I nuovi traguardi terapeutici nelle malattie del sangue

Non ce l’ha fatta il giovane cantante Michele Merlo a sconfiggere la leucemia fulminante (promielocitica acuta) che lo ha colpito e stroncato in pochi giorni, forse anche a causa di una sottovalutazione dei sintomi da parte del medico del Pronto Soccorso dell’Ospedale di Vergato, vicino a Bologna, dove in un primo momento era stato ricoverato. Sintomi quali febbre, placche in gola, edemi sul corpo, piastrine basse e globuli bianchi molto elevati non sono evidentemente stati segnali sufficienti per approfondire una situazione clinica che magari avrebbe potuto avere un esito differente, se valutata in modo meno superficiale, anche se questo tipo di leucemia rimane comunque una della patologie del sangue più gravi e con esito spesso letale. La conferma viene dai vani tentativi di salvarlo, anche con un intervento chirurgico a causa di un’emorragia cerebrale, presso l’Ospedale Maggiore di Bologna dove poi era stato trasportato: la diagnosi andava fatta subito da un ematologo e in tempi molto veloci, in quanto eventuali possibili cure dovevano essere somministrate immediatamente. Si tratta comunque di una patologia molto rara (150 casi all’anno in Italia) e di rapida evoluzione, perché questi problemi di coagulazione compaiono all’improvviso e spesso sono irreversibili: purtroppo il 30% di questi pazienti non riesca a sopravvivere.

In occasione della “Giornata nazionale per la lotta contro leucemie, linfomi e mieloma” (21 giugno), giunta alla 16a edizione, promossa da AIL sotto l’Alto Patrocinio del Presidente della Repubblica, vogliamo ricordare le tante persone che non sono riuscite a sopravvivere a queste malattie del sangue, ma vorremmo anche focalizzare l’attenzione sulle recenti scoperte di mutazioni genetiche che causano alcune di queste malattie e hanno consentito la messa a punto di nuove terapie che, in alcuni casi come la leucemia mieloide cronica, ne hanno cambiato la storia, consentendo a un numero sempre maggiore di malati di sopravvivere, con una qualità di vita migliore. Come ogni anno, alcuni tra i più illustri ematologi italiani saranno a disposizione per fornire risposte e consigli al Numero Verde AIL: 800 226 524 dalle ore 8 alle ore 20 di lunedì 21 giugno. Tutte le informazioni su iniziative e incontri promossi dalle sezioni provinciali AIL sono disponibili sul sito www.ail.it; #maipiùsognispezzati. Le iniziative saranno realizzate con l’impegno delle 82 sezioni provinciali AIL e alla dedizione degli oltre 15.000 volontari.

«A differenza delle leucemie acute, i tumori che colpiscono il midollo osseo (neoplasie mieloproliferative) quali leucemia mieloide cronica, policitemia, trombocitemia e mielofibrosi, sono malattie croniche di lenta evoluzione», spiega Sergio Amadori, Presidente Nazionale AIL. «Le diagnosi spesso difficili, avvengono fortuitamente e i trattamenti iniziano con anni di ritardo e dunque i rischi per i pazienti sono maggiori. Oggi, la conoscenza delle basi genetiche di queste malattie ha reso possibile lo sviluppo di molecole in grado di inibire in modo mirato l’azione dei geni responsabili della malattia, aprendo la strada a un nuovo approccio di trattamento fondato sulla diagnostica molecolare. Questi pazienti hanno delle possibilità in più di controllare la malattia anche a lungo termine».

«Si tratta di farmaci che derivano da anni di ricerca e hanno permesso di scoprire mutazioni genetiche proprie della cellula malata che causava la malattia», chiarisce Marco Vignetti, Presidente Fondazione GIMEMA e Vice Presidente Nazionale AIL. «Alcune cellule del sangue nell’attività di moltiplicazione fanno un errore che non viene riconosciuto in tempo ed eliminato. La ricerca ha individuato la mutazione e iniziato a creare dei farmaci che colpissero solo questo bersaglio, risparmiando le altre cellule. Questo ha portato a grandi risultati: uno per tutti è la terapia per la Leucemia Mieloide Cronica (LMC). Oggi la LMC è considerata curabile, con una buona qualità di vita e con una durata paragonabile a quella di una persona sana. Seppur con minori risultati anche nella trombocitemia essenziale e nella policitemia sono stati messi a punto farmaci “target”, che vengono utilizzati per ridurre le dimensioni della milza. Non sono risolutivi, ma possono essere di grande aiuto nel caso si renda necessario il trapianto allogenico, in quanto il paziente è in condizioni nettamente migliori per poterlo affrontare».

