“Tumore Ovarico. Manteniamoci informate!”

Otto donne che raccontano in prima persona la loro esperienza di tumore all’ovaio attraverso altrettanti videomessaggi. E con le loro testimonianze offrono consigli e raccontano il proprio vissuto per aiutare le altre donne che stanno vivendo la stessa malattia. È l’obiettivo della Campagna “Tumore ovarico. Manteniamoci informate! Da donna a donna”, giunta alla terza edizione, ideata e realizzata da Pro Format Comunicazione e Mad Owl, in collaborazione con le associazioni ACTO, LOTO, Mai più Sole, aBRCAdabra Onlus e sponsorizzata da GSK che, per il terzo anno consecutivo, ha deciso di supportare questa iniziativa. Per visualizzare le testimonianze e la campagna, consultare il sito: www.manteniamociinformate.it. Di anno in anno aumentano le informazioni da conoscere sul tumore ovarico, uno dei più aggressivi tumori femminili, che in Italia colpisce ogni anno oltre 5.200 donne: il 70% lo riconosce tardi perché non dà sintomi specifici, a parte gonfiore addominale persistente e senso di sazietà. Il 25% dei casi è di origine genetica e dunque ereditario. E oggi esistono, nella pratica clinica, test per poter individuare le donne portatrici di queste mutazioni genetiche BRCA1 e 2 e poter attivare una sorveglianza attiva sui familiari. Non solo: la presenza di queste mutazioni può anche migliorare la risposta alle cure. Ci sono infatti farmaci, come i PARP- inibitori che rispondono meglio nelle donne con queste mutazioni. E tutto questo, negli ultimi 5 anni, ha migliorato la sopravvivenza a 5 anni dal 60 al 90% dei casi, tanto che si può addirittura parlare di cronicizzazione della malattia, se diagnosticata precocemente.

«Solo una buona conoscenza di questo tumore e dei suoi sintomi può facilitare una diagnosi tempestiva: se sintomi come sensazione di sazietà anche a stomaco vuoto, difficoltà di digestione, fitte addominali, gonfiore e tensione addominale, diarrea o stipsi improvvise sono frequenti e perdurano a lungo, occorre rivolgersi subito al proprio ginecologo per una visita e un’ecografia transvaginale e, in caso di sospetto, prendere contatti con un Centro di riferimento», puntualizza Nicoletta Cerana, Presidente Nazionale ACTO. «Diagnosticare e trattare un carcinoma ovarico all’interno di uno dei tanti Centri di eccellenza per la paziente è una garanzia di qualità e sicurezza. Il sito della nostra Associazione www.acto-italia.org contiene tutti i riferimenti utili alla donna per trovare nella propria Regione il Centro di riferimento per i tumori ginecologici più vicino alla propria residenza». Acto e GSK hanno messo a disposizione delle donne l’App Vik per sapere tutto su questo tumore (vedi banner nella Homepage di donnainsalute).

Un’altra opportunità per poter anticipare la diagnosi è legata allo studio della familiarità, in particolare alla presenza di mutazioni ereditarie come quelle BRCA 1 e 2. In circa il 25% dei casi il tumore ovarico è di origine genetico-ereditaria. Il test su tessuto (somatico) permette di sapere se una donna è portatrice o meno di una mutazione del gene BRCA ma, secondo un’indagine GSK eseguita su 50 oncologi italiani, il 40% delle pazienti risultate positive per queste mutazioni non esegue il secondo test, quello germinale, l’unico in grado di stabilirne il carattere ereditario.

«È importante ricordare che il test BRCA ha una duplice valenza: terapeutica e preventiva. I test BRCA che abbiamo a disposizione da diversi anni servono a meglio indirizzare le terapie oncologiche delle donne con tumore ovarico e anche a impostare programmi di prevenzione nei loro familiari», spiega Liliana Varesco, Medico genetista, Centro Tumori Ereditari, IRCCS Ospedale San Martino di Genova. «Nelle pazienti si esegue in primo luogo il test su tessuto (somatico), vale a dire l’analisi del tessuto tumorale, in cui si cerca la presenza delle mutazioni con l’obiettivo di scegliere la terapia più adatta. Ma le mutazioni somatiche, acquisite nel tempo, sono circoscritte solo alle cellule tumorali mentre le mutazioni ereditate sono presenti in tutte le cellule dell’individuo. Solo attraverso il test germinale, che consiste in un semplice prelievo di sangue, si può valutare se la mutazione sia presente in tutte le cellule e quindi ereditata dai genitori e trasmissibile ai figli. Per questo, in caso di positività al test somatico BRCA, andrebbe eseguito anche il test germinale in modo da attivare il sistema di prevenzione sui familiari. Si è visto che una donna malata con queste mutazioni ha in famiglia almeno 3 donne a rischio di sviluppare lo stesso tumore». In futuro agli attuali test molecolari potrà subentrare il Comprehensive Genomic Profiling, che permette di esaminare contemporaneamente molti tipi di alterazioni genetiche, offrendo un quadro complessivo del genoma tumorale.

