EMBRIONI SCAMBIATI: «IN QUESTA STORIA CI SONO SEI VITTIME!»

Due embrioni che crescono, due coppie di genitori che rivendicano la genitorialità, un codice civile che non contempla un caso del genere, una legge 40 che non disciplina l’errore. Il tragico errore commesso all’Ospedale Pertini di Roma, in seguito al quale una donna è ora in attesa di due gemelli non suoi, apre a scenari umani drammatici e percorsi giudiziari difficili e controversi. Giuristi, esperti di bioetica, filosofi, chiamati a dare risposte difficili. Affidare i gemelli che nasceranno ai loro genitori biologici, che avrebbero, secondo alcuni giuristi, il diritto di rivendicarli per “sostituzione di neonato”; lasciare i bambini alla madre che li partorirà, come prescriverebbe, sostengono altri, la normativa attuale; ipotizzare una sorta di “affido congiunto” in una famiglia “allargata”, con un ruolo attivo per entrambe le coppie coinvolte. Ne abbiamo parlato con Grazia Attili, docente di Psicologia Sociale presso l’Università di Roma “Sapienza”, autrice di due saggi Attaccamento e amore e L’amore imperfetto (Il Mulino), una fra i relatori del Seminario “Attaccamento: nuove tendenze nella clinica e nella ricerca” che si terrà a Roma il 9 maggio (al Centro Congressi, Via Salaria 113).

Cosa pensa di questa vicenda?

«Un disastro. Come ha detto il genitore biologico “in questa storia ci sono sei vittime”. C’e una donna che sta portando avanti una gravidanza con due gemelli biologicamente non suoi, e che si trova ad essere suo malgrado protagonista di una gravidanza surrogata, addirittura vietata nel nostro Paese; c’è una coppia a cui sino stati sottratti i propri embrioni, che non è riuscita a portare avanti la gravidanza e che si sente comprensibilmente legittimata nel chiedere “la restituzione dei nostri figli”. Difficile trovare una risposta rispettosa da ogni punto di vista. Resta il dolore irreparabile delle due famiglie, che potranno comunque accertare le responsabilità di chi ha sbagliato in sede giuridica. Volevano solo un figlio, ma la gioia di un parto e di una gravidanza è stata sostituita da un’angoscia profondissima, che merita rispetto».

Di chi sono i due gemelli – un maschio e una femmina – che nasceranno alla fine dell’estate, cresciuti nell’utero di una madre che porta però dentro di sè il materiale genetico di un’altra coppia che dunque li reclama?

«Stabilire la prevalenza tra i due interessi, uno della genitorialità genetica e l’altro della genitorialità di gestazione, che in questo caso si trovano contrapposti, è un compito che spetta al legislatore. Purtroppo  la materia è tutt’altro che chiara dal punto di vista giuridico, i tempi di eventuali vicende processuali certamente non brevi. La competenza a dirimere il conflitto è del tribunale. Mi auguro però che le due coppie insieme trovino la risposta».

Quale potrebbe essere la soluzione più opportuna?

«Non è compito della psicoanalisi indicare norme comportamentali e tanto meno formulare giudizi, ma sarebbe auspicabile che entrambe le coppie coinvolte potessero avere un ruolo attivo, oltre che affettivo, nei confronti dei nuovi nati. Per garantire la migliore protezione dei nascituri».

Cosa pensa sia meglio, da un punto di vista strettamente psicologico?

«L’affettività ha valore costitutivo in tutte le fasi di formazione della vita umana: nel concepimento, durante la gravidanza, nella crescita del bambino dopo la nascita. La relazione intima fra la madre e il concepito è determinante per lo sviluppo affettivo e la salute psichica di un bambino. Il rapporto tra quella madre e quel figlio è già incominciato durante il periodo di vita intra-uterina, nel ventre materno il bambino si muove, percepisce il contatto materno e stabilisce una comunicazione affascinante e silenziosa con la madre che dura tutti i nove mesi. Le carezze sulla pancia, il tono della voce, sono precise comunicazioni che il feto percepisce, ingloba. La relazione con la madre è già fortissima, ma anche con il padre che quella gravidanza l’ha sostenuta. E’ uno scambio di emozioni, di sensazioni che si fanno via via più solide e profonde e che raggiungono il loro culmine subito dopo il parto quando il legame si trasformerà in attaccamento di lunga durata, emotivamente significativo, che il bambino sviluppa nei primo anno di vita nei confronti dell’adulto che si prende cura di lui. E’ importante sottolineare come tale legame, che nella maggior parte dei casi si instaura con la madre, possa crearsi anche con un’altra figura adulta che è presente nelle prime fasi di vita del bambino, come il padre, i nonni… ».

