Malattie reumatiche: occorre più continuità terapeutica e assistenza a domicilio

«Ho avuto la diagnosi di artrite reumatoide all’età di 14 anni. Ma i sintomi li avevo fin da bambina: dolori alle ginocchia, difficoltà a correre, mani chiuse a pugno appena sveglia, torcicollo continuo. Mi consideravano una bambina pigra e persino il medico minimizzava i miei problemi. Finchè la mia condizione si è veramente aggravata: all’età di 14 anni mi sono rivolta a un reumatologo che ha finalmente fatto la diagnosi di artrite reumatoide, in stadio avanzato. Ora ho 60 anni e da allora convivo con questa malattia che mi ha procurato non pochi problemi. Per fortuna oggi ci sono cure mirate, per uso cronico, in grado di rallentare o addirittura bloccare la progressione della malattia. Ma devono essere somministrate subito per avere maggiore effetto. Purtroppo ancora troppo spesso il medico di base ritarda la diagnosi e perde tempo prezioso, non suggerendo subito di rivolgersi allo specialista. E la malattia purtroppo progredisce». La testimonianza di Antonella Celano, presidente di Apmarr (Associazione Nazionale Persone con malattie Reumatologiche e Rare) è un monito a sensibilizzare le persone su queste patologie, in occasione della Giornata Mondiale delle malattie Reumatiche (12 ottobre). «L’importante però – aggiunge Antonella- è occuparsi di queste malattie non solo un giorno all’anno in occasione di questa ricorrenza, ma 365 giorni, senza interruzione, perché è in gioco la vita di tante persone, circa 5 milioni, di cui 700 mila in forma severa e invalidante, che devono convivere ogni giorno con tutte le problematiche e le limitazioni che queste malattie comportano». Per questo l’Associazione Apmarr, che ha cercato di essere sempre presente anche nei lunghi mesi di lookdown, con numero verde tuttora attivo (800.984712), consulti online e consegna dei farmaci a domicilio, ha promosso alcune iniziative per migliorare l’informazione e l’assistenza dei pazienti sul territorio. Innanzitutto ha curato uno studio, condotto dall’EngageMinds HUB, Centro di ricerca in psicologia della salute dell’Università Cattolica (www.engagemindshub.com), su un campione di  450 pazienti, per valutare come vengono curati a domicilio e quali fonti di informazione consultano. «Siamo stanchi di essere trattati come una pallina da flipper che gira, spesso a vuoto, alla ricerca di diagnosi, assistenza, cure cercando da soli di costruirci un personale filo assistenziale», si rammarica Antonella Celano. «L’assistenza territoriale in reumatologia oggi non esiste: gli aspetti strutturali e di sistema sono il primo problema da risolvere nella quasi totalità dei cittadini con malattie reumatiche. In particolare negli ultimi 12 mesi segnati dalla pandemia e dalla presunta spinta alla sanità digitale, ben 7 persone con patologie reumatologiche su 10 non sono mai o quasi mai riuscite ad effettuare una videochiamata al proprio medico di base. Analoghe percentuali si riportano rispetto alle visite a domicilio e dal reumatologo. Ciò che occorre potenziare, è la cosiddetta “sanità d’iniziativa” quella che va verso il cittadino e non lo aspetta in ospedale, con nuovi processi e piattaforme codificate e omogenee per le reti reumatologiche».

«Buoni secondo il 50% del campione, i rapporti con i medici di medicina generale e gli specialisti, ma per l’altro 50% andrebbe migliorato il coinvolgimento nelle scelte di cura e per il 20% dei soggetti intervistati esiste anche una discriminazione nell’accesso alle cure», aggiunge Guendalina Graffigna, professore ordinario all’Università Cattolica del Sacro Cuore e Direttore di EngageMinds HUB. «Il quadro cambia quando dai fattori di relazione tra cittadini e professionisti, si passa ai rapporti con il sistema sanitario. Qui sono molte le persone intervistate che denunciano carenze organizzative e strutturali, quando per esempio devono prenotare una visita specialistica e si trovano di fronte lunghi tempi di attesa. Ma i disagi riportati dagli intervistati in merito all’accessibilità della cura sul territorio non sono finiti: il 59% degli intervistati riporta che negli ultimi 12 mesi non gli è mai o quasi mai capitato di essere visitato dal medico di base a casa e ben il 67% non è mai o quasi mai stato da parte dello specialista. Il livello di soddisfazione circa l’accesso alle cure per il 43% del campione scende ulteriormente sia in termini di opportunità di scelta dello specialista, sia per l’impossibilità di scegliere giorni e orari per una prima visita o per una di controllo. Così come non risulta sufficientemente elevata la possibilità di effettuare online la prenotazione della visita di controllo, che pure viene vista come una modalità auspicabile da molti pazienti. Lavorare per cluster di pazienti consentirà di non erogare a tutti le stesse modalità di assistenza e cura. Chi è più ingaggiato infatti beneficerà dell’offerta digitale via APP e Telemedicina; diversa l’assistenza per pazienti non ingaggiati, per i quali basterà intervenire sui servizi di base come assistenza al proprio domicilio».