Aumentare la conoscenza delle opportunità legate ai test genetici è sin dall’inizio uno degli obiettivi della campagna “Tumore Ovarico. Manteniamoci informate!”: «Le donne purtroppo sanno ancora troppo poco o niente sui test genetici. Solo se si entra in un percorso di malattia, allora si parla di test genetici e della possibilità di avere una mutazione BRCA 1 o 2. Ancora meno chiara la differenza tra BRCA somatico e germinale e l’importanza di sottoporsi al secondo, in caso di positività del primo per la prevenzione rispetto ai familiari», sottolinea Fabrizia Galli, Vice Presidente aBRCAdabra Onlus. «Sapere di essere portatrici di una mutazione genetica BRCA crea nella donna una reazione di paura e sgomento, seguita da sentimenti di ansia legata alla preoccupazione per i propri figli: il test BRCA germinale è l’unica risorsa per sapere se si è trasmessa la mutazione genetica ai propri figli, con i rischi che comporta, ma anche e soprattutto con l’opportunità di agire in chiave preventiva».

L’informazione su questa neoplasia è fondamentale, non solo perché al momento la clinica non dispone di screening sensibili e specifici per il tumore dell’ovaio, ma anche perché lo scenario oggi è in evoluzione, sia sul fronte della terapia che su quello della chirurgia. Una delle novità più importanti di questi anni è la possibilità per tutte le donne – con o senza mutazioni – di accedere alle terapie di mantenimento, che permettono di allontanare le ricadute dopo la chemioterapia. «Le terapie di mantenimento hanno dimostrato di migliorare la sopravvivenza libera da progressione, cioè il tempo in cui la paziente vive senza avere ritorno della malattia e non determinano un impatto negativo sulla qualità di vita», dichiara Nicoletta Colombo, Direttore Ginecologia Oncologica Medica, IEO di Milano. «I farmaci utilizzati nelle terapie di mantenimento, i PARP-inibitori, come niraparib, agiscono su un meccanismo di riparazione del DNA. Questo tipo di terapia si è dimostrato molto efficace soprattutto nelle pazienti portatrici di mutazioni genetiche BRCA 1 e 2, che predispongono all’insorgenza del tumore ovarico. Però si è visto che anche chi non ha la mutazione genetica può rispondere bene a questi farmaci e averne un beneficio. Questo è legato al fatto che circa il 50% dei carcinomi ovarici presenta un difetto del meccanismo di riparazione della doppia elica del DNA, chiamato ricombinazione omologa».

La chirurgia rimane la terapia d’elezione nella maggior parte dei casi di tumore ovarico e anche in questo campo le cose stanno cambiando verso interventi sempre meno invasivi: «Oggi si possono ridurre molto le complicanze della chirurgia per il tumore ovarico grazie a una selezione accurata delle pazienti, a trattamenti chirurgici mirati, a un’assistenza post-operatoria che è assai migliorata e, quindi, permette di intervenire avendo ridotto di molto sia la mortalità sia la morbilità», rassicura Giovanni Scambia, Ordinario di Clinica Ostetrica e Ginecologica, Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS di Roma. «La chirurgia nel tumore ovarico serve sia alla diagnosi che alla recidiva di malattia, ma è utile soprattutto per arrivare a un atto chirurgico che porti a una completa rimozione della malattia: attraverso le immagini pre-operatorie e un’attenta valutazione chirurgica, attuata in laparoscopia, possiamo capire quali sono le pazienti che possono arrivare a un residuo di malattia assente e operarle subito, mentre per le altre possiamo iniziare cicli di chemioterapia al fine di ridurre il tumore e operarle dopo».

Il supporto di un’Associazione e la relazione con lo specialista sono i punti fermi del percorso di cura, sin dalla diagnosi: «La donna soprattutto all’inizio, quando non c’è ancora la diagnosi ma c’è il sospetto, è lasciata sola, in balia delle proprie emozioni, delle paure, dei sentimenti contrastanti che si fanno strada a poco a poco e che a volte sono di ostacolo persino al racconto dei sintomi e a una diagnosi precoce», afferma Albachiara Bergamini, Presidente dell’Associazione “Mai più Sole”. «Per questo le Associazioni possono essere di grande aiuto in questa fase, ma la figura di riferimento è il proprio ginecologo con il quale la donna deve restare in contatto anche dopo la menopausa e che dovrebbe istruire le donne sui campanelli d’allarme del tumore ovarico, sulla necessità di eseguire i test genetici in caso di familiarità per tumore della mammella e dell’ovaio e anche sulla necessità di eseguire l’ecografia transvaginale almeno una volta l’anno».

In questi anni, insieme agli approcci terapeutici e diagnostici, molto è cambiato anche nell’attenzione alla qualità di vita delle pazienti: «Sono molti i fattori che possono aiutare la qualità di vita delle donne con questo tumore: il primo riguarda l’accesso a un supporto psiconcologico lungo il percorso di cura; il secondo è la cura del proprio corpo e del proprio aspetto, che rafforza l’autostima e le motivazioni necessarie per fronteggiare la malattia; terzo, l’attività fisica che aiuta in modo significativo il recupero post-operatorio», spiega Manuela Bignami, Direttore LOTO. «Non va trascurato inoltre l’impatto del tumore ovarico sulla vita di coppia: è necessario incoraggiare le donne ad aprirsi, in modo da aiutarle a superare i momenti difficili e LOTO lo fa offrendo alle pazienti, ai caregiver e alle famiglie sedute gratuite di psiconcologia con psicoterapeute esperte, e interventi specialistici per le complicanze che subentrano a causa della menopausa chirurgica».

di Paola Trombetta

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