Policistosi ovarica: conoscerla per curarla

«Fin dalla pubertà ho scoperto di essere affetta da una patologia chiamata PCOS, ossia Policistosi Ovarica, che ha comportato molti disturbi, tra cui ciclo mestruale anovulatorio e irregolare, insulino-resistenza, perdita di capelli, acne sul viso, attacchi di fame e irsutismo per combattere il quale sono ricorsa al laser che mi ha provocato un serio danno estetico». Inizia così il racconto di Alessandra Borgia, che oggi ha 29 anni e studia Medicina alla Sapienza Università di Roma, in occasione della conferenza al Campidoglio sulla Policistosi ovarica, di cui il 1° settembre ricorreva la Giornata Internazionale  e alla quale è dedicato tutto il mese con diverse iniziative in molte città italiane. «I disturbi si sono accentuati intorno ai 16 anni e sono peggiorati a 18 anni. Dopo il primo approccio con il medico di base, mi sono rivolta a diversi specialisti, sia ginecologi che endocrinologi, nella città dove allora vivevo, Foggia. Dopo qualche anno e l’utilizzo di terapie poco efficaci, tra cui ciproterone acetato e pillola anticoncezionale, il destino ha voluto che approdassi a Roma per motivi di studio e, consultando Internet, ho conosciuto il professor Vittorio Unfer, tra i maggiori esperti di PCOS: ho fissato una visita e ho raccontato il mio vissuto, premettendo che ero molto scettica, avendo già sperimentato diverse terapie. Insieme a lui e grazie alle sue ricerche in questo campo, abbiamo finalmente trovato il percorso terapeutico adeguato utilizzando l’integratore mio-inositolo, che continuo ad assumere tuttora. Il primo effetto, dopo un mese, è stato il ripristino del ciclo mestruale regolare e pian piano si sono risolti tutti i disturbi correlati alla sindrome di cui soffrivo, soprattutto la perdita di capelli che mi creava grossi problemi di inadeguatezza, facendomi ritrovare la serenità interiore che ogni donna dovrebbe avere. Non solo, ma con questa cura è migliorato anche l’umore e le performances cognitive, facilitandomi nello studio. In più mi hanno confermato che dovrebbe agire anche sulla qualità degli ovociti e questo potrebbe avvantaggiarmi qualora dovessi programmare una gravidanza».

Con l’aiuto di alcuni specialisti intervenuti al convegno, cerchiamo di capire cos’è la Policistosi ovarica (PCOS) e quali i rimedi più efficaci.

«Si tratta di una patologia molto diffusa che colpisce dal 5 al 18% delle donne in età fertile», risponde il professor Vittorio Unfer, Membro EGOI (Experts Group on Inositol in Basic and Clinical Research) e Professore di Ginecologia e Ostetricia all’UniCamillus International Medical University di Roma. «Le pazienti soffrono di alterazioni di tipo ginecologico ed endocrinologico: difficoltà ovulatorie, con irregolarità del ciclo mestruale e in alcuni casi anche problemi di concepimento, fino alla formazione di vere e proprie cisti ovariche. Molto spesso, presentano anche segni estetici, quali acne, irsutismo, alopecia, seborrea, nonché alterazioni metaboliche, tra cui forme di insulino-resistenza e obesità. La ricerca scientifica internazionale sembra orientata a una ridefinizione non solo della patologia, ma anche dei criteri diagnostici che permetta una caratterizzazione più accurata e un’indicazione delle terapie più mirate in base alle caratteristiche delle donne affette. Attualmente la diagnosi di PCOS viene assegnata in accordo ai criteri di Rotterdam. Secondo tali criteri, si parla di sindrome dell’ovaio policistico solo nel caso in cui siano presenti almeno due delle seguenti alterazioni: iperandrogenismo biochimico e/o clinico, anovulazione e presenza di un determinato numero di cisti ovariche disposte a corona di rosario. Secondo tali linee guida è possibile identificare 4 tipologie diverse della PCOS che suggeriscono eziologie diverse alla base della patologia, e questo costituisce un argomento molto dibattuto. La speranza è che si apra un nuovo capitolo della policistosi ovarica, in cui si impari a fare una diagnosi chiara e una terapia mirata, in base alla tipologia di paziente, perché non tutte le PCOS sono uguali».

