“Women in rare”: ricerca scientifica insufficiente sulle differenze di genere nelle malattie rare

In Italia, le donne con malattia rara si confrontano con molti bisogni insoddisfatti che riguardano sia la propria affermazione sociale, sia la propria femminilità. Questo è vero tanto per le donne pazienti quanto per le donne caregiver, due ruoli che spesso coesistono nel contesto delle malattie rare. In particolare, le patologie rare e i relativi trattamenti, possono avere un impatto significativo sulla fertilità, l’immagine corporea e la sessualità delle pazienti, generando sentimenti di ansia e depressione. L’incertezza riguardo l’insorgere e la natura dei sintomi rende difficile per queste donne organizzare la propria giornata e progettare il futuro, a partire dalla pianificazione familiare. Le pazienti con tali patologie devono considerare l’eventuale impatto della loro condizione sulla gravidanza, nonché il rischio di trasmissione genetica della malattia ai figli. Allo stesso modo, la donna caregiver si trova a vivere un’incertezza simile, spesso sacrificando la propria carriera e la propria vita professionale per dedicarsi all’assistenza dei propri cari, con un impatto significativo sulla salute mentale, emotiva e fisica, a causa dell’intensa pressione e del poco tempo disponibile per prendersi cura di sé. Nonostante queste complessità, non sempre questi aspetti sono presi in considerazione nell’ambito della ricerca scientifica.

È quanto è emerso dal primo meeting del Comitato Scientifico del progetto nazionale “Women in Rare”, dedicato a esplorare e comprendere l’impatto delle malattie rare sulle donne sia come pazienti che caregiver, dal punto di vista socio-sanitario e economico. Il progetto, promosso da Alexion in collaborazione con EngageMinds Hub, UNIAMO, Fondazione Onda e ALTEMS, vuole costruire conoscenza e analizzare dati su aspetti oggi non ancora sufficientemente conosciuti.

<Da un’analisi approfondita della letteratura scientifica emergono chiaramente alcuni aspetti>, spiega Guendalina Graffigna, Professore Ordinario di Psicologia dei Consumi e della Salute all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza e Direttore del Centro di Ricerca EngageMinds HUB/Consumer, Food & Health Engagement Research Center. <Il primo è che le evidenze prodotte sulle differenze di genere sono estremamente limitate, e gli studi condotti si concentrano principalmente sull’innovazione diagnostica e terapeutica. I risultati su come la malattia sia vissuta dalla donna a livello psico-sociale, e quindi su come vengano affrontate le limitazioni imposte dalla malattia e i cambiamenti nella vita quotidiana, sono ancora più scarsi>. <Le oltre 7.000 patologie rare hanno anche un impatto economico importante – aggiunge Nicoletta Orthmann, coordinatrice medico-scientifica di Fondazione Onda. Presentano dei costi diretti e indiretti che gravano sulla donna interessata, come paziente o caregiver, della malattia rara. Lo stesso vale per il resto del nucleo familiare. Vanno poi considerati tra gli aspetti economici anche i costi legati al mancato trattamento precoce della donna e delle sue specificità>.

Per analizzare questi fattori critici nell’assistenza alle pazienti, il Comitato Scientifico di “Women in Rare” condurrà interviste qualitative su un campione ristretto, raccogliendo storie di queste donne/caregiver. <L’ obiettivo è dare voce a coloro che affrontano quotidianamente sfide e difficoltà>, commenta Annalisa Scopinaro, Presidente di UNIAMO (Federazione Italiana Malattie Rare). <Allo stesso tempo, vogliamo capire la percezione che queste donne hanno di chi, a livello medico e istituzionale, potrebbe effettivamente migliorare la loro condizione socio-sanitaria>. Da questa ricerca preliminare verrà compilato un questionario per un’indagine quantitativa più approfondita che si estenderà in tutt’ Italia.

Paola Trombetta

 

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