LE SEI INFEZIONI PIU’ DIFFUSE A SCUOLA: COME RICONOSCERLE E TRATTARLE

“Uffa!, si ricomincia”. È il commento più diffuso tra gli alunnni che tornano sui banchi, ma anche tra le mamme consapevoli del fatto che in classe si annida il rischio di malattie infettive, batteriche virali. Di cui le più diffuse, che colpiscono dalla testa ai piedi nel vero senso della parola, sono almeno 6 – pidocchi, scabbia, gastroenterite, infezioni respiratorie, mononucleosi e la malattia “mani-piedi-bocca” – che si  possono riconoscere e trattare adeguatamente senza lasciare tracce nei bambini “untori”, né sui malcapitati compagni che, ignari, potrebbero contrarle.
«A favorire la diffusione di queste patologie – spiega la professoressa Susanna Esposito, direttore dell’Unità di Pediatria ad Alta Intensità di Cura della Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico dell’Università degli Studi di Milano e presidente WAidid (Associazione Mondiale per le Malattie Infettive e i Disordini Immunologici) – sono soprattutto i locali chiusi, come le aule in cui la trasmissione dei microrganismi è favorita dallo scambio degli oggetti, ma anche ambienti troppo riscaldati o eccessivamente umidi, come le palestre o le piscine: tutti  luoghi che rappresentano un habitat ideale per virus e batteri. I quali colpiscono soprattutto i bambini nei primi anni di vita e durante l’età scolare, quando cioè il sistema immunitario è ancora immaturo e più facilmente aggredibile». Non è certo un’immunizzazione contro i “virus scolatici”, tuttavia al rientro dalla vacanze dopo le trasgressioni estive ne favoriscono la prevenzione, il recupero e il mantenimento di uno stile di vita sano: dieta corretta, varia e bilanciata, riposo notturno mai al di sotto delle 8 ore,  stop all’uso di video-giochi o comunque limitato al fine settimana. Ma se alcune tra le infezioni scolastiche più diffuse colpissero comunque, come riconoscerle e come comportarsi per contenerne le manifestazioni?

I pidocchi – Chiamati dagli esperti “pediculosi del capo”, sono una sventura per i bambini e anche per le mamme. Perché quei piccoli animaletti – adulti, larve o uova (lendini) – si annidano tra i capelli e sul cuoio capelluto, soprattutto nella regione retro-auricolare e nucale, saltando da una testa infetta all’altra per contatto o anche attraverso il passaggio di pettini, spazzole o caschi contaminati. I pidocchi, dopo un periodo di incubazione pari a 6-10 giorni dopo la deposizione delle uova (il pidocchio raggiunge infatti la maturità dopo 8-9 giorni), hanno manifestazioni variabili perché possono restare silenti o, più spesso, accompagnarsi a prurito intenso fino a generare vere e proprie lesioni da grattamento. Chi ne è infetto resta contagioso fino a che continua a ospitare in testa pidocchi o lendini che vivono in media circa 1 mese. «Occorre anzitutto accertare la presenza dei pidocchi – precisa la professoressa – con un’accurata ispezione del cuoio capelluto e scovate le larve, vanno trattate con prodotti specifici per capelli, a base di piretrina in mousse o permetrina in gel o creme, lasciandoli agire in sede per una decina di minuti e poi rimuovendoli con abbondante acqua. Infine le lendini rimaste vanno tolte con l’uso di un pettine a denti molto stretti, partendo dalla radice dei capelli, e ripetendo il trattamento a distanza di 7-10 giorni. Un’attenzione particolare va riservata anche a lenzuola e abiti che vanno lavati in acqua calda o a secco».

