MICI: nessuna preclusione alla gravidanza, se la malattia è in remissione

Si definiscono Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (MICI) e colpiscono in uguale percentuale sia le donne che gli uomini. Ne soffrono ben 4 milioni di persone nel mondo, 200 mila solo in Italia. Le donne sono forse più penalizzate da queste patologie che compaiono prevalentemente in età fertile, tra i 20 e i 40 anni, e rischiano di condizionare pesantemente non solo l’immagine personale, ma persino le scelte di vita, in particolare la progettualità di una gravidanza. A fare il punto su questa malattia sono stati gli specialisti intervenuti al Convegno “L’universo femminile nelle IBD (Infiammatory Bowel Disease)” che si è da poco concluso a Padova e ha rappresentato un’occasione di approfondimento, e anche di rassicurazione per i medici che curano le pazienti e devono confrontarsi quotidianamente con le paure e le ansie che queste malattie comportano. «Un’incontro sostenuto dall’Università di Padova, molto sensibile ai temi della donna», sottolinea la dottoressa Fabiana Zingone, ricercatrice presso l’UOC di Gastroenterologia dell’Azienda Ospedale Università di Padova e organizzatrice dell’evento, con lo scopo di discutere gli aspetti di queste patologie che possono impattare sin dalla giovane età sulla vita della donna».

«Si tratta di malattie croniche dell’intestino, in particolare parliamo della malattia di Crohn e della colite ulcerosa, caratterizzate da fasi attive di malattia e fasi di remissione. Nei periodi di attività della malattia i sintomi intestinali possono condizionare la vita sociale e la vita di relazione, creando disagio e imbarazzo, quindi impattare negativamente sulla qualità di vita di una persona», conferma la professoressa Fabiana Castiglione, gastroenterologa, direttrice dell’Unità operativa dipartimentale di Terapie avanzate delle MICI all’Università Federico II di Napoli, anche lei organizzatrice del Convegno. «Anche la consapevolezza che si tratta di malattie croniche, per le quali ad oggi non esiste una terapia definitiva e quindi la guarigione, può comportare l’insorgenza di ansia o depressione. I sintomi stessi, e mi riferisco in particolare alla rettorragia (perdita di sangue con le feci), caratteristica della rettocolite ulcerosa che interessa il colon, e il dolore addominale, la diarrea, la febbre che possono presentarsi nella malattia di Crohn relativamente al tratto gastrointestinale, possono generare ansia e paura. Nella malattia di Crohn l’insorgenza di complicanze, come stenosi, fistole, ascessi, può richiedere un intervento chirurgico, che costituisce un’ulteriore fonte di paura e di stress. Per tale motivo è fondamentale che si crei un buon rapporto medico-paziente per comprendere e affrontare al meglio i diversi momenti della malattia. Nella donna in particolare, a queste problematiche, si aggiunge la preoccupazione nell’affrontare e nel programmare una gravidanza per i timori di eventuali conseguenze sulla malattia stessa o sul nascituro. Il ruolo dello specialista in queste situazioni è fondamentale».

Perché queste patologie potrebbero compromettere la fertilità e una possibile gravidanza?
«Se la donna ha la malattia in fase attiva e quindi con un’infiammazione diffusa, questa potrebbe estendersi anche agli organi pelvici e in questo caso compromettere la fertilità, in particolare se sono stati necessari precedentemente anche interventi chirurgici sull’intestino», conferma la professoressa Castiglione. «Oggi però è ben evidente che, se la gravidanza viene programmata in una fase di remissione della malattia e la donna presenta un buono stato nutrizionale, fertilità e gravidanza sono preservate. Anzi la gravidanza può rappresentare un periodo felice anche per la malattia. A questo scopo è importante che la diagnosi di MICI non sia ritardata, in modo da poter intervenire precocemente con i farmaci per spegnere l’infiammazione ed evitare l’evoluzione della malattia verso complicanze. Esistono oggi farmaci molto efficaci e mirati, in grado di controllare bene l’infiammazione, se assunti precocemente. Oltre alla mesalazina, che è il farmaco antinfiammatorio fondamentale in particolare nella colite ulcerosa, e gli immunosoppressori come l’azatioprina, negli ultimi venti anni sono stati introdotti in terapia i farmaci biotecnologici che garantiscono grande efficacia e sicurezza se utilizzati in modo appropriato. Mi riferisco agli anticorpi antiTNF alfa e ai più recenti, anticorpi anti alfa4beta7 integrine (vedolizumab) e agli anticorpi anti-interleuchina 12/23 come ustekinumab. Ci sono anche altri nuovi farmaci come il tofacitinib, che appartengono alla classe delle piccole molecole e vengono assunti per bocca. Con queste terapie, somministrate per via endovenosa in ospedale, oppure sottocute o per via orale a domicilio, la malattia riesce, nella maggior parte dei casi, a essere ben controllata e la paziente può raggiungere una condizione di benessere, pur dovendosi sottoporre a controlli regolari presso lo specialista. In questo caso si può programmare serenamente una gravidanza, senza particolari timori».

