Le cardiologhe hanno una marcia in più

Hanno elevate competenze professionali, sono dotate di intelligenza emotiva che fa la differenza nell’empatia e nel rapporto donna medico-donna paziente, sono scrupolose nel prendersi cura dei propri assistiti, sono predisposte all’ascolto: hanno una “marcia” in più. Eppure le donne faticano ad affermarsi in posizioni dirigenziali, in qualunque settore professionale, medicina e cardiologia comprese. Con l’intento di valorizzare e “formare” la leadership femminile in cardiologia, Novartis ha promosso il corso “Reimagine Women’s Role in Cardiology”, dedicato a giovani cardiologhe, prima tappa di un percorso per rafforzare skills e soft-skills nella professione medica, valore aggiunto nella gestione e nell’aiuto al paziente con patologie cardiache.
«Una donna che si afferma professionalmente – dichiara Gaia Panina, Chief Scientific Officer Novartis Farma – vive più serenamente anche la propria vita personale, l’inserimento nella famiglia, nella società e nelle amicizie. Il raggiungimento degli obiettivi professionali è alla base di una serenità anche personale». Pensiero condiviso dalla dottoressa Nadia Aspromonte, responsabile della UOS (Unità Organizzative di Sede) Scompenso Cardiaco, Fondazione Policlinico Gemelli di Roma che abbiamo intervistato in apertura dell’evento.

Dottoressa, perché ha scelto di specializzarsi in cardiologia?
«È nata come una sfida. Controcorrente, per l’epoca, e senza appoggi, ho deciso di laurearmi in Medicina, ambito di prevalenza maschile. Esclusa la chirurgia, che non mi apparteneva per l’impegno fisico necessario a praticarla, non c’era di meglio della cardiologia per “rivaleggiare” sullo stesso piano dei maschi nel rispetto di una giusta e sana competitività, valorizzando le mie capacità intellettuali e i miei valori etici. E così ho fatto, concretizzando i miei obiettivi».

È stata ben accolta dai colleghi, ha avuto difficoltà ad affermarsi?
«Il mio carattere e le mie capacità comunicative mi hanno sempre consentito di inserirmi e di farmi apprezzare, ma ho sempre dovuto lavorare il doppio per farmi valere e poter emergere. Sempre un po’ dopo, come accade per le patologie delle donne che arrivano più tardi, rispetto agli uomini. È importante che le cose cambino, perché gli aspetti professionali migliori si concentrano tra i 30-40anni, quando ci si occupa anche della propria salute e delle proprie capacità intellettuali».

Inquadriamo la sua expertise: che cos’è lo scompenso cardiaco e quanto incide in Italia?
«È una patologia emergente, in parte per ragioni fisiopatologiche, perché lo scompenso è l’evento conclusivo di una serie di cardiopatie, in parte per “meriti” della cardiologia che è stata in grado di curare sempre meglio e sempre di più l’infarto, in parte per l’allungamento della vita media, che espone all’invecchiamento e all’indebolimento dei sistemi, compreso quello cardiovascolare, con le implicazioni che ne conseguono».

Cosa differenzia lo scompenso cardiaco nella donna rispetto all’uomo?
«Ci sono aspetti innanzitutto epidemiologici: la donna vive più a lungo ed è più a rischio di sviluppare malattie croniche; ma soprattutto ci sono aspetti clinici perché la donna arriva alla diagnosi e alla cura tardi. Tanto che lo scompenso viene spesso rilevato in donne ultra-senior, in età avanzata; spesso non viene fatta prevenzione e, complici alcune caratteristiche anatomiche come il cuore più piccolo e un aspetto circolatorio differente che “altera” le manifestazioni dello scompenso rispetto a quelle dell’uomo, spesso viene sottostimato o scambiato per altre problematiche, ad esempio respiratorie. Fattori clinici su cui pesa anche un atteggiamento culturale che spinge la donna ad occuparsi prima degli altri e non prendersi cura di sé presto e bene».

Quali sono i campanelli d’allarme da non sottovalutare?
«La donna non deve sottovalutare la familiarità, quindi la genetica, l’obesità, compreso un leggero sovrappeso, che in un contesto di infiammazione può rappresentare un fattore negativo, e i rischi associati come ipertensione e diabete.  Mentre deve curare lo stile di vita, annullando elementi sfavorevoli, in primo luogo il fumo. Attenzioni che adottate, fin dall’età di 30-40 anni, possono limitare l’esposizione a forme di cardiopatia e di scompenso anche gravi, a cui le donne sono maggiormente predisposte e per le quali al momento non esistono terapie efficaci. Dunque, nulla è da sottovalutare perché dopo, ma anche durante la fase ormonale, può esistere un rischio che non è stato adeguatamente valutato».

Come mai sono aumentate le patologie cardiovascolari nelle donne?
«C’è innanzitutto un grosso problema culturale. Se si mappa la mortalità fra uomini e donne emerge, soprattutto al Sud, un’incidenza importante di malattie cardiovascolari che supera persino i tumori della mammella. Dato che conferma la scarsa attenzione delle donne dedite ad occuparsi più degli altri che di se stesse. Bisogna fare un grosso lavoro di consapevolezza che parte dalla dottoresse, coinvolgendo le donne che hanno maggiore percezione del proprio corpo e della propria salute, ma anche i sistemi».

