La “voce” di chi ha affrontato un tumore del sangue

“La Strada davanti a sé” è fredda e inospitale. Piena di insidie, di solitudine, di sfide quando i passi si muovono impervi nella malattia, come un tumore ematologico. E scoprire che una “voce”, dentro a un podcast, così sconosciuta e allo stesso tempo familiare, fragile e insieme guerriera, può aiutare a dare un senso alla sofferenza, a trasformare il dolore in una leva motivazionale. Sentire che quella voce riflette parole, emozioni stati, d’animo che sono anche i tuoi, in essi ritrovarsi e ritrovare il coraggio e la luce della speranza. Lei, Franca, quelle esperienze le ha conosciute e le ha incise nella mente. «Quella giornata me la ricordo benissimo: 19 settembre 2018. Era un mercoledì, avevo un fastidio alla gola», racconta, con la voce ancora piena di emozione, nonostante da quel giorno siano trascorsi alcuni anni. «Sono andata dal mio medico di base e poi è iniziata una girandola di esami: aspirazione, biopsia, ecografia al collo. Un’indagine scrupolosa, in piena regola, ha portato a capire che, in effetti, c’era qualcosa che non andava: un linfoma diffuso a grandi cellule B della tonsilla. Quella diagnosi è stata un duro colpo, non potevo credere che stesse capitando a me. Ho avuto molte persone vicine, amici e familiari, altre invece si sono allontanate, ma da subito ho capito che avrei dovuto farcela da sola, che nessuno avrebbe potuto combattere questa battaglia al posto mio. Quella “voce”, però, che ascoltavo chiusa nella solitudine di una stanza mentre facevo terapia, mi ha dato forza, nonostante le mie disavventure. Ho sempre pensato di farcela, affidandomi anche al destino, capitasse quel che capitasse, avendo fiducia nei medici».

Oggi Franca, insieme a Enrico e Gabriella, prestano la loro voce per sostenere e dare lo stesso coraggio che hanno ricevuto loro a chi condivide la stessa esperienza di malattia, dando vita alla seconda edizione di “La Strada davanti a sé”: tre podcast Chora Media di 25 minuti ciascuno, tre nuove storie di rinascita: “La terra della malattia”, “Avere cura”, “Dopo”, raccolte da Carolina Di Domenico, promosse da Gilead Sciences, accessibili sulle principali piattaforme audio gratuite (Spotify, Apple Podcast, Spreaker, Google Podcasts) che raccontano in maniera autentica la paura, ma anche l’amore, lo sconforto e la gioia e poi la speranza di una possibile cura innovativa, le CAR-T, per tumori che fino a poco tempo fa non lasciavano molta “strada davanti a sé”, con un destino ineluttabile. «Poi si è presentata una recidiva al pancreas – prosegue Franca – e le CAR-T erano l’ultima chance da giocare, non avevo nulla da perdere e ho tentato il tutto per tutto, nonostante i rischi che erano stati prospettati. A Vicenza, dove vivo, questa cura non c’era; così sono approdata all’Istituto Clinico Humanitas e mi sono trasferita a Rozzano per tutto il tempo del mio percorso verso una vita nuova. Sono stata fortunata».

Le CAR-T (Chimeric Antigen Receptor T cell therapies), insieme ad altre terapie, sono un approccio di cura: non possano essere definite un trattamento, ma un “percorso di cura” per pazienti selezionati che hanno già ricevuto precedenti terapie, come chemio, anticorpi monoclonali, a cui non rispondono più o persino il trapianto di midollo. Talvolta possono essere impiegate anche ad uso “compassionevole”, cioè al di fuori di studi clinici controllati, per dare un’opportunità di “cura sperimentale” a pazienti che altrimenti non avrebbero altre chance terapeutiche.

«Le terapie CAR-T – spiega la dottoressa Prassede Salutari, Responsabile ambulatorio Leucemie acute e Mielodisplasie, Ospedale civile Spirito Santo di Pescara – rappresentano una vera rivoluzione per il trattamento dei tumori oncoematologici e offrono un’opportunità per un numero sempre maggiore di pazienti. Queste terapie utilizzano specifiche cellule immunitarie (i linfociti T), che vengono estratte da un campione di sangue del paziente, modificate geneticamente e coltivate in laboratorio, cioè vengono “ingegnerizzate” e re-infuse nel paziente stesso. Queste cellule, rese “intelligenti”, hanno la capacità di attivare la risposta del sistema immunitario contro la malattia, andando a colpire solo le cellule malate e risparmiando tutte le altre. Al momento le CAR-T sono indicate solo per alcuni pazienti, ma l’auspicio è che per il prossimo futuro possano essere offerte come una opzione di cura “standard”, disponibile insomma fra i vari programmi terapeutici. È importante far capire l’enorme potenzialità che le CAR-T rappresentano, perché aprono prospettive di cura finora precluse per alcuni pazienti, tanto più che questa terapia rivoluzionaria sta portando risultati sorprendenti, direi anche emozionanti, dopo aver ascoltato le voci di persone che ne hanno beneficiato».

A fianco dei pazienti, per colmare il vuoto emotivo o lo sbaraglio emozionale causato dalla malattia, le Associazioni pazienti danno un supporto fondamentale che guida la persona e i familiari/care-giver anche nella conoscenza della malattia e nell’informazione del percorso di cura. «Le terapie Car-T – dichiara Davide Petruzzelli, Presidente dell’associazione “La lampada di Aladino ETS” e lui stesso paziente guarito — si posizionano in un’area che era terra di nessuno, dove fino a poco tempo fa non c’era nulla; quindi per il paziente sono qualcosa di assolutamente straordinario ma anche di assolutamente ignoto. In una recente indagine, a cui abbiamo collaborato, le CAR-T sono state definite “sanità di serie A”, sebbene vada sottolineato ancora, per non deludere le aspettative dei pazienti, che attualmente sono indicate solo per alcuni tipi di patologie. Al riguardo è quindi importante parlarne, fare chiarezza, dare la giusta informazione: anche l’ascolto di questi podcast può contribuire consentendo di conoscere le implicazioni della malattia, non solo cliniche. L’Associazione dei pazienti resta un punto fermo: un “luogo” in cui trovare accoglienza, ascolto, condivisione, perché formata da persone che hanno vissuto la stessa problematica e le stesse emozioni». E si sa: informazione, dialogo, umanità, condivisione, empatia migliorano il percorso di cura dei pazienti. Là dove prima non c’era una “strada davanti a sé”.

di Francesca Morelli

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