LA FESTA DELL’ 8 MARZO: SENZA PAURA DI ESSERE “RETRO”

Arriva l’8 marzo e si torna (ma noi non abbiamo mai smesso) a parlare di donne. Donnainsalute è andata in via Marsala 8 a Milano, dove ha sede la Casa delle Donne: una cittadella pulsante di attività, seminari, corsi, convegni. Ma anche laboratori artigianali, spazi per bambini. Ottocento metri quadri al piano terra dell’ex scuola, in zona Brera, che il Comune di Milano l’anno scorso ha concesso in uso gratuito per tre anni. In bella vista all’ingresso della Casa il plastico del bar caffetteria che dovrà essere realizzato. Abbiamo incontrato e chiacchierato un po’ con Nicoletta Gandus, una vita in magistratura, rappresentante legale e copresidente – che ci accoglie assieme a Stella Okungbowa, mediatrice culturale nigeriana e Camilla Notarbartolo, giovane mamma lavoratrice milanese – e con Barbara Mapelli, che da anni si occupa di educazione, con particolare attenzione alle culture di genere, ed è membro del direttivo: ha appena pubblicato il volume Galateo per donne e uomini. Nuove adultità nel contemporaneo (Mimesis edizioni).

La festa della donna ha ancora un senso?
Gandus:
«Lo ha se lo facciamo tenendoci strette, aiutandoci concretamente. Noi qui, alla Casa delle Donne, la festeggiamo tutti i giorni!».
Mapelli:
«Ogni anno l’8 marzo serve a mantenere viva la memoria del percorso che abbiamo fatto. A raccontare soprattutto alle più giovani, per le quali la parola “femminismo” è diventata qualcosa di estraneo, che tutto quanto abbiamo conquistato, a cui ci rapportiamo adesso magari con leggerezza, non ci sarebbe stato senza un lungo percorso femminista. Le giovani non se ne rendono conto, danno per scontate le conquiste delle madri. I diritti conquistati invece non sono acquisiti per sempre e vanno difesi ogni giorno».

La Casa delle Donne è stata inaugurata proprio l’8 marzo del 2014. Un bilancio di questo primo anno di attività?
Gandus:

«Molto positivo, grazie alla partecipazione e all’impegno di tante donne. La Casa è stata subito uno luogo molto frequentato e attivo. Ora contiamo quasi 1800 socie. Abbiamo 17 gruppi di lavoro sui temi di maggior interesse per la vita delle donne. Il risultato ci conferma che siamo state molto brave. Come sempre succede le donne si buttano nelle buone pratiche con passione. Del resto le donne milanesi aspettavano un luogo dove stare insieme per dialogare, fare progetti, studiare, divertirsi e darsi reciproco sostegno».

Cosa fa in concreto la Casa delle Donne?
Gandus:

«Vogliamo valorizzare e far emergere i talenti e il sapere femminili, come è scritto nello statuto. Seminari, corsi finalizzati al ben-essere di corpo e mente, laboratori teatrali per mamme e bambini e molto altro ancora. Per ogni cosa di cui ci si occupa si crea un gruppo: dalla interculturalità  all’arteterapia, dalla biodanza alla fotografia, al cinema. Ospitiamo anche su richiesta e con versamento di un contributo, attività ed eventi organizzati da altri gruppi di donne».
Mapelli:
«In momenti di crisi in cui è facile essere prese da scoramenti, è importante creare solidarietà fra donne. Fare rete, mettere in relazione le esperienze, come oggi molto spesso si fa con internet, coinvolgendo anche diverse generazioni. Uno degli obiettivi della Casa delle donne è quello di raggiungere le giovanissime. Sono ancora una minoranza. Ne aspettiamo di più!».

Il prossimo appuntamento?
Gandus:

«Il 28 marzo parleremo della malattia di Parkinson, con interventi delle neurologhe Vincenza Fetoni e Maddalena Gasparini. E’ l’inizio di un discorso che vogliamo fare sulla medicina di genere, intorno al quale si stanno raccogliendo esperienze, buone pratiche e vasta letteratura. Un nuovo approccio alla salute che tiene conto delle differenze tra uomo e donna come elemento determinante per migliorare l’appropriatezza diagnostica e terapeutica. E’ noto che uomini e donne non si ammalano allo stesso modo, non guariscono allo stesso modo e che una stessa patologia può avere un impatto differente su di loro. Sembrerebbe una considerazione banale, ma finora si è dedicata scarsa attenzione a queste problematiche».

