Sabina Guzzanti: viviamo ancora in una società troppo “patriarcale”

Corre da una città all’altra, Sabina Guzzanti, portando in giro per l’Italia Le verdi colline dell’Africa, il suo nuovo spettacolo teatrale e la sua ultima fatica letteraria, ANonniMus – Vecchi rivoluzionari contro giovani robot (edito da Harper Collins), il suo secondo romanzo di fantascienza dopo il geniale 2119, la disfatta dei Sapiens, scritto per la stessa casa editrice. Attrice-autrice di satira teatrale e televisiva, regista di lungometraggi (nel 2006 vince il Nastro d’argento per il miglior documentario con Viva Zapatero!), Guzzanti accetta volentieri di riflettere sulla giornata dell’8 marzo: a modo suo, con verve comica, ironia arguta e spiazzante.

Ha ancora senso celebrare la Giornata della donna?
«Direi di sì, ma senza retorica, spogliata dai soliti luoghi comuni che da decenni siamo abituati ad ascoltare e a dire. Comunque anche chi si impegna un giorno solo, meglio di niente. Ma c’è qualcosa che non torna… Non c’è una una festa dell’uomo… Chiediamo anche agli uomini, almeno una volta all’anno, di mettersi ufficialmente in discussione. Una bella giornatina di convegni, dibattiti dedicati alla figura maschile ci sta proprio bene di questi tempi. Ancora prigionieri di pregiudizi, ancora troppo convinti del proprio potere o, viceversa, confusi e annaspanti».

Qual è la conquista che senti più minacciata?
«È un po’ tutto ‘’insieme… Viviamo in una società con ancora forti strascichi patriarcali. Il patriarcato è la svalutazione del femminile, della subalternità delle donne in quanto donne, uscite dalla costola di Adamo. Il patriarcato è ogni volta che un uomo mediocre viene scelto al posto di una donna migliore di lui. Il patriarcato è quando un avvocato, un poliziotto, un giudice definiscono “lite” una violenza domestica o peggio femminicidio un raptus di gelosia. Il patriarcato è quando una donna non ha un lavoro e non può sottrarsi a un marito, un partner violento. Cultura patriarcale che è anche dentro di noi, l’abbiamo interiorizzata inconsapevolmente e si esprime in quel senso di inadeguatezza, con quella sensazione di non essere all’altezza, di sentirsi sbagliate. Anch’io sperimento questa condizione e mi sono sentita piena di dubbi: c’è una sorta di ostilità perché si ritiene che tu stia occupando un posto che non ti appartiene; anche quelli che teoricamente dovrebbero stare dalla tua parte, magari non lo dicono ma lo pensano, come se fossi una concorrenza sleale. In uno scenario in cui il mercato del lavoro diventa sempre più precario, metà delle donne del nostro Paese non sono occupate. Il divario salariale fra uomo e donna è inaccettabile. Siamo più istruite e meno occupate degli uomini, pagate meno degli uomini, e più esposte a lavori precari, in ruoli che non tengono conto delle reali qualifiche di studio o capacità professionali».

Quale pensi sia lo stereotipo più pericoloso sulle donne?
«Le donne sono multitasking: quante volte ce lo siamo sentito dire? Magari anche con un’aria di grande ammirazione. Beh, lascia che te lo dica: è una trappola. No, non lo sono. Nessun essere umano lo è. La nostra mente è programmata per concentrarsi su una cosa per volta; a sfatare il mito del multitasking sono stati scienziati tedeschi dell’Università di Aachen. Siamo state costrette a diventarlo, pagandone un prezzo alto. Quando cerchiamo di portare avanti più attività contemporaneamente, il carico mentale che ne deriva diventa insostenibile e si finisce col trascurare l’unica cosa che sembrerebbe non tralasciabile: se stesse, avere interessi, passioni e aspirazioni personali».

Cosa ti senti di dire alle donne e agli uomini?
«Domanda difficile: cerco di concentrarmi. Nessuno può arrogarsi il diritto di dire a una donna che cosa significa essere donna. Ogni definizione diventa una prigione. Non esiste un solo modo di essere donna, ma tantissimi, ognuno diverso dall’altro, nessuno meno importante dell’altro. Non esiste un manuale di istruzioni per maneggiarci con cura o su ciò che ci si aspetta da noi. Detto questo, auguri a tutte le donne».

L’8 marzo è una giornata internazionale. A chi è rivolto il tuo pensiero in particolare?
«Alle ragazze, alle donne iraniane: loro sono la rivoluzione. La comunità interazionale, come ha denunciato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International, non può rimanere inerte mentre le autorità iraniane intensificano la loro oppressione contro le donne con l’obbligo del velo, che prevede il ritorno delle pattuglie di polizia morale per le “colpevoli” punizioni di sconcertante brutalità: frustrate, stupri, detenzione in carcere».

C’è una donna che ti ha ispirata di più?
«Hanna Arendt, la filosofa che “pensava da sé”. Una donna libera che ha avuto sempre il coraggio di ragionare, dire e fare con la sua testa. La giovane studentessa di filosofia che fumava la pipa e aveva chiesto udienza al suo professore Martin Heidegger perché voleva imparare a pensare, è diventata la donna che non può vivere senza pensare. Come spiega Hannah Arendt, è quando si smette di pensare con la propria testa e si obbedisce ciecamente che si commette banalmente il male».

Essere ironiche aiuta?
«L’ironia ci aiuta a prendere la giusta distanza dalle cose e ad affrontare i problemi in modo creativo: è una forma di intelligenza, ama il dubbio, lo spiazzamento. È una prassi impegnativa, funziona se riesce a far scattare una riflessione, oltre alla risata e ti permette di uscire dagli stereotipi».

Un film che hai visto di recente e che ti è piaciuto?
«Smoke Sauna: I segreti della sorellanza di Anna Hints, regista estone al suo debutto dietro la macchina da presa che sceglie di raccontare una tradizione del suo Paese: un rituale durante il quale le donne di più generazioni si raccolgono per ore di confessioni condivise, avvolte nel fumo e nei vapori delle saune, In questo modo si ascoltano storie e chiacchiere di ogni genere: il racconto di una maternità sofferta, il resoconto di un aborto forzato, il trauma di uno stupro da adolescente. La cosa che colpisce di Smoke Sauna è proprio la sua forma esibita: le protagoniste sono filmate con piani ravvicinati che mettono in evidenza quei corpi nudi, anche un po’ flaccidi. Confidandosi a vicenda i loro segreti più intimi, in un percorso che porta alla condivisione profonda, di ascolto reciproco, dando vita a un momento di purificazione e di benessere del corpo e dello spirito. Un film che mi ha fatto riflettere sul rapporto che abbiamo con il nostro corpo che pensiamo invece continuamente e in modo quasi morboso di voler “aggiustare”».

Che cosa ti piace della Sabrina di oggi

Mi piace come sto vivendo il passare degli anni. Tornassi indietro mi direi: “non avere paura di invecchiare”. Poi chissà, arriverà all’improvviso il tracollo…

di Cristina Tirinzoni

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