Suor Maria Mori e i suoi vent’anni in Tanzania

Di origini liguri, nata a La Spezia 55 anni fa e poi “trapiantata” a Lainate (Milano),  laureata in Filosofia all’Università degli Studi di Milano, Suor Maria Mori ha trascorso quasi vent’anni della sua vita in Africa, precisamente in alcune zone della Tanzania dove, con la sua Congregazione, le Suore di Carità dell’Immacolata Concezione di Ivrea, ha seguito diversi progetti con partner privati e istituzionali, per la promozione dell’istruzione dei bambini e dei giovani e del lavoro delle donne, in particolare di etnia masai.

In occasione di queste Festività natalizie, ci è sembrato importante riportare l’esempio di questa donna dei nostri giorni, che vive la sua vocazione religiosa secondo i principi di carità, solidarietà e amore verso il prossimo che dovrebbero contraddistinguere tutte le religiose e i religiosi, incarnando in questo modo, nell’aiuto ai più bisognosi, gli insegnamenti evangelici che sono il perno della loro vocazione.

Ho avuto il piacere di conoscerla e di intervistarla pochi giorni dopo il suo ritorno dalla Tanzania, nell’Istituto della sua Congregazione, in via della Lungaretta a Roma, dove quest’anno, dopo tanti Natali passati in Africa, trascorrerà questa ricorrenza in Italia.

Come è nata la tua vocazione per la scelta missionaria?
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Ho deciso di diventare suora nel 1991 e fin dall’inizio il mio desiderio è stato quello di testimoniare la mia fede e vivere il Vangelo in un contesto sociale più diretto e ampio, in luoghi anche geograficamente lontani e disagiati, per portare il lieto annuncio del Vangelo ed anche un aiuto concreto a chi ne aveva bisogno. È anche il motivo per cui ho scelto questa Congregazione che nel 1869, a poco più di 30 anni dalla sua fondazione, già aveva aperto la prima comunità all’estero, in Turchia. In seguito la Congregazione si è allargata anche ad altri Paesi ed oggi siamo presenti in Italia, Turchia, Libano, Israele, Argentina, Messico, USA, Kenya e Tanzania».

Come hai vissuto vent’anni in Tanzania? Quali progetti hai seguito e segui tuttora?
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Sono giunta in Tanzania nel 2001 e in questi vent’anni ho visto e vissuto molti cambiamenti. Quando sono arrivata per la prima volta a Namanga, al confine tra Tanzania e Kenya, ho conosciuto il mondo delle donne di etnia masai, donne forti ed intraprendenti, le vere “colonne” della famiglia e della società. Grazie alla collaborazione e sovvenzione del Piccolo Coro dell’Antoniano e dei Frati Francescani di Bologna, abbiamo potuto avviare una scuola professionale per ragazze Masai, dedicandola a Mariele Ventre, la direttrice del coro, mancata nel 1995. In seguito abbiamo avviato il “Progetto Donne Masai”, partendo dalla loro abilità e creatività nel realizzare monili fatti di perline e avviando insieme a loro un laboratorio di produzione di oggetti vari, vendendo i quali, soprattutto all’estero e in Italia, abbiamo garantito non solo un compenso alle donne, ma anche costruito delle case in muratura per loro e le loro famiglie».

Com’è oggi la scolarità delle ragazze in Tanzania e il loro inserimento nel mondo del lavoro?
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La nostra Congregazione ha avviato diversi progetti scolastici, dalle elementari alla terza media, frequentati da bambini e bambine. In generale, posso dire che il governo tanzaniano sostiene una politica di scolarizzazione e l’accesso agli studi superiori e all’università è consentito tranquillamente anche alle donne. La stessa presidente della Tanzania eletta a marzo, è una donna e anche questo è un segno di futuro e di speranza».

Dalla scuola alla sanità: come Congregazione siete impegnate anche per realizzare progetti di educazione sanitaria…
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La nostra Famiglia religiosa è presente in Tanzania dal 1961 ed in Kenya dal 1973. Fin dall’inizio le sorelle sono state impegnate in progetti di questo tipo. A Rakwaro (nel Sud-ovest del Kenya) dagli anni ’70 hanno iniziato un dispensario con annessa maternità, che ha aiutato moltissime donne a partorire in condizioni di sicurezza. Oggi stiamo ristrutturando la maternità ed ampliando il dispensario per creare un vero e proprio ospedale (Health Center). Non si tratta solo di fornire delle cure mediche e di assistenza al parto, ma anche di avviare un percorso di educazione sanitaria e di prevenzione delle malattie. Nei nostri dispensari, inoltre, le sorelle sono impegnate nella cura e nell’accompagnamento dei malati di AIDS. A Kadem (Kenya), dove dagli anni ’70 fino alla fine degli anni ’90 avevamo gestito un lebbrosario, oggi le sorelle si dedicano alla cura dei malati di AIDS, in un progetto portato avanti in collaborazione con la locale diocesi e non solo».

In tutti questi anni di vita “africana”, qual è l’esperienza più bella che vorresti ricordare?
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Tantissimi sono i ricordi davvero belli ed emozionanti che ho vissuto in questi anni. Forse quello che mi viene ora in mente è capitato di recente, ai primi di novembre, quando sono ritornata per un mese in Tanzania. In particolare il primo giorno che sono arrivata, il 12 novembre, mi sono fermata a Dar es Salaam, dove dal 2017 abbiamo avviato un progetto per la creazione di un centro di riabilitazione per bambini disabili, in collaborazione con la ONLUS Comunità Solidali nel Mondo. La direttrice di questo Centro, che in lingua swahili si chiama Kila Siku (ossia “ogni giorno”, come il pane che quotidianamente chiediamo al nostro Papà celeste), è una giovane suora della nostra Congregazione: insieme a lei opera un team di varie persone, di cui fanno parte anche due cooperanti di ComSol e due giovani del servizio civile. Kila Siku si occupa della riabilitazione a 360 gradi di bambini con problemi fisici e anche psichici; una riabilitazione, però, su base comunitaria, perché coinvolge anche la famiglia del paziente ed ha come scopo primario l’inclusione del bambino nel proprio contesto familiare e sociale. È un centro d’avanguardia, che sfida i pregiudizi e le paure e aiuta i piccoli pazienti e le loro famiglie, grazie non solo alla fisioterapia, alla terapia occupazionale o alla logopedia per i piccoli, ma anche al counseling ed al sostegno psicologico per i familiari. E in molti casi i progressi si ottengono. Come quel bambino di tre anni che, dopo mesi di terapia riabilitativa, per la prima volta, quando ero lì presente, ha mosso i suoi primi passi. Con estrema commozione della mamma e di tutti noi! Sono proprio queste piccole sorprese che ti rincuorano e ti danno il coraggio di proseguire in questo cammino difficoltoso ma sempre bello. E come dice Gesù: “…Ogni volta che avete fatto queste cose a uno dei miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me!”».

di Paola Trombetta

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