Tumore all’ovaio: diagnosi precoci e nuove cure

«A 31 anni ho scoperto di avere un tumore ovarico. La diagnosi è arrivata in un momento particolare della mia vita, quando cercavo una gravidanza, dopo un anno di matrimonio. Durante una visita ginecologica di controllo, hanno rilevato una cisti ovarica sospetta. Da lì è iniziato un lungo percorso diagnostico: sono trascorsi ben 9 mesi prima di avere una diagnosi definitiva. Col primo intervento abbiamo cercato di preservare un ovaio: dopo tre cicli di chemioterapia, sono stata sottoposta a un intervento demolitivo. A questo punto sono stata costretta a rinunciare al mio desiderio di maternità. Non è stato infatti possibile conservare neppure gli ovociti, perché il tumore era già a uno stadio molto avanzato. Ho affrontato tutte le cure e in quel periodo ho fondato l’Associazione ACTO Sicilia: è stata costituita proprio a gennaio 2021 ed è nata da un’amicizia con la prima presidente, Daniela Spampinato, che purtroppo non c’è più, che avevo incontrato nella sala d’attesa mentre affrontavamo la chemioterapia. Abbiamo poi coinvolto un gruppo di clinici dell’Ospedale Cannizzaro di Catania: la professoressa Giusy Scandurra, il professore Paolo Scollo e il dottore Giuseppe Scibilia. Abbiamo così fondato l’Associazione ACTO Sicilia, di cui ero vicepresidente: ci siamo impegnate per realizzare una serie di progetti a supporto delle donne. In riferimento anche al mio vissuto e a quello di tante altre donne, abbiamo voluto portare avanti un progetto dedicato alla “maternità negata”: attraverso un supporto psicologico e legale, essendo io stessa avvocato, ho voluto condividere con le altre donne la possibilità di diventare madri con l’affido e l’adozione, ma anche lanciare un messaggio di amore incondizionato. Nel 2022 ho conosciuto in una casa-famiglia una bambina, che all’epoca aveva 11 anni: è stato amore a prima vista, perché ci siamo scelte reciprocamente. Con mio marito abbiamo dato la disponibilità di accoglierla in casa e da 4 anni vive con noi, con la formula dell’affido. Per noi è stata una rinascita in tutti i sensi. E abbiamo aiutato, come associazione, anche altre pazienti a realizzare questo sogno. Grazie alla recente legge (n°193 del 2023) sull’oblio oncologico, si sono ridotte le discriminazioni che prima colpivano le pazienti oncologiche e sono state facilitate le pratiche per l’affido e anche l’adozione, consentite dopo 10 anni dalla diagnosi di malattia. Una legge che rappresenta una grande conquista per il nostro Paese, seppure ci siano ancora barriere da abbattere considerando i nuovi traguardi scientifici e i casi in cui la malattia viene cronicizzata. Come associazione abbiamo realizzato il progetto “LABIA-Madri d’Amore” per offrire sostegno psicologico e legale, informando su adozione, affidamento e diritto alla maternità per le pazienti oncologiche. Il progetto sarà accompagnato da un video emozionale che sensibilizzerà sulla tematica e successivamente anche dal libro “La bambina magica”, curato dalla professoressa Giusy Scandurra che racconterà delle esperienze reali di donne che hanno scelto l’adozione o l’affido come forme d’amore.

La testimonianza di Annamaria Motta, attuale presidente di ACTO Sicilia, fa riflettere sulla possibilità di poter diventare “Madri d’Amore” quando una malattia oncologica, come il tumore all’ovaio, impedisce di diventare Madri biologiche. E proprio in occasione della Festa della Mamma, domenica 11 maggio, dalle 9 alle 16, nella Piazza Minerva di Ortigia (Siracusa) le associate di ACTO Sicilia allestiranno oltre 600 coperte, simbolo dell’amore e della cura verso gli altri, che verranno donate ai neonati. Nello stesso giorno si terrà la Velata, organizzata in collaborazione con la Lega Navale di Siracusa per celebrare la Giornata Mondiale sul Tumore Ovarico. Anche le altre Associazioni ACTO in tutt’Italia, per questa importante data, organizzano eventi e manifestazioni (vedi new Medicina).