Nell’ultimo anno e mezzo la pandemia da Sars-Cov-2 ha reso più complicato il supporto ai pazienti, ma è fondamentale garantire la sicurezza delle cure e l’accesso al piano vaccinale per i pazienti, i caregiver e i familiari. «I pazienti ematologici che contraggono l’infezione rischiano molto, sia per le conseguenze dirette del virus, sia per la mortalità, più alta (5-6% in più) rispetto alla popolazione sana e altre categorie di malati», aggiunge Amadori. «L’ematologia, a differenza di altre specializzazioni, non ha risentito troppo: i trattamenti sono proseguiti, come anche le cure più complesse come le CAR-T e i trapianti. E’ poi encomiabile il grande sostegno dei 15.000 volontari AIL che sono sempre stati al fianco dei pazienti e dei loro familiari».

In Italia sono circa 2.000 le persone con una diagnosi di mielofibrosi, caratterizzata da sintomi generici quali: stanchezza ingiustificata, perdita di peso senza un motivo chiaro e sintomi addominali dovuti all’aumento del volume della milza (splenomegalia). «La ricerca ha consentito di fare progressi notevoli in vari ambiti: l’aumento della consapevolezza di queste malattie, il miglioramento degli approcci diagnostici utilizzando le scoperte delle mutazioni di geni (quali JAK2, MPL e CARL, e molti altri) e lo sviluppo di modelli di rischio per identificare i casi più gravi che richiedono il trapianto di cellule staminali», conferma Alessandro Maria Vannucchi, professore di Ematologia all’Università di Firenze, Direttore del Servizio di Ematologia dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi e Responsabile CRIMM Centro Ricerca e Innovazione delle Malattie Mieloproliferative. «Sono state proprio le scoperte di geni associati alla malattia a favorire lo sviluppo di farmaci, gli inibitori di JAK2 di cui capostipite è ruxolitinib e un secondo farmaco, fedratinib, approvato di recente. Queste terapie si sono dimostrate capaci di ridurre, fino a normalizzare, il volume della milza e arrivare alla regressione totale dei sintomi; la qualità di vita è migliorata notevolmente e si iniziano ad avere evidenze scientifiche solide anche sull’allungamento della vita».

La leucemia mieloide cronica è indubbiamente un tipo neoplasia in cui la moderna onco-ematologia ha ottenuto i migliori risultati terapeutici e di qualità della vita, e questo è avvenuto grazie alla scoperta degli inibitori tirosin-chinasi (TKI). «Per la leucemia mieloide cronica (LMC) negli anni 2009-2010 fu possibile dimostrare che i pazienti con una migliore risposta, avevano livelli minimi di malattia residua: se questa perdurasse per alcuni anni, sarebbe addirittura possibile interrompere l’assunzione del farmaco, senza ricomparsa di malattia, facendo così diventare la guarigione operativa, con l’obiettivo del trattamento per un elevato numero di pazienti», precisa Fabrizio Pane, Professore Ordinario di Ematologia e Direttore U.O. di Ematologia e Trapianti, Federico II di Napoli. «Tuttavia, rimaneva il 20% dei pazienti per cui la risposta non era soddisfacente. Oggi, un nuovo farmaco di tipo TKI, asciminib, grazie a un innovativo meccanismo d’azione, è in grado di essere efficace su mutazioni diverse che possono sfuggire ai TKI di prima, seconda o terza generazione. Il farmaco ha mostrato un’efficacia quasi doppia rispetto a un TKI standard, in pazienti resistenti o intolleranti ai TKI, già trattati in precedenza con almeno due TKI, con un profilo di sicurezza molto favorevole>.

Policitemia e trombocitemia sono altre due malattie tumorali delle cellule staminali, causate da una mutazione genetica che genera un eccesso di proliferazione cellulare: livelli molto alti globuli rossi, globuli bianchi e piastrine. Solo in circa il 20% dei casi si verificano problemi di trombosi, sia arteriose che venose, soprattutto nella policitemia vera, ictus, infarto del miocardio, trombosi nelle arterie periferiche.  

«La terapia della trombocitemia e della policitemia deve tener conto dei fattori di rischio vascolari che ciascun paziente può documentare», informa Tiziano Barbui, Primario Emerito di Ematologia clinica e Direttore scientifico di FROM – Fondazione per la Ricerca Ospedale di Bergamo. «La definizione di rischio si basa su “score” a cui contribuisce in maniera importante la genetica di queste malattie (mutazioni di JAK2, CALR e MPL). Diverso è il rischio di un paziente con trombocitemia essenziale che non ha la mutazione di JAK2 rispetto a chi invece ce l’ha. I farmaci per il controllo della aumentata proliferazione delle cellule progenitrici midollari sono sostanzialmente tre: la terapia standard è idrossiurea, i nuovi farmaci sono interferone e JAK2 inibitori. Oggi questi ultimi non trovano indicazione nella trombocitemia essenziale, ma solo nei casi di policitemia vera che hanno mostrato resistenza all’idrossiurea. L’interferone, attualmente, è oggetto di numerosi studi e impiegato nei più giovani, in età fertile o in gravidanza. La ricerca in queste malattie è molto attiva anche per merito di numerosi gruppi italiani».

