E’ comunemente nota come “malattia delle ossa fragili” o “malattia delle ossa di vetro”: l’osteogenesi imperfetta (OI) è una condizione genetica rara, che colpisce 1 persona ogni 15-20 mila nascite (in Italia si stimano circa 3-4 mila persone). Le fratture sono più frequenti tra i bambini, ma quasi un adulto su cinque ne ha riportata una negli ultimi 12 mesi. Sebbene la fragilità ossea e il rischio di fratture siano tra le caratteristiche più comuni, l’OI colpisce l’organismo nel suo complesso e comporta diversi sintomi e manifestazioni cliniche differenti. Lo rivela l’IMPACT Survey, il più grande studio internazionale mai realizzato sull’impatto di questa condizione genetica rara, poco compresa e sottovalutata, sulla vita delle persone e delle loro famiglie. Insieme al progetto SATURN, che sta raccogliendo dati di vita reale a livello europeo e vede l’Istituto Rizzoli di Bologna svolgere un ruolo di apripista a livello internazionale, l’IMPACT Survey contribuirà a diffondere maggiore consapevolezza sull’OI e consentire una diagnosi, un trattamento e un’assistenza migliori. Le due iniziative sono state presentate in occasione di un evento, durante il quale i principali esperti clinici in Italia, ERN BOND (European Reference Network on Rare Bone Diseases), l’Associazione Italiana Osteogenesi Imperfetta (As.It.O.I.) e UNIAMO – Federazione Italiana Malattie Rare- hanno unito le loro voci per chiedere un maggiore riconoscimento di questa condizione.
I dati emersi dall’IMPACT Survey (www.IMPACTsurveyOI.com), che ha raccolto 2.208 risposte in 66 Paesi, di cui 150 in Italia, stanno aiutando a far luce sul reale impatto dell’OI. Sebbene i bambini siano notoriamente più colpiti dalle fratture rispetto agli adulti, l’IMPACT Survey ha dimostrato come, in Italia, circa un quinto degli adulti con OI (18%) abbia riportato una frattura negli ultimi 12 mesi. Il dolore cronico, un aspetto ancora poco studiato, è risultato il sintomo con il maggior impatto sulla qualità della vita degli intervistati italiani, seguito da scoliosi, astenia (affaticamento) e problemi dentali. «L’impatto dell’OI è estremamente variabile», commenta Leonardo Panzeri, Presidente Associazione Italiana Osteogenesi Imperfetta (As.It.O.I.). «L’IMPACT Survey ha messo in luce come dolore e astenia siano sintomi imprevedibili e difficili da gestire per la maggior parte delle persone con questa condizione». Esistono vari tipi di OI: alcune con sintomi molto lievi, quasi invisibili, mentre altre possono presentare una significativa disabilità.
«Se le forme più severe sono generalmente prese in carico dai centri di riferimento, le forme meno gravi sono ancora sottodiagnosticate», spiega Davide Gatti, Professore Associato di Reumatologia, Università di Verona. «Tanti bambini con fratture frequenti vengono semplicemente etichettati come “vivaci” e la fragilità nei giovani adulti viene a volte confusa con forme di osteoporosi giovanile. Se nel 2017 i tempi richiesti per arrivare alla diagnosi erano di 7 anni, oggi per fortuna si sono dimezzati a 2/3 anni: l’importante è rivolgersi ai centri di riferimento specializzati». «Il numero di fratture e la loro precocità influenzano notevolmente l’impatto dell’OI e la disabilità futura: per questo motivo è essenziale intervenire precocemente», precisa Franco Antoniazzi, Professore Associato di Pediatria, Università di Verona, Centro per la diagnosi e cura delle malattie rare scheletriche dell’età evolutiva della Regione Veneto. «Dobbiamo sensibilizzare i medici, soprattutto nei Pronto Soccorso, dove può capitare che si presentino bambini con fratture ricorrenti e inspiegabili».
L’IMPACT Survey ha inoltre fotografato l’impatto dell’OI su lavoro, indipendenza e possibilità di godere del tempo libero. In Italia, il 54% degli adulti con OI ritiene che la condizione abbia avuto un impatto severo o moderato su vita professionale e scelte di carriera e il 46% che abbia influito negativamente sulla possibilità di condurre una vita indipendente. Circa due terzi di coloro che si occupano di un familiare con OI ha segnalato un impatto moderato o severo su ore lavorative (66%), aspirazioni di carriera (71%) e tempo libero (59%). «L’IMPACT Survey lancia un chiaro messaggio sul bisogno di strategie mirate per creare ambienti di lavoro flessibili e migliorare le opportunità di inserimento lavorativo per persone con OI e i loro caregiver», aggiunge Leonardo Panzeri.
Rispetto ai partecipanti di altri Paesi Europei, gli italiani hanno segnalato maggiori difficoltà nell’assicurarsi prestazioni sanitarie, ausili medici e altri servizi per la gestione dell’OI. Il 17% degli Italiani con OI ha dovuto pagare di tasca propria per accedere alle cure, e un ulteriore 12% ha dovuto chiedere supporto finanziario ad amici o familiari. Le spese personali in Italia sono le più alte tra i principali paesi europei, con una spesa media di 150 euro ogni quattro settimane, specialmente per cure dentistiche, modifiche abitative e assistenza personale. «Per consentire a queste persone e alle loro famiglie di vivere la loro vita è importante indirizzarle quanto prima presso i centri specializzati e fare di più per offrire loro una presa in carico multidisciplinare, con il contributo di una serie di specialisti che prendano in carico le molteplici sfaccettature dell’OI e supportino i giovani nella transizione verso l’età adulta», commenta Mauro Celli, Responsabile Centro Malattie Rare e Displasie Scheletriche, AOU Policlinico Umberto I. «Come per tutte le malattie rare, i centri ad alta specializzazione sono pochi in Italia», aggiunge Annalisa Scopinaro, Presidente UNIAMO – Federazione Italiana Malattie Rare. «È quindi importante fare rete e offrire accesso a cure, riabilitazione e visite di controllo vicino a casa, anche con l’aiuto della telemedicina, per non gravare sulle famiglie».
Un’ulteriore iniziativa, il Progetto SATURN, avviato presso l’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna, sta contribuendo a raccogliere e sistematizzare i dati di vita reale e la storia naturale nei registri dei principali centri di ricerca europei, creando così una base di dati comune europea sull’OI. «L’Italia ha sempre svolto un ruolo di primo piano nella ricerca sull’OI, che, come tutte le malattie rare, presenta delle sfide significative a causa dei pochi dati disponibili», commenta Luca Sangiorgi, Direttore Struttura di Malattie Rare Scheletriche dell’Istituto Ortopedico Rizzoli e Coordinatore della Rete di Eccellenza di ERN BOND. «Tramite il progetto SATURN, analizzando i dati di lungo periodo su un numero elevato di persone, possiamo capire come questa condizione evolva attraverso le stagioni della vita e sviluppare strategie di trattamento basate sui reali bisogni della comunità».
Paola Trombetta