L’allarme della World Ovarian Cancer Coalition

Nonostante i recenti progressi della medicina e della ricerca scientifica, il cancro ovarico rimane uno dei tumori femminili più complessi e letali. I miglioramenti dei tassi di sopravvivenza sono stati lenti e a 5 anni dalla prima diagnosi non supera il 43%. Secondo i dati diffusi dalla World Ovarian Cancer Coalition, nel 2022, 324.603 donne nel mondo hanno ricevuto una diagnosi di tumore ovarico. Senza interventi adeguati, entro il 2050 saliranno a circa mezzo milione con un incremento del 55%: l’incidenza maggiore riguarderà Asia e Africa. In aumento anche la mortalità: dagli attuali 206.956 casi del 2022 agli oltre 330 mila del 2050 con un incremento del 65%. In Europa l’incidenza aumenterà dell’8% (da 69,472 casi a 75.570) mentre la mortalità del 19% (da 46.232 casi a 55.124). Questi dati molto preoccupanti hanno spinto la World Ovarian Cancer Coalition a lanciare un allarme mondiale, chiedendo ai Governi maggiori risorse per migliorare la prevenzione, la diagnosi e il trattamento di questa neoplasia, ma anche per migliorare l’organizzazione ospedaliera e garantire a tutte le donne malate un accesso equo alle cure.

La situazione in Italia

Nel nostro Paese, vivono 52.800 donne con tumore ovarico, con 5.423 nuove diagnosi nel 2024 (Dati Aiom – I numeri del cancro 2024) e 3.600 decessi all’anno.  Se è pur vero che negli ultimi anni sono stati fatti grandi passi avanti grazie alle terapie innovative, sono ancora molti i temi aperti.

La diagnosi precoce è uno dei primi problemi irrisolti. «Il 70-80% dei tumori ovarici viene diagnosticato in stadio avanzato, perché non esiste un test di diagnosi precoce. Su questo abbiamo focalizzato il nostro progetto di ricerca, supportato principalmente dalla Fondazione Alessandra Bono e da AIRC», ha dichiarato Maurizio D’Incalci, Professore Humanitas University. «Partendo dall’ipotesi che nelle fasi iniziali del tumore ovarico il DNA tumorale possa arrivare al canale endocervicale e quindi essere rilevabile nel PAP test, sono stati analizzati 250 PAP test eseguiti fino a 10 anni prima della diagnosi. Grazie al sequenziamento del DNA, si è scoperto che alterazioni tumorali erano presenti già nove anni prima della diagnosi, solo nelle pazienti malate e non nelle donne sane. Lo studio ora si amplia a migliaia di casi in tutta Italia, coinvolgendo 50 strutture e utilizzando le conoscenze a disposizione, con l’obiettivo di sviluppare in futuro un test di diagnosi precoce per il tumore ovarico».

Quanto ai test genetici per le mutazioni BRCA 1 e 2, vengono abitualmente eseguiti?

«Questi test vengono effettuati di routine in quasi tutti gli ospedali. Quanto al test di instabilità genomica (HRD) non è ancora presente in tutte le Regioni», fa notare Nicoletta Colombo, Direttore del Programma di Ginecologia Oncologica dell’Istituto Europeo di Oncologia. «Questo test consente di selezionare meglio le pazienti che possono ricevere un maggior beneficio dalla terapia del PARP-inibitori perché consentono di mantenere la malattia sotto controllo».

Se questa classe di farmaci sembra aver dato buoni risultati sulla regressione della malattia, in certi tipi di tumori con mutazione genetica, per altri invece si pone il problema dalla resistenza alla chemioterapia su cui è in corso un importante studio internazionale, condotto su 500 pazienti, sul tumore ovarico resistente al platino, frutto della collaborazione tra Europa, Stati Uniti e Paesi asiatici, che verrà presentato a giugno all’ASCO di Chicago, il Congresso mondiale della Società Americana di Oncologia Medica.

