“In seno al futuro”, per sensibilizzare sul tumore in metastasi

Un’onda che travolge in modo impetuoso. È la sensazione provata da ogni donna che riceve una diagnosi di tumore del seno metastatico: un’esperienza che ritorna, in un percorso di malattia che si considerava concluso, scompigliando le carte della vita. Emotiva, relazionale, sociale, professionale, fisica: aspetti che richiedono una consapevolezza nuova, verso cui la donna deve essere accompagnata e supportata nella comprensione di ciò che l’attende, dalla diagnosi alla prospettiva di cura, al bisogno di riconoscersi e ritrovarsi.

Con questi obiettivi nasce la campagna di sensibilizzazione “In Seno al Futuro”: 5 video a tema, uno per ciascuna fase del cammino di consapevolezza, simboleggiati da immagini incisive ed evocative – l’onda che sommerge alla diagnosi, l’albero che ramifica le tante opzioni di cura oggi disponibili anche per il tumore del seno metastatico e la pluralità di esperti che fanno alleanza attorno alla donna, lo specchio che invita a guardarsi dentro e a scoprire una nuova dimensione di sé, la tavolozza dei colori che alla fine del percorso e con il giusto supporto anche di figure specializzate, aiutano la donna a ridipingere la vita con sfumature diverse. Racconti che sono accompagnati dalla voce narrante di La Pina, conduttrice e speaker radiofonica di Radio Deejay che invita a riflettere sul significato più profondo delle immagini che scorrono. In ogni fase della malattia a partire dalla sua “scoperta”.

 «L’oncologo – spiega Grazia Arpino, Professore Associato di Oncologia Medica e responsabile del gruppo di tumore mammario presso l’Università Federico II di Napoli – è il primo a diagnosticare la malattia metastatica, il principale referente della donna e il coordinatore di un lavoro di squadra fra le diverse figure professionali coinvolte, dal radioterapista, all’ortopedico, al neurologo a seconda che la malattia si sia diffusa alle ossa, al polmone, al fegato o in altra sede, impegnati a trovare la giusta sinergia terapeutica per “cronicizzarla”, favorirne il controllo e/o la remissione. L’integrazione con più figure professionali può essere di grande aiuto per ridurre i sintomi e le manifestazioni della malattia». Seppure vero che dalla malattia metastatica non si guarisce, questa è sempre più curabile e più a lungo, aumentando la sopravvivenza della paziente e la qualità della vita: oltre 37 mila donne convivono oggi con questa forma di tumore.

«La malattia metastatica – prosegue Valentina Guarneri, Professore Ordinario di Oncologia Medica, Università di Padova – rappresenta il momento più delicato della storia di questa malattia, perché è il ritorno di una problematica che si pensava superata con tutte le implicazioni fisiche e psicologiche associate. Ciò richiede che gli oncologi e il personale medico sviluppino capacità ed empatia per comunicare una diagnosi dal forte impatto sulla vita della paziente, cercando di prospettarle la possibilità di terapie disponibili, molteplici e molto efficaci, tramite un linguaggio semplice che favorisca la migliore comprensione. Un dialogo che tuttavia deve esser condotto nei tempi giusti per consentire alla donna di metabolizzare la nuova condizione e comprendere la finalità del trattamento, che ha lo scopo di prolungare il più possibile la remissione, seppure esista un’incertezza che non riguarda la proposta terapeutica ma la previsione dell’andamento della malattia. Oggi i trattamenti sono prevalentemente farmacologici, e vanno scelti tenendo conto della storia clinica della paziente, il tipo di tumore e le sue caratteristiche molecolari, il numero e la posizione delle metastasi. Ad esempio, per i tumori HR positivi ci si avvale della terapia ormonale o endocrina, eventualmente combinata a farmaci target e per il tumore HER2 positivo di chemioterapia e farmaci anti HER2. Mentre per un sottogruppo di tumori triplo negativi, quelli che presentano le maggiori criticità di cura, è possibile sfruttare l’azione dell’immunoterapia combinata a chemioterapia con sensibili vantaggi in termini di sopravvivenza. La base di tutti i trattamenti è infatti bloccare la pathway (componente) ormonale, uno dei principali “motori” della crescita del tumore, con possibilità di potenziarne l’efficacia combinando dei farmaci a bersaglio molecolare in prima linea come nei successivi trattamenti. A queste opzioni si aggiungono le terapie loco-regionali, come la chirurgia, la radioterapia e la radiologia interventistica». Difficoltà cliniche, sociali, relazionali, familiari: la donna in questo percorso va sostenuta, guidata e accompagnata da uno specialista dedicato: psiconcologo.