La scabbia – Si crede, erronemaente, una malattia scomparsa. Invece è ancora una condizione esistente nella nostra società che viene trasmessa da un parassita, un acaro, quando entra in contatto diretto cute-cute. Le manifestazioni più classiche, dopo una incubazione di 4-6 settimane, sono caratterizzate da piccole macchie rosse iniziali e da un intenso prurito, soprattutto notturno, con evoluzione vescicolare localizzata nei bambini con meno di due anni, per lo più in  testa, sul collo, palmo delle mani e pianta dei piedi e, nei bambini più grandi, tra dito e dito, polsi, gomiti e pieghe ascellari. «Alla comparsa delle prime lesioni – aggiunge Esposito – è necessario iniziare una terapia con una crema o lozione mirata a uccidere gli acari, da applicare su tutto il corpo e non solo sulla zona dell’eruzione, lasciandola agire almeno 8 a 12 ore prima di rimuoverla con un accurato lavaggio.  Il trattamento va ripetuto dopo una settimana e per tutto il periodo in cui il bambino o la persona resta contagiosa, cioè fino alla completa distruzione degli acari e delle uova. Fondamentali sono anche le norme igieniche, facendo attenzione al contatto con le lesioni e lavando con cura lenzuola e indumenti».

La gastroenterite – Spesso definita “influenza intestinale”, in maniera inappropriata, questa infezione che interessa lo stomaco e l’intestino con manifestazioni più tipiche quali nausea, vomito, diarrea o dolori addominali, si può trasmettere per via orofecale, per contatto o anche per via respiratoria. Il veicolo di contagio sono dei virus – tra cui il Rotavirus, che colpisce soprattutto i bambini più piccoli, il Norovirus, che perdilige adolescenti e adulti, l’Adenovirus, causa di sintomi anche respiratori – o dei batteri tra cui Salmonella e Clostridium difficile. «Nelle forme più blande – tranquillizza la specialista – caratterizzate da una lieve-modesta diarrea, di norma è sufficiente un’adeguata idratazione accompagnata dall’assunzione di probiotici, come il Lactobacillus GG, che migliorano l’equilibrio della microflora endogena. Nei casi di diarrea acuta, occorre fare attenzione alla disidratazione, la principale e più comune problematica soprattutto nei bambini con meno di 2 anni di età, evitando le bibite ad alto contenuto di zucchero, come i succhi di frutta, che potrebbero aggravare la diarrea. Invece occorre continuare a mangiare, facendo pasti piccoli e frazionati, ad esempio 6 pasti al giorno. Ricordo che nel trattamento della gastroenterite non sono indicati né antibiotici né farmaci antiemetici».

“Mani-piedi-bocca”  – E’ una malattia esantematica che interessa i bambini nei primi anni di vita, manifestandosi con una faringite associata a un’eruzione cutanea di pustole, vescicole o bolle localizzate al cavo orale, palmo delle mani e pianta dei piedi. «La malattia – fa sapere Esposito – tende a guarire spontaneamente e senza complicanze. È utile fare ricorso al paracetamolo in caso di malessere persistente o di febbre e, se necessario, a un trattamento locale per attenuare il dolore in bocca e facilitare l’ingestione di cibo e liquidi».

La mononucleosi  – Si contrae con lo scambio di saliva contaminata dal virus di Epstein-Barr (EBV). Frequente soprattutto tra giovani e adolescenti, è caratterizzata da febbre, astenia, malessere, cefalea e linfonodi ingrossati. «Di norma – precisa la professoressa – si risolve in una decina di giorni di riposo e di buona idratazione che contribuiscono ad accelerare il decorso della malattia. In caso di febbre è possibile fare uso di paracetamolo».

Le infezioni respiratorie virali – Interessano soprattutto l’apparato respiratorio (naso, trachea, bronchi e polmoni) e sono molto frequenti in età pediatrica. La trasmissione da parte di virus (Adenovirus o Rinovirus), ma anche di batteri è spesso favorita da ambienti umidi o troppo caldi che causano la secchezza delle mucose. Tra le infezioni respiratorie più comuni vi è la faringite virale che si manifesta con bruciore e difficoltà a deglutire, accompagnati talvolta da febbre, malessere generale e linfonodi cervicali ingrossati. «Il fastidio tende a risolversi da solo – conclude Esposito – pertanto non esistono trattamenti specifici per la cura della faringite virale sebbene, laddove necessario,  sia possibile trattare la febbre e il dolore con farmaci come paracetamolo e ibuprofene».

di Francesca Morelli

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