Mamma coraggio: due figli dopo un tumore all’ovaio

«Ho ricevuto la diagnosi di tumore all’ovaio a luglio 2014. Avevo 37 anni ed ero sposata da poco, con una gravidanza che purtroppo si era appena interrotta. Il gonfiore addominale mi ha messo in allarme, anche perché ho una familiarità pesante: nonna e mamma (mancata purtroppo lo scorso anno) con questo tumore e test BRCA mutato. Nel mio caso invece il test genetico è risultato normale. Nonostante questo, il tumore è comparso. Un po’ per intuito, un po’ per fortuna, è stato diagnosticato allo stadio iniziale. Il mio desiderio di maternità era grande. E ho chiesto ai medici che mi dovevano operare la possibilità di poter conservare la fertilità. Dopo gli accertamenti del caso, anche il chirurgo ha concordato di mantenere l’utero e l’altro ovaio, oltre a propormi, come ulteriore garanzia, la crioconservazione degli ovociti. Il tutto eseguito a tempo di record alla clinica Mangiagalli di Milano, mentre l’intervento di asportazione dell’ovaio all’Istituto dei Tumori. Dopo sei mesi di chemioterapia, sono stata presa in carico presso l’Ambulatorio di Oncologia in età fertile dell’Ospedale San Gerardo di Monza, dove mi hanno seguito e incoraggiato con il supporto di una psiconcologa per poter programmare una gravidanza. E dopo un mese dalla fine della chemioterapia sono rimasta incinta naturalmente, senza ricorrere alla fecondazione assistita. Sono stati nove mesi impegnativi: il mio fisico, debilitato dalla chemio, forse non era ancora pronto per affrontare una gravidanza. E infatti ho avuto due minacce d’aborto e ho dovuto stare per diversi mesi a riposo. E poi il timore che la chemio potesse in qualche modo creare problemi alla mia bimba mi assillava… Più che per me, ero preoccupata per la sua salute. L’équipe dell’Ambulatorio dell’Ospedale San Gerardo mi ha sempre supportata e incoraggiata. E a settembre 2016 è nata Martina Fiamma, una bimba sanissima e molto vivace. L’ho allattata per diversi mesi, anche perché mi dicevano che l’allattamento preveniva le recidive. Durante la gravidanza non ho potuto fare i controlli di routine (Tac con mezzo di contrasto), ma solo l’ecografia che evidenziava una situazione di assoluta normalità. Per questo l’équipe dell’Ambulatorio del San Gerardo mi aveva ventilato l’ipotesi di una seconda gravidanza, senza far passare troppo tempo. Con mio marito, che mi ha sempre sostenuta durante la malattia e i nove mesi di gestazione, desideravamo tanto un secondo bambino e volevo riscattarmi, dopo una prima gravidanza tanto difficile. Ci siamo fidati dei consigli dei medici e dopo qualche mese sono rimasta di nuovo incinta. Sono stati nove mesi assolutamente splendidi, senza alcun problema di salute o rischio di aborto. E praticamente quando Martina ha compiuto un anno, dopo pochi mesi è nato Lorenzo Giorgio: era l’aprile del 2018 e ho lavorato fino a un mese prima del parto. Il mio sogno di diventare mamma e di avere una gravidanza normale, nonostante il tumore, si era compiuto, direi alla perfezione. Non potevo ottenere di meglio dalla vita! E anche i medici dell’Ambulatorio che mi hanno seguita in questi anni mi considerano un “fenomeno”. Le percentuali di donne che, dopo un tumore all’ovaio, decidono di avere figli sono molto basse: non più del 6-8%. Ad essere sincera, avrei voluto avere anche un terzo figlio. Ma con mio marito abbiamo concordato che due bambini erano già un bel traguardo. E ho dunque deciso di donare i miei ovociti conservati per permettere ad altre donne di realizzare il desiderio di diventare mamme. Oggi ho 47 anni, sto bene e continuo a fare i controlli annuali. Penso che il prossimo anno dovrò sottopormi a un intervento profilattico di asportazione dell’utero e dell’ovaio, per scongiurare definitivamente il rischio di recidiva. Da questa mia fortunata esperienza, con alcune donne nelle mie stesse condizioni, nel 2018 abbiamo fondato l’Associazione ACTO Lombardia, di cui sono vice-presidente. Mi ricordo lo stupore delle altre quattro socie fondatrici quando mi sono presentata alla prima riunione all’8°mese di gravidanza del secondo bambino… Per me, la seconda gravidanza, è stato un grande riscatto morale: nonostante il rischio di recidive e i timori che naturalmente provavo, sono riuscita a portare avanti una gravidanza normale, come tutte le altre donne. E questa è stata la mia grande vittoria sul tumore!».

