Diventare mamma, nonostante l’endometriosi

«Ho scoperto di soffrire di endometriosi intorno ai 25 anni, dopo una lunga serie di indagini», racconta Ilaria, in occasione della  Giornata Mondiale dell’Endometriosi (24 marzo), istituita per sensibilizzare soprattutto la popolazione femminile a questa problematica ancora poco nota e sottovalutata. «Ero giovane, non ero sposata e in quel momento non avevo intenzione di avere figli, così non diedi grande peso a questa diagnosi inaspettata. La mia era una forma asintomatica: non causava emorragie né forti dolori mestruali, ma le cose cambiarono quando decisi di diventare mamma. Quel figlio, tanto desiderato, non arrivava e così pensai di rivolgermi a un centro specializzato per l’infertilità, dove mi sottoposero a un’ecografia approfondita. L’esame evidenziò che l’endometriosi si era ripresentata in una forma estremamente aggressiva e aveva compromesso la mia produzione ovarica. Mi proposero a quel punto di ricorrere alla fecondazione eterologa: una gravidanza “assistita” con la donazione di ovociti. All’inizio mio marito ed io eravamo scettici, con molti pregiudizi e tante paure. Poi, dopo diversi incontri e il supporto di una psicologa, affrontammo questo percorso che si è concluso felicemente».

Oggi Ilaria è mamma di due bellissimi gemellini che sono la gioia della sua vita. Sono molte le donne in età fertile che, come Ilaria, convivono con l’endometriosi: all’incirca il 10-15%, secondo le stime dell’Oms, di cui 3 milioni solo in Italia. La diagnosi spesso arriva tardi, mediamente dopo 7 anni, per lo più tra i 25 e i 35 anni, con un forte impatto sulla qualità della vita: personale, socio-relazionale, lavorativa e di coppia. L’endometriosi suscita emotivamente ansia e paura nella donna, discriminazione e difficoltà di relazione, disturbi collaterali e concomitanti di varia natura, causa di giornate di lavoro perse. «L’endometriosi – spiega la dottoressa Daniela Galliano, direttrice del Centro IVI di Roma – si verifica quando la mucosa che riveste l’utero fuoriesce dalla cavità uterina e comincia a invadere altri organi, ad esempio l’addome, le ovaie o le tube. Questo “tessuto attivo” reagisce alle variazioni ormonali tipiche di ogni ciclo, provocando gonfiore negli organi in cui si trova, ma anche importanti disturbi. Tra questi, emorragie interne, rottura dei tessuti e infiammazione degli organi colpiti accompagnate da forti dolori, problemi intestinali, aderenze fino alla possibile infertilità».

L’endometriosi, come nel caso di Ilaria, mette infatti a rischio il desiderio di maternità del 30-40% di donne che ne soffrono: «Il tasso di gravidanza naturale, in presenza di malattia – aggiunge la ginecologa – è inferiore al 2% per ciclo mestruale, contro un valore che si attesta attorno al 20% in condizioni di normalità. L’infertilità e l’endometriosi sono dunque inscindibilmente legate: se la prima va attentamente considerata nel momento della diagnosi di malattia, la seconda condiziona sensibilmente l’approccio terapeutico per la cura dell’infertilità, soprattutto nella donna ancora giovane. Oggi, per queste donne con endometriosi, la medicina riproduttiva è in grado di rispondere efficacemente e di offrire valide soluzione al loro desiderio di maternità». Il merito è da riconoscere sia alla ricerca scientifica che, negli ultimi anni, ha offerto alle donne nuove opportunità terapeutico-assistenziali, sia alla maggiore attenzione delle istituzioni. Dal 2016 l’endometriosi è considerata una  patologia cronica e invalidante, meritevole di essere “assistita”, negli stadi moderati e gravi, dai nuovi LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), entrati in vigore da marzo 2017. Fondamentale però, raccomandano gli esperti, è rivolgersi a centri specializzati, esperti in diagnosi e cura dell’endometriosi e dell’infertilità. Per riuscire a portare a termine il proprio desiderio di maternità, nonostante l’endometriosi.

di Francesca Morelli

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