Un’altra questione importante riguarda l’informazione. Apmarr ha deciso di realizzare una campagna integrata di comunicazione, ideata e prodotta da Lorenzo Marini Group. Un progetto multimediale che da oggi e per le prossime settimane approderà sui media online e offline, con la narrazione della malattia attraverso immagini e fotografie curate in ogni dettaglio per mettere nelle condizioni chi le vede di sperimentare cosa prova realmente il malato. Partner strategico di questo importante progetto è Axess Public Relations, azienda di relazioni pubbliche, che da 5 anni cura la comunicazione istituzionale di Apmarr. Saranno inoltre diffusi PDF che verranno aggiornati man mano, scaricabili dal sito: www.apmarr.it.

di Paola Trombetta

Ritardi diagnostici e cambio di farmaci: sono problemi ancora da affrontare

Oltre ai ritardi diagnostici, causati dalla pandemia, si aggiunge l’interruzione dell’accesso alle cure e anche il cambio dei farmaci, da quelli tradizionali a quelli biosimilari che a volte sembrano dare problemi. Nel Libro bianco, pubblicato nel 2020 dall’Associazione Anmar (Associazione Nazionale Malati Reumatici), si evidenzia la difficoltà di mantenere una continuità terapeutica, causata spesso dal cambiamento dei farmaci che abitualmente il paziente assume. «Un numero crescente di malati è costretto ad assumere un farmaco diverso da quello inizialmente indicato per la cura di gravi malattie come l’artrite reumatoide o le spondiloartriti>, fa notare Silvia Tonolo, presidente di Anmar, intervenuta al convegno Pandemia e reumatologia: diagnosi precoce, cronicità, vaccinazioni e continuità terapeutica. Insieme per un sistema sanitario nazionale sostenibile ed efficiente”. «Dalla pratica dello switch, il passaggio da un biologico originator al biosimilare, siamo arrivati sempre di più a quella dello multiswitch. Nel nostro Libro Bianco, che abbiamo lanciato lo scorso anno, abbiamo già raccolto oltre 200 casi di passaggio da un primo ad un secondo biosimilare. Tutte queste modifiche di tipologia di farmaco sono solo dettate da motivi economici e non clinici. E’ una situazione che da malati, ma anche cittadini, non possiamo più tollerare».

«Vogliamo ribadire con forza che l’eventuale sostituzione di un farmaco può essere decisa solo dal medico proscrittore», commenta il professor Mauro Galeazzi, Responsabile scientifico dell’Osservatorio CAPIRE. «La variazione di una terapia che funziona, può avere effetti molto pericolosi sulla salute del singolo paziente. Diversi studi hanno evidenziato che il passaggio forzato da una molecola a un’altra, simile ma non uguale, può indurre effetti collaterali o addirittura la ricomparsa della patologia». «Recenti sentenze di alcuni tribunali italiani hanno ribadito l’importanza dell’autonomia decisionale del medico nell’indicare all’assistito la cura migliore», aggiunge Patrizia Comite, avvocato legale dell’Osservatorio CAPIRE di ANMAR.

«In molte Regioni o singole ASL questo diritto non è garantito ai clinici e di conseguenza anche ai pazienti. C’è poi il problema delle disomogeneità intra-territoriali e regionali. Spesso in alcuni territori mancano i farmaci di fascia H e ciò costringe malati e caregiver a “migrare” verso altre e più distanti strutture sanitarie. Tutto ciò è contrario ai più elementari principi costituzionali e rende necessaria una partecipazione effettiva dei pazienti ai processi decisionali sul trattamento farmacologico per la cura di patologie croniche».

Al convegno organizzato da ANMAR Onlus e dall’Osservatorio CAPIRE, ampio spazio è stato dedicato anche al tema delle vaccinazioni. «Come sempre raccomandiamo ai nostri pazienti la somministrazione del vaccino antinfluenzale», sottolinea il professor Francesco Ciccia, Ordinario di Reumatologia all’Università degli Studi “Luigi Vanvitelli” di Napoli. «Per il secondo anno di seguito questa immunizzazione potrà aiutare a distinguere tra i contagi dal semplice virus dell’influenza stagionale da quelli più gravi e pericolosi del Covid. Per quanto riguarda invece la terza dose della vaccinazione anti-Coronavirus bisogna valutare ogni singolo caso. Non tutti i malati reumatologici sono immunodepressi, poichè solo alcuni utilizzano farmaci immunosoppressori. Spetta dunque allo specialista reumatologo indicare quando è necessario ampliare le protezioni contro questo virus estremamente pericoloso». P.T.

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