«Quasi sempre la policistosi ovarica è causata da una disregolazione del metabolismo dell’insulina e molto spesso è correlata ad aumento di peso e obesità», precisa la professoressa Annamaria Colao, ordinario di Endocrinologia all’Università Federico II di Napoli. «Non a caso l’80% delle donne obese soffre di questa problematica, che potrebbe causare anche disturbi vascolari. Per questo è importante ridurre la massa grassa, impostando uno stile di vita corretto, che comprende attività fisica e una sana alimentazione. È dimostrato che, riducendo il peso del 5%, si potrebbero già evidenziare miglioramenti in questa malattia».

«La policistosi ovarica (PCOS) è anche la causa più frequente di infertilità femminile di tipo endocrino», aggiunge la professoressa Alessandra Graziottin, direttore del Centro di Ginecologia dell’Ospedale San Raffaele /Resnati di Milano e professore a contratto all’Università di Verona. «Le conseguenze coinvolgono dunque l’intera salute della donna. Questa sindrome è caratterizzata da: aumentata sintesi di androgeni ovarici con acne, irsutismo, alopecia androgenetica; irregolarità mestruali, anovulatorietà e infertilità; insulino-resistenza e alterazioni nel metabolismo dei carboidrati. Sovrappeso/obesità e diabete di tipo due complicano il quadro metabolico. La PCOS è la risultante di molteplici fattori: genetici e epigenetici (ossia acquisiti). I fattori genetici sono costituiti da diversi geni, molti dei quali collocati sul cromosoma 19: condizionano l’insulino-resistenza e l’alterazione del metabolismo dei carboidrati; l’aumentata sintesi di ormoni maschili, come il testosterone; la maggiore predisposizione a diabete e obesità. I figli maschi di donne con PCOS mostrano specifiche vulnerabilità: obesità, malattie cardiovascolari e alopecia androgenetica, con calvizie precoce. Due fattori cardinali: penetranza ed espressività regolano la forza con cui i geni si esprimono, l’età in cui danno le prime manifestazioni, la velocità con cui progrediscono, la gravità delle comorbilità. I fattori epigenetici modulano la penetranza e l’espressività dei geni in causa, e concorrono a 4 diverse tipologie con cui la PCOS si manifesta dal punto di vista clinico. Sono condizionati dal comportamento della donna: stile di vita, attività fisica, scelte alimentari, presenza di sovrappeso-obesità e diabete, alterazione o riduzione del sonno, aderenza alle terapie raccomandate. Tra queste sono fondamentali i prebiotici (come la lattoalbumina), probiotici, mio-inositolo e, quando indicate, terapie ormonali specifiche». «La storia naturale della PCOS può essere dunque vista come un film a due tempi dal titolo: “Due colpi bassi”», sintetizza la professoressa Graziottin. «Il primo tempo va dal concepimento alla pubertà: le figlie delle donne con PCOS hanno 5 volte la probabilità di essere colpite da PCOS rispetto alle figlie di donne sane. Durante l’infanzia tenderanno a essere sovrappeso rispetto alle coetanee, o già obese, soprattutto se la mamma è sovrappeso/obesa. Già in gravidanza i fattori genetici negativi, iperandrogenismo e insulino-resistenza, possono essere amplificati da fattori epigenetici (comportamenti inappropriati e cure mancate). Maggiore il peso della bimba, maggiore la vulnerabilità a menarca precoce, ulteriore fattore di peggioramento della PCOS. Il secondo tempo va dalla pubertà, con l’inizio dell’attività ovarica e il ciclo mestruale, fino alla senilità. Non contrastato da stili di vita appropriati e opportune terapie, il secondo tempo della PCOS si dipana in un crescendo di patologie dismetaboliche che riducono l’energia e danneggiano la salute. Per un film a lieto fine, è indispensabile fare squadra tra regista e aiuto regista, ossia tra donna e medico, per tutta la vita. Un’informazione adeguata, anche attraverso i media e la scuola, e una maggiore attenzione ai fattori epigenetici, comportamentali e terapeutici, può cambiare il destino: della PCOS e dell’intera vita della donna».

di Paola Trombetta

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