È dunque importante programmare la gravidanza quando la malattia è in remissione?
«È fondamentale che lo specialista accompagni la donna nel corso della malattia e la convinca a non rinunciare alla gravidanza, come a volte purtroppo succede», aggiunge la dottoressa Fabiana Zingone. «Con questo congresso, rivolto in particolare agli specialisti gastroenterologi, abbiamo voluto dare un messaggio ben chiaro sulla possibilità di programmare una gravidanza, nonostante la malattia. È fondamentale rassicurare le donne che i farmaci utilizzati sono terapie efficaci e mirate. E soprattutto, la maggior parte di questi, si assumono durante tutta la gravidanza: alcuni farmaci si possono sospendere durante il terzo trimestre, se la malattia si è completamente stabilizzata. E non provocano alcun problema al feto, né durante l’allattamento. Sospendere queste terapie, durante la gravidanza, potrebbe invece far riacutizzare la malattia, con possibili rischi per il feto e per la mamma. Per questo la donna deve affidarsi senza timori allo specialista, che l’accompagnerà durante tutto il decorso della gravidanza, valutando le terapie più adatte e i tempi di assunzione. Con la sempre maggiore diffusione dei farmaci biologici in queste patologie, si sono risolti molti problemi come ad esempio, l’eccessivo uso di cortisone, che potrebbe causare diversi effetti collaterali se assunto per lunghi periodi, come ipertensione, diabete, osteoporosi anche grave».

Ci sono test o marcatori biologici che permettono di evidenziare se una terapia funziona?
«Senza dover ricorrere troppo spesso agli esami endoscopici (colonscopia), esiste un marcatore dell’infiammazione, rintracciabile nelle feci (calprotectina fecale) che si può dosare periodicamente ed è utile, non solo come primo approccio diagnostico in caso di sospetto di malattia, ma anche per monitorare l’efficacia dei farmaci nel controllo della malattia», conferma la dottoressa Zingone.

Abbiamo finora parlato di donne giovani, ma queste malattie potrebbero interessare anche persone avanti negli anni?
«Se più della metà dei casi riguarda persone giovani, esiste però la possibilità che la malattia insorga dopo i 50 anni», puntualizza la professoressa Castiglione. «In questi casi a maggior ragione si devono evitare farmaci come il cortisone, se non per brevi periodi di aggravamento della malattia, poiché potrebbero interferire con altre terapie già utilizzate dalle pazienti e aggravare condizioni quali il diabete o l’osteoporosi, più frequenti nella donna in menopausa. Si preferisce pertanto l’utilizzo di farmaci biologici: non sembrano interferire con altre terapie che eventualmente la donna sta assumendo magari per patologie pregresse».

Quali sono le cause della comparsa delle MICI? Un’alimentazione scorretta potrebbe essere un fattore di rischio?
«Le MICI sono malattie multifattoriali, in cui si identificano fattori genetici e ambientali», puntualizza la dottoressa Zingone. «Tra questi ultimi si riconoscono il fumo di sigaretta, la dieta occidentale ricca in grassi e povera in fibre, ma anche, ad esempio, l’abuso di antibiotici nei primi anni di vita è stato descritto come possibile fattore di rischio per le MICI. Tutti questi fattori sembrerebbero determinare un’alterazione del  microbiota intestinale che, insieme alla predisposizione genetica, può essere un elemento scatenante. Una volta ricevuta la diagnosi è consigliata una dieta sana ed equilibrata, come quella mediterranea, con eventuali accorgimenti individuali in caso di malattia attiva».

di Paola Trombetta

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