«La diagnosi di malattia metastatica arriva come uno tzunami e potenzialmente non lascia intatto nulla dietro di sé – aggiunge Marco Bellani, professore presso l’Università degli Studi dell’Insubria e Past President SIPO (Società Italiana di Psico-Oncologia)e il senso di perdita soprattutto nella fase di accettazione della malattia, va accolto, validato e condiviso. Solo riconoscendo il livello di traumaticità che la diagnosi produce è possibile aiutare la donna a convivere con l’“incertezza” della malattia che può minare il benessere psicologico, oltre che fisico, con lo sviluppo di ansia, depressione, distress, cioè un grado di sofferenza soggettiva, che vanno adeguatamente presi in carico prima che paura, rabbia, disturbi del sonno evolvano in una sofferenza permanete meritevole di trattamento specifici quali terapie farmacologiche o psicoterapie e/o terapia combinata. Il supporto psicologico ha tanti vantaggi: migliora la qualità di vita e il quadro psicologico, favorisce l’adesione ai trattamenti a cui molti pazienti rinunciano per gli effetti collaterali e può contribuire a modificare alcuni parametri biologici che concorrono alla migliore prognosi. L’intervento psiconcologico deve essere rivolto anche alla famiglia della paziente e, da anni, SIPO e le Associazioni Pazienti si stanno battendo affinché questo servizio entri nel percorso di cura di tutte le Breast Unit».

Fondamentale è l’azione delle Associazioni Pazienti che possono aiutare nel reintegro sociale e lavorativo. «Può capitare che la donna veda ridursi il proprio ruolo personale e professionale nel contesto sociale. Servono percorsi di affiancamento e riorientamento – commenta Flori Degrassi, Presidentessa A.N.D.O.S. Onlus Nazionale (Associazione Nazionale Donne Operate al Seno) – che le consentano di ritrovare la fiducia in sé stessa e nelle proprie capacità. È fondamentale non solo promuovere nuove misure di natura contrattuale, ma anche supportarla nei percorsi di reintegrazione nel lavoro. In questo senso, il lavoro delle Commissioni deve essere omogeneo in tutto il territorio». Non ultimo le Associazioni svolgono un ruolo importante di advocacy, trait d’union in un ecosistema fatto di medici, infermieri, pazienti, regolatori, decisori politici, imprese, mantenendo alta l’attenzione sulla qualità della vita delle donne, tutelandone il benessere personale, familiare e sociale. «Tutti ambiti nei quali la Associazioni sono cruciali in azioni d’informazione, caring, e guida nei momenti di disorientamento – conclude Rosanna D’Antona, Presidente Europa Donna Italia APS – oltre a farsi portavoce dei loro diritti e delle loro istanze presso le istituzioni locali e nazionali».

La campagna “In Seno al futuro” è promossa da Daiichi Sankyo e AstraZeneca, con la collaborazione di A.N.D.O.S. Onlus, Europa Donna Italia APS, SIPO, e con il patrocinio di Fondazione IncontraDonna e Salute Donna ODV. I contenuti e gli approfondimenti sulla patologia sono visibili al link: www.insenoalfuturo.it .

di Francesca Morelli

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