescolare scrittura e anima medica. Poi sono cambiata io, sono cambiati i tempi… il fatto è che la scrittura fa come vuole. I personaggi nelle mie storie nascono da soli. Sono nati così Stefano Solda, chirurgo senologo, Barbara Giustini, giovane aspirante chirurgo, Anna Bianchi, medico e scrittrice omosessuale, Luciano Stuti, direttore generale bellissimo e algido, Luc van Reijen, chirurgo toracico belga, Giulia, la ragazza bellissima, che si sta spegnendo a soli ventisette anni. Rosa, abbandonata dal marito subito dopo la diagnosi, Giovanna e tanti pazienti che sono l’anima vera del romanzo. Donne impaurite, ma anche piene di vita, desideri, progetti. Se c’è un filo rosso in queste storie è proprio quello delle emozioni. E’ soprattutto un viaggio nei sentimenti che si alternano e si confondono. Un cammino che inizia da un senso di smarrimento profondo, passa “vicino all’abisso della disperazione”. Si sente il coraggio di piangere, parlare, raccontare, sognare, di non nascondersi le proprie fragilità. Un tempo scandito da ricadute e nuove speranze. Inseguendo terapie: tradizionali, sperimentali, spirituali».
 

La diagnosi di un tumore continua ad avere un impatto violento, che richiede un certo tempo per essere rielaborato e superato.

«Nella relazione medico paziente, la comunicazione empatica è un arma reale e concreta per la prevenzione, la cura e la guarigione. Non sempre è semplice saper dire che si è terrorizzate. Parlare di emozioni può fare paura. Accogliere quelle paure, quei timori giustificati, reali con un ascolto attento, partecipato, vissuto con l’altro diventa fondamentale. Il momento diagnostico è il più delicato, quello in cui le pazienti hanno bisogno di trovare non solo una competenza tecnica adeguata ma anche un sostegno psicologico. Non conta solo cosa si dice, ma come lo si dice. Oltre le parole contano i gesti, lo sguardo la capacità di trasmettere empatia. Curare non significa solo trattare scientificamente una patologia ma avere cura di una persona nella sua interezza».

Lei è anche un medico che si confronta ogni giorno con la sofferenza e le emozioni più viscerali: cosa ha imparato dalle donne che lottano contro quel male dentro?

«Imparo tantissimo: da ogni pianto, da ogni sgomento, da ogni sorriso che si è fissato in modo indelebile dentro di me. Mi confronto ogni giorno con sofferenze indicibili, ma anche con una umanità straordinaria: sono donne di tutte le età, anche molto giovani, che spesso guariscono ma qualche volta no. Da loro imparo a sorridere e a usare l’ironia ma anche a non banalizzare il dolore, a trattarlo con rispetto. Le persone che incontro mi cambiano. Senza questi incontri non sarei diventata la persona che sono! ».

Come suggerisce di affrontare una prova così dura?

«Io non so rispondere a questa domanda che in fondo mi turba, ma qualunque sia la risposta – se mai ci possa essere – credo passi necessariamente dalle storie individuali. Si reagisce nei modi più diversi, la malattia fa emergere i modi di essere di ciascuno. Ho incontrato donne che reagiscono con grinta e determinazione, altre che cadono in depressione, altre ancora che preferiscono, più o meno consapevolmente, nascondere ciò che provano agli altri e a se stesse, e continuano la loro vita come se nulla fosse accaduto. E’ un modo di proteggersi nel rispetto dei propri tempi e spazi».

Sconfiggere il tumore è la priorità, poi subentra la voglia di vivere la quotidianità… Come cambia la femminilità dopo una mastectomia e i trattamenti oncologici come la “chemio”, le terapie ormonali?

«Il seno è una parte del corpo ad alta valenza emotiva: è legato alla femminilità, alla maternità… Il seno nutre, protegge è un simbolo di vita e crescita; un seno rappresenta la sensualità e la sessualità. Asportare una parte di questo organo prezioso richiama una perdita simbolica di una parte di sé e dell’essere donna, che dovrà essere elaborata e integrata in un’immagine nuova e differente. Fortunatamente, oggi, possiamo intervenire in maniera molto più conservativa, consentendo alla donna di mantenere l’integrità della propria immagine. La ricostruzione di un nuovo seno, che assomiglia per forma e consistenza a quello asportato, per la maggior parte delle pazienti è oggi possibile già durante la mastectomia. Spesso, ci si risveglia dall’intervento con una neo-mammella, e questo è sicuramente un aiuto per la conservazione dell’integrità della propria immagine. La donna deve però riprendere confidenza con il suo nuovo seno e imparare ad accettarlo per evitare una sorta di “rigetto emotivo” della protesi».

Quella protesi che non si ha il coraggio di toccare…

«Un buon consiglio pratico è quello di fare degli auto-massaggi al seno con olio di mandorle dolci. È una sorta di neuro-riabilitazione che serve a reintegrare il seno operato nell’immagine corporea specie dopo la mastectomia, ma anche per il recupero sensoriale della cute e del capezzolo».

 

Riavvicinarsi alla vita sessuale dopo un tumore non è per tutte facile e immediato. La bellezza sembra sfiorire, i capelli cadono, si arriva a vomitare 14 volte in un giorno, si insinua il timore di non piacere più al proprio uomo…

«Un’intesa profonda col partner può rendere tutto più facile e portarci più rapidamente verso una ripresa della vita sessuale quanto più normale e appagante. Certamente la paura di far male è frequente nel partner dopo l’intervento chirurgico. Una tipica situazione che si crea, infatti, è che lui non cerchi più sessualmente la partner per paura di farle male o che lei non sia pronta o non ne abbia voglia. Ma lei pensa che il compagno la stia evitando perché non la ritiene più attraente e non la desidera: un’idea che aumenta la sua insicurezza e le impedisce di prendere l’iniziativa. Insomma, un circolo vizioso da cui è possibile uscirne parlandone apertamente. A volte subentrano altre problematiche, strettamente legate alle terapie. Spesso le donne operate al seno vengono sottoposte a una cura che induce una menopausa forzata, oscillante tra i 2 e i 5 anni. Ciò può portare a una minor lubrificazione del canale vaginale e una certa secchezza che rende i rapporti dolorosi, ma se si ci si rivolge al ginecologo si possono trovare rimedi efficaci».

Il tumore al seno è un banco di prova anche per la vita a due, non è vero?

«Quella persona che diceva di amarti, di vivere per te, che senza di te non poteva vivere, come reagirà? Ora ti guarda, cosa penserà? Avrà voglia di combattere o fuggire, di stringersi a te o lasciarti? A freddo nessuno dice: me ne vado perché sei malato. Ci sono tanti casi di separazioni, anche quando le terapie hanno esito positivo. Mariti e compagni, fidanzati evaporati nel confronto con una mammografia, frantumati da una quadrantectomia o una mastectomia o dalla terapia ormonale che per un po’ diminuisce il desiderio di fare l’amore. Ci sono donne che hanno rafforzato gli affetti. Ma anche donne che non si accontentano più di rapporti mediocri o falsi, e imparano a rispettarsi, a distinguere chi le ama da chi non le ama. E sono rimaste sole dopo o durante il cancro, come se la malattia arrivasse anche per spazzare via la muffa».

di Cristina Tirinzoni

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