Durante i mesi di pandemia, per sopperire i pericoli di recarsi negli ospedali, c’è stato un grande utilizzo della tecnologia: e-mail, WhatsApp, video chiamate. Questi strumenti sono stati molto utili per i pazienti già in trattamento e con una malattia stabile, mentre non sono stati usati da coloro che iniziavano la terapia o in trattamento con inibitori di JAK2. «Durante la prima fase della pandemia sono stati raccolti dati per valutare la situazione dei pazienti», aggiorna Massimo Breccia, Dirigente medico Responsabile Unità di Ematologia Policlinico Umberto I Università Sapienza di Roma. «L’analisi molecolare per la ricerca delle mutazioni è avvenuta in più del 90% dei pazienti e solo nel 14% è stata posticipata l’esecuzione dell’analisi del midollo. L’idrossiurea è stata iniziata senza problemi, mentre l’inizio di terapie come interferone e ruxolitinib, inibitore di JAK2, in molti casi è stato posticipato. La gran parte dei clinici ha posticipato le visite ai pazienti affetti da trombocitemia e policitemia, ma non ai malati di mielofibrosi che sono sempre stati seguiti».

di Paola Trombetta

Mieloma multiplo: nuove armi con CAR-T

Il 51% dei pazienti con mieloma multiplo recidivo, che hanno già ricevuto almeno tre trattamenti, è vivo a due anni grazie alla terapia cellulare con una nuova CAR-T. La sopravvivenza globale mediana ha superato i due anni (24,8 mesi). Risultati molto importanti, se pensiamo che per questi pazienti pretrattati, prima dell’arrivo delle CAR -T, l’aspettativa di vita era compresa fra 6 e 9 mesi. I risultati descritti sono relativi all’aggiornamento dello studio di fase 2 KarMMa, che ha arruolato 128 pazienti trattati con CAR-T, presentati al Congresso dell’Associazione Europea di Ematologia (European Hematology Association, EHA), che si è svolto di recente, e approfonditi in una conferenza stampa promossa da Celgene, parte di Bristol Myers Squibb. Ogni anno, in Italia, 5.800 persone sono colpite da mieloma multiplo, un tumore del sangue che ha origine nel midollo osseo caratterizzato da ripetute recidive. Pertanto i pazienti hanno necessità di più opzioni terapeutiche nelle diverse fasi della malattia, con l’obiettivo di cronicizzarla, anche nei casi più gravi.

«KarMMa è il primo studio di fase 2 con cellule CAR-T condotto per la terapia del mieloma multiplo recidivo/refrattario», afferma il Professor Michele Cavo, Direttore dell’Istituto di Ematologia “Seràgnoli”, IRCCS S. Orsola-Malpighi, Università degli Studi di Bologna e Professore Ordinario di Ematologia presso la stessa Università. «I pazienti arruolati avevano già ricevuto una media di 6 precedenti regimi di trattamento e l’84% era refrattario a tutte le tre classi di nuovi farmaci comunemente in uso, che includono gli agenti immunomodulanti, gli inibitori del proteasoma e gli anticorpi monoclonali anti-CD38. La durata media del follow-up è stata di 24,8 mesi, la più lunga finora raggiunta con una terapia CAR-T nel mieloma multiplo. Il tasso di risposta globale ha raggiunto il 73% in tutti i pazienti trattati, con il 33% dei pazienti che hanno  ottenuto una risposta completa. La durata media della risposta è stata di 10,9 mesi e la sopravvivenza libera da progressione di malattia è stata pari a 8,6 mesi nell’intera popolazione di pazienti. Questi risultati sono stati confermati in tutti i sottogruppi di pazienti in studio, in particolare quelli ad alto rischio».

La terapia con cellule CAR-T, basata sui linfociti del paziente modificati geneticamente, rappresenta il fronte più avanzato dell’immunoterapia. I linfociti T vengono prelevati dal paziente, ingegnerizzati in laboratorio con una procedura complessa per poi essere reinfusi nel paziente stesso. L’Istituto di Ematologia “Seràgnoli” di Bologna ha partecipato attivamente allo studio KarMMa, che ha evidenziato risultati fino a 5 volte superiori rispetto a quelli stimati per questa popolazione di pazienti, che non rispondono più a nessuna terapia disponibile e con una aspettativa di vita limitata. Inoltre, grazie all’elevata tollerabilità dimostrata anche da un’analisi sulla neurotossicità, la terapia CAR-T garantisce una buona qualità di vita.  P.T.

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