La testimonianza di Cristina Bignotti, oggi attivamente impegnata come vice-presidente di ACTO Lombardia, (https://www.acto-italia.org/acto-lombardia/acto-lombardiahttps://www.facebook.com/ associazionepazientiactolombardia; https://instagram.com/actolombardia?igshid=YmMyMTA2M2Y=) che partecipa con diverse iniziative alla Giornata dedicata a questo tumore dell’8 maggio (vedi new) è un esempio di come un tumore pur aggressivo, come quello all’ovaio, possa essere sconfitto. Nonostante questa malattia, si può condurre una vita normale e addirittura a diventare mamme. Una scelta di grande coraggio e forza di volontà che non tutte le donne sono in grado di portare avanti. Ma con l’aiuto di personale esperto, non solo medici e chirurghi competenti, ma anche ginecologi e psiconcologi che prendono in carico chi ha questo tumore, sempre più donne potranno realizzare il desiderio di diventare mamme. È l’augurio che rivolgiamo in occasione dell’imminente Festa della Mamma!

di Paola Trombetta  

I progressi della ricerca: PARP inibitori e farmaci anticorpo-coniugati

«Mi occupo di carcinoma ovarico da 30 anni, ma in questi ultimi 5 anni la ricerca ha dato risultati eccellenti, con importanti novità nei trattamenti di un tumore, come quello all’ovaio, che è sempre stato considerato molto aggressivo, con poche chance di cura e di sopravvivenza». Ne è convinta la professoressa Nicoletta Colombo, docente all’Università Bicocca di Milano e direttrice del programma di Ginecologia Oncologica dell’IEO, fondato da Umberto Veronesi. Questo tumore interessa in Italia più di 51 mila donne, con 5370 nuove diagnosi all’anno. Oggi esistono “farmaci target”: agiscono contro bersagli molecolari che sono stati identificati soprattutto nel carcinoma sieroso di alto grado, il più diffuso e aggressivo. «Finalmente abbiamo trovato un bersaglio specifico, presente nel 50% dei tumori ovarici», conferma la professoressa Colombo. «Si tratta di un difetto del meccanismo di riparazione del DNA: abbiamo scoperto che alcuni farmaci bloccano questo meccanismo e portano a morte le cellule del tumore che non riescono più a ripararsi. Questo difetto è presente nei tumori con mutazione del gene BRCA 1 e 2, ma anche in altri tumori, con mutazione HRD (Homologous Recombination Deficiency). I farmaci in questione si chiamano PARP-inibitori, di cui il più recente è niraparib: vengono utilizzati non solo per evitare recidive, dopo la chemioterapia, ma anche in prima linea, subito dopo la diagnosi». Dallo studio SOLO 1 si è visto che, in pazienti con mutazione BRCA, affiancando alla chemioterapia tradizionale questi farmaci, il 67% delle pazienti vive dopo 7 anni, rispetto al 46% che non li aveva ricevuti: il 45% di quelle che hanno assunto i PARP inibitori non ha avuto recidive. Questi risultati si sono raggiunti anche nelle pazienti che presentano mutazioni HRD: uno studio che ha combinato un PARP inibitore con bevacizumab ha dimostrato che il 65% delle pazienti è viva a 5 anni e il 46% senza recidive. «Una metà delle pazienti non risponde purtroppo a questi farmaci», aggiunge la professoressa. «Per loro comunque esistono altre opzioni terapeutiche, come la nuova classe di farmaci anticorpo-coniugati: si tratta di chemioterapici legati a un anticorpo tramite un linker che favorisce l’ingresso nella cellula tumorale, come una sorta di “cavallo di Troia”. Uno di questi, mivetuximab soravtansine, è già stato approvato negli USA dall’FDA e stiamo aspettando l’approvazione dell’EMA in Europa».

Funziona anche l’immunoterapia? «Per il tumore dell’ovaio non sembra aver dato buoni risultati, come per quelli all’endometrio e al collo dell’utero», risponde la professoressa Colombo. «Alcuni studi hanno però dimostrato che, insieme a bevacizumab e ai PARP-inibitori, l’immunoterapia potrebbe avere un ruolo chiave anche nel tumore all’ovaio. Un recente lavoro, che verrà presentato i primi di giugno al Congresso della Società Americana di Oncologia Medica (ASCO) di Chicago, dimostra incoraggianti risultati raggiunti con questa combinazione di farmaci. In ogni caso è di fondamentale importanza eseguire i test genomici, sia per identificare le mutazioni nei geni BRCA che il gene HRD, un test quest’ultimo non ancora rimborsato dal SSN, che viene eseguito solo in laboratori selezionati: la tipizzazione del tumore, con questi test, permette di utilizzare farmaci mirati e di ottenere risultati migliori e duraturi nel tempo, con casi di remissione anche completa della malattia».

Paola Trombetta

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