Ne parliamo con Domenica Lorusso, Direttore dell’Unità Operativa di Ginecologia Oncologica dell’Humanitas San Pio X, che ha coordinato lo studio per l’Europa.
«Lo studio Rosella ha dimostrato come l’aggiunta di un farmaco innovativo, relacorilant, che agisce sui meccanismi attivati dal cortisolo, inibendo i recettori dei glucocorticoidi, al nab-paclitaxel settimanale porta a un significativo aumento sia della sopravvivenza libera da progressione di malattia che della sopravvivenza globale, rispetto alla chemioterapia da sola. Si tratta di un meccanismo interessante che va a bloccare il cortisolo, ormone dello stress. Abbiamo infatti scoperto che, quando questo recettore non è bloccato, si genera la sintesi di geni che fermano la morte cellulare. Andando a bloccare il recettore riusciamo invece a far morire di più le cellule tumorali. Si tratta di un risultato promettente per un gruppo di pazienti difficili da trattare, ovvero quelle resistenti alla chemioterapia. Un ulteriore successo della ricerca che apre nuove prospettive di cura».

La medicina dunque sta facendo passi da gigante. Ma l’organizzazione ospedaliera sta correndo alla stessa velocità?
La domanda è importante perché nel tumore ovarico la sopravvivenza non dipende soltanto dalla precocità della diagnosi, ma anche dalla qualità delle cure che una paziente riceve. «Negli ultimi anni abbiamo assistito a una vera e propria rivoluzione nella cura del tumore ovarico. L’arrivo delle terapie innovative ha portato notevoli vantaggi alle pazienti con questo tumore. Tuttavia, i dati AIOM 2024 ci dicono che la sopravvivenza netta a 5 anni è bloccata al 43%», ha aggiunto Nicoletta Colombo. «Detto ciò, numerosi studi di popolazione hanno dimostrato che la competenza chirurgica e un approccio multidisciplinare al trattamento del tumore ovarico, in centri specializzati su elevati numeri di interventi, portano a risultati in termini di sopravvivenza libera da malattia e sopravvivenza globale significativamente migliori rispetto a quelli di pazienti trattate in centri con pochi interventi. Questo ci fa comprendere che l’organizzazione della presa in carico delle pazienti con tumore va ripensata in questi termini, andando a identificare i centri ad alta specialità che rispondono ai criteri indicati dalla Società Europea di Ginecologia Oncologica. Anche qui dobbiamo avere il coraggio di cambiare lo status quo».

Alla sfida medico-scientifica si aggiunge dunque quella dei centri di riferimento. Una sfida non facile, ma improrogabile perché i progressi della ricerca scientifica e medica hanno migliorato notevolmente i risultati delle cure, però hanno anche reso più complicati i percorsi di diagnosi e trattamento che oggi richiedono ospedali sempre più attrezzati e personale medico e sanitario altamente specializzato. E il tumore ovarico rimane una sfida aperta.

di Paola Trombetta

Acto Italia: da 15 anni al fianco delle pazienti

Acto Italia coglie l’occasione della Giornata Mondiale del Tumore Ovarico in programma l’8 maggio, per celebrare il 15° anniversario dalla fondazione e riflettere sull’allarme lanciato dalla World Ovarian Cancer Coalition. ACTO Italia – Alleanza contro il Tumore Ovarico è nata nel 2010 per sostenere la prevenzione, la diagnosi e la cura delle donne colpite da tumore ovarico e da tumore ginecologico. In 15 anni di attività, ACTO Italia ha sostenuto le pazienti, diffuso informazioni sulla malattia, collaborato con la comunità scientifica e difeso il diritto all’equità delle cure. Per essere più vicina alle donne in tutto il Paese, ACTO Italia ha promosso la nascita di 7 associazioni regionali, creando una rete solida e riconosciuta dalle istituzioni. Grazie a questo impegno, la conoscenza del tumore ovarico è passata dal 20% al 60% delle donne. «Con impegno e determinazione abbiamo superato la boa dei 15 anni», ricorda Nicoletta Cerana, presidente Acto Italia. «Oggi possiamo dire con orgoglio di essere una realtà riconosciuta e strutturata in grado di portare la voce di tutte le 230 mila donne affette da tumore ginecologico ai tavoli in cui si discutono le priorità sanitarie».  P. T.

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