Celiachia: basta un semplice test per scoprire l’intolleranza al glutine

Oltre 600 mila casi in Italia, di cui 2/3 sono donne: queste le diagnosi note riguardo la celiachia, malattia autoimmune accesa dall’intolleranza al glutine, una proteina del grano. Ma è solo la punta dell’iceberg, perché ci sono almeno 400 pazienti ignari di esserne portatori, per una sintomatologia lieve o per la difficoltà diagnostica che la malattia presenta. Numeri importanti e criticità, illustrati nel corso del Convegno Nazionale Celiachia e altri disordini Glutine Correlati: Update 2020, tenutosi di recente e Milano, a cui hanno partecipato oltre 550 maggiori esperti fra gastroenterologi, internisti, biologi, nutrizionisti, dietisti, psicologi e infermieri e operatori sanitari i quali, tuttavia tranquillizzano. Nonostante la celiachia sia una malattia genetica e cronica da cui non si guarisce, la “convivenza” può essere accettabile, senza cioè accusare forti contraccolpi e conseguenze.

«La malattia celiaca – spiega il Professor Maurizio Vecchi, Docente di Gastroenterologia all’Università di Milano – può essere contraddistinta da paradigmi aspecifici, confondibili cioè con altre tipologie di malattie e asintomatici, che non danno evidenti segnali. Alle prime avvisaglie sospette, come diarrea persistente e gonfiori addominali costanti, anemia e difficoltà di assorbimento delle vitamine, la prima azione corretta è recarsi da una specialista e sottoporsi al test, perché la celiachia è forse l’unica malattia che, attraverso marcatori sierologici, permette di arrivare a una diagnosi certa al 99%. L’aderenza al test rappresenta anche la migliore strategia per affrontare e scovare il sommerso, soprattutto tra gli individui geneticamente predisposti». Un traguardo reso possibile anche della ricerca scientifica, che ha radicalmente cambiato sia la fase diagnostica che di controllo della malattia celiaca e dei disordini glutine correlati, dando un segnale di risposta, efficace e necessario, all’incremento crescente dei pazienti che ne soffrono. «Il test indolore – aggiunge Luca Elli, responsabile del Centro Celiachia, Fondazione Ca’ Granda di Milano – per nulla invasivo, che si esegue sulle urine e le feci, è in grado di misurare il livello di presenza del peptide del glutine, permettendo il monitoraggio reale e costante della malattia, apportando laddove necessario le giuste correzioni terapeutiche». Infatti la gestione della patologia passa anche da azioni di controllo per prevenire danni istologici, a volte associati anche a comportamenti individuali scorretti, come ad esempio scoprire se il paziente ha assunto in modo volontario o meno sostanze proibite o se è attinente alla “cura” alimentare. Ma anche su questo fronte ci sono delle novità. «Se fino ad ora l’unica terapia disponibile per la celiachia è rappresentata dalla dieta senza glutine, oggi sono in corso ricerche per capire se sia possibile alleggerire il peso di una quotidianità alimentare rigida e di un peso economico rilevante, modificando la risposta immune dei pazienti e manipolando il glutine assunto». E, a breve, dopo i test di laboratorio dovrebbero partire le prime sperimentazioni cliniche sull’uomo.

Ricerche che sottolineano un altro aspetto rilevante: la dieta senza glutine che non è un “pass-partout”. Invece sull’argomento manca una giusta informazione, sensibilizzazione e cultura, considerando che per ogni italiano che soffre di celiachia certificata, ce ne sono almeno 30 che consumano alimenti privi di glutine senza averne bisogno, con un possibile rischio per la salute e una spesa “inutile”, pari a complessivi 105 milioni di euro. «Le intolleranze che seguono le mode – conclude Vecchi – non sono scientificamente provate e si rischia la confusione. Ci si deve invece concentrare su chi, pur non presentando marcatori genetici e sierologici attinenti la celiachia, sta male se assume cibi con glutine. Si tratta di disturbi glutine correlati, tra cui la “gluten sensitivity”, dove il limite tra quello psicologico e quello organico può essere davvero molto sottile e difficile da individuare. Un campo, compreso quello che mette in relazione l’alterazione del microbiota (flora) intestinale con l’insorgenza della celiachia, ancora tutto da esplorare e che merita più attenzione».

di Francesca Morelli

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