Ma la verità è che “quei figli non sono stati concepiti dalla donna che li partorisce”, così dicono alcuni. Secondo lei il legame di attaccamento è invece più importante dell’eredità genetica?

«Più di un secolo di ricerche e osservazioni cliniche internazionali hanno dimostrato l’importanza del rapporto madre e figlio nel periodo prenatale e perinatale, per il benessere e lo sviluppo psicologico e fisico del bambino. Nel rapporto tra quella madre e quel figlio, durante la gravidanza e nel periodo successivo, si forma la personalità del bambino. L’equilibrio è delicatissimo. Fondamentale per questo, nel caso di eventuali azioni legali i tempi siano rapidissimi. Se l’obiettivo primario è – come deve essere – la salute psicologica dei minori, nel caso che i gemelli debbano essere riaffidati ai loro genitori biologici è bene che ciò avvenga il più rapidamente possibile. Pena una confusione dell’identità e grossi rischi di problemi emotivi. Più tardivamente avviene l’allontanamento dai “genitori di gestazione”, più sarà traumatico, e destabilizzante per i bambini. Per questo, dicevo, sarebbe auspicabile che entrambe le coppie coinvolte mantenessero contatti e relazioni. Sarebbe la soluzione meno traumatica e più naturale».

A quei bambini andrà detta la verità?

«Fino ai cinque, sei anni a quei bambini importerà poco di come sono nati. Le domande se le faranno dopo, e lì devono essere pronti i genitori. Rassicurandoli. Impensabile l’ipotesi di nascondere l’accaduto ai figli».

Maternità surrogate, utero in affitto, seme e ovulo acquistati in banche specializzate. Le nuove forme di procreazione stanno modificando la nascita e pone risposte complesse. Cos’è la genitorialità?

«Avere un figlio ad ogni costo è considerato ormai un diritto inviolabile, da ricercare con ogni mezzo messo a disposizione dalla tecnica. Essere genitori non significa soltanto mettere al mondo dei figli. La genitorialità è un processo psichico complesso che ha molto di più a che fare con l’accoglimento, contenimento, protezione, la capacità di individuare e rispecchiare i bisogni del bambino e mettersi in contatto con essi. Tutti questi aspetti ristrutturano l’identità, possiamo perciò dire che si diventa genitori progressivamente e che l’essere genitori ci modifica come persona. Si tratta di uno spazio mentale e soprattutto relazionale dove il figlio può nascere in sicurezza e, piano piano, sentirsi se stesso perché autonomo e perché pensato e amato da qualcuno. Tutto questo non è ipso facto sovrapponibile con l’avere un bambino. Alcune persone hanno figli, ma non avviano un processo che li genitorializza, modificando perciò la loro identità in questo senso».

Cosa pensa di una pratica come l’utero in affitto? Nel nostro paese è vietata dalla legge 40 del 2004. Ma in molti paesi è legale. Così molte coppie vanno all’estero per poter avere un figlio con il proprio Dna. Basta pagare…

E’ una cosa indegna, un gravissimo attentato alla dignità dei bambini e della donna. Tutto oggi sembra possibile, nulla di eccezionale, nessun trauma al momento del parto né dopo, nessun turbamento per aver affittato il suo utero. Come se il suo grembo fosse “scollegato” da tutto il resto. Come se del legame simbiotico che si forma tra la donna e il bambino durante i nove mesi di gestazione non rimanesse traccia. Rimosso forse dalla donna, il neonato ne porterà il ricordo inconscio per tutta la vita.

Cristina Tirinzoni

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