Il Femminismo è fuori moda? Perché è diventata una parola tanto scomoda?
Gandus:
«Il femminismo in sé non è una questione obsoleta. Sessualità, famiglia, lavoro, politica, e, ora più che mai, pace, sono alcuni dei temi più presenti. Ma non secondo vecchi paradigmi ormai logori che lo fanno sempre sembrare un’ideologia di rivendicazione e di odio verso l’altro sesso, bensì come riflessione attiva, consapevole, concreta delle donne su loro stesse e sul mondo che le circonda, nella realtà complessa di una società in mutamento continuo, sia dal punto di vista economico che da quello culturale e simbolico».

 A proposito di giovani generazioni, ha fatto molto clamore mediatico l’attrice Emma Watson, 24 anni, conosciuta universalmente come Hermione Granger della saga di Harry Potter che con il suo discorso alle Nazioni Unite del 20 settembre sulla parità di genere nell’ambito della campagna “He for she” (Lui per lei) si è definita una femminista. Molto meno clamore comunque delle Women against feminism  pronte a scattarsi il selfie con il cartello “non ho bisogno del femminismo”. Come spiegare questa indifferenza delle più giovani alla questione della parità tra i sessi?
Mapelli:
«Forse perché la realtà di oggi sembra apparentemente più “libera”, ma in realtà è più insidiosa: ci sono meno tabù, ma alle donne è richiesto di essere efficienti, perfette. Scavando sotto la superficie si vede come persistano vecchi stereotipi, frutto di una mentalità maschile, interiorizzata anche dalle donne. I cartelli di Women against feminism ci dicono però che qualcosa non sta funzionando anche nella comunicazione. Quando si dice “femminismo”, si viene subito catturati in una serie di stereotipi che fanno in realtà riferimento al femminismo radicale. Meglio sarebbe parlarne oggi al plurale:esiste infatti una molteplicità di forme della soggettività femminile. Diversi tipi di donne; diverse per esperienze e identità. Il 18 marzo parleremo proprio di Femminismi al plurale . Ma c’è un punto centrale: solo attraverso l’accettazione delle differenze tra i generi si può raggiungere una vera parità. Essere pari non vuol dire essere uguali… ma per avere le stesse opportunità bisogna che i diritti vengano riconosciuti».

Ma gli uomini  saranno prima o poi ammessi?
Gandus:
«Nello statuto non c’è preclusione al loro ingresso. In  determinati momenti, nelle occasioni pubbliche potrebbero esserci riunioni miste su temi specifici. Così abbiamo vissuto l’incontro dello scorso febbraio sul tema “Potere/volere essere madri e padri”. Si è parlato di provette e di embrioni, di tecniche mediche e di fecondazione eterologa, dei nuovi modi di diventare genitori, di libertà e di diritti. Temi complicati su cui si confrontano sensibilità diverse, temi in continua evoluzione su cui è impossibile dire parole definitive».
Mapelli:
«Si è superata la fase “separatista” in cui gli uomini dovevano essere tenuti alla larga. E’ davvero arrivato il tempo dell’apertura e del confronto con gli uomini. Forse l’asprezza dello scontro con l’altro sesso ci ha lasciato tutti così stremati da renderci disponibili a cambiare metodo, per dare finalmente vita a un mondo nel quale uomini e donne siano in grado di stare insieme e non più contro; nel quale questi due mondi tornino a parlarsi, a rispettarsi e soprattutto a condividere. Perché se bisogna cambiare, bisogna cambiare insieme!». 

Cosa vi augurate per il futuro?
Mapelli:

«Sono un’inguaribile ottimista e ho fiducia nella capacità di donne e uomini di apprendere nuovi linguaggi e comportamenti, le buone maniere indispensabili a una felice convivenza, in famiglia, nel lavoro, nella società. A cominciare da atteggiamenti di rispetto e attenzione all’altro e all’altra. Ma prima occorre sradicare stereotipi culturali dell’essere uomini e donne che ancora ci ingabbiano, apprendere e insegnare la capacità critica. La scuola e le altre agenzie formative sono i primi luoghi in cui muoversi. Ci vorrà del tempo. Poi abbiamo bisogno di leggerezza e di ironia  Muovendoci dentro il cambiamento con minori paure e incertezze, sapendo che il disorientamento non è solo nostro. Alla fine, il risultato fondamentale sarà un balzo nella consapevolezza di quello che siamo e nella fiducia in quello che desideriamo e possiamo essere».

Per info: Casa delle Donne, via Marsala 8, aperta dal lunedì al venerdì dalle 17 alle 19,30;  mercoledì dalle 11 alle 13; Tel: 02/8844339; info@casadelledonne.it

di Cristina Tirinzoni

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