Che cosa vuol dire per una donna essere curata da una donna?
«C’è una bella differenza: spesso le donne non sono ascoltate dai medici uomini, “subendo” danni soprattutto dal punto di vista psicologico e “archiviando” la propria problematica. Con la componente di intelligenza emotiva e di comunicazione di una donna medico, cambia molto l’approccio della donna alla sua problematica».

di Francesca Morelli

Donne, sorvegliate speciali per il rischio di infarto

È l’infarto miocardico acuto la causa di morte principale nelle donne, con un’incidenza di decessi di circa il 12% (rispetto al 6% degli uomini). Eppure il 78% delle donne non sa che le malattie cardiovascolari mettono a repentaglio la loro vita, ancora più del tumore. È quanto emerge da un’indagine della SIC, Società Italiana di Cardiologia, che verrà presentata in questi giorni al Congresso Nazionale, in corso a Roma. A cambiare le sorti di questi numeri, ci sono però importanti innovazioni terapeutiche come le UTIC.  «Si tratta di Unità di Terapia Intensiva Coronarica, nate negli anni ‘60 per il trattamento aritmico dei pazienti con infarto miocardico, di cui oggi il 68% sono di altissima qualità (IV livello) per competenza e attrezzature d’avanguardia – spiega il professor Ciro Indolfi, presidente della SIC – cui si è aggiunto l’avvento della cardiologia interventistica e cardiochirurgia. Tutti questi fattori hanno segnato un cambiamento nel trattamento delle patologie cardiache, compreso l’infarto, meritevole di essere “curato” nelle UTIC per le implicazioni possibili, dagli esiti affatto scontati. Esiste, infatti, un alto pericolo per la vita nel corso della fase acuta, mentre i danni determinati dall’infarto possono condurre allo scompenso cardiaco, una patologia cronica molto grave caratterizzata da alterazioni della struttura e della funzionalità cardiaca e non meno importante in fatto di numeri». Spesso sottostimato o non diagnosticato, conta 600 mila casi riconosciuti, la punta di un iceberg, che potrebbe nascondere altri 3 milioni di scompensi non identificati. In Italia, una persona su 6 soffre di scompenso cardiaco, ma le cifre sono molto più alte e le manifestazioni gravi (nel 50% dei casi fatali), con un’incidenza tendente al raddoppio per ogni decade dopo i 45 anni, fino a raggiungere il 10% di nuovi casi dopo i 70 anni. Da qui la necessità di lanciare la campagna di responsabilità sociale “Ogni minuto conta”, voluta da “Il Cuore Siamo Noi – Fondazione Italiana Cuore e Circolazione Onlus” e dalla SIC, con l’obiettivo di sensibilizzare all’importanza di un intervento il più tempestivo possibile, per ridurre la mortalità dell’infarto miocardico e le serie implicazioni associate. Eventi prevenibili con corretto stile di vita, diagnosi precoce e qualità dell’intervento terapeutico, laddove necessario.  F. M.

Anche a Natale, ascolta il #ilbattitodelcuore

Non “raffreddare” l’attenzione sulla salute del cuore e mantienila “al caldo” anche in inverno, con cinque regole facili, preventive, che abbassano il rischio di eventi cardiovascolari. È questo il messaggio “natalizio”, ma non solo, della campagna #ilbattitodelcuore2019 che, per il secondo anno consecutivo, sensibilizza a mantenere il cuore in forma anche quando gli stili di vita marcerebbero in direzione opposta. Non ci sono scuse per non assecondare questo patto di salute con il cuore, perché si tratta di mettere in pratica comportamenti a costo zero, ma con altissimo valore, vitale, per il benessere dell’organo tra i più preziosi che abbiamo.

  1. La buona tavola, soprattutto quella che precede le abbuffate delle festività, deve essere sana e moderata. «A Natale – dichiara il professor Claudio Ferri, già Presidente della Società Italiana dell’Ipertensione Arteriosa (SIIA), si tende a mangiare di più. Prima delle feste è dunque corretto imparare a consumare molta verdura, frutta, comprese noci e mandorle, molto pesce, cereali integrali, aggiungendo pochissimo sale da cucina nella preparazione dei piatti, pari a una quantità inferiore a mezzo cucchiaino di caffè. Occorre poi essere sempre parsimoniosi con carne rossa, zuccheri e dolciumi».
  2. Feste movimentate, ovvero l’attività fisica resta un perenne alleato e un must anche durante i periodi più gioiosi e goderecci dell’anno. «Anche a Natale – aggiunge il professore – è bene dedicare 45 minuti del proprio tempo alla camminata veloce, che aiuta il cuore e a stare bene».
  3. Coccole mentali. A Natale facciamo un regalo non solo al corpo, ma anche alla mente. Come? Dedicandoci, soprattutto in questo periodo, a fare ciò che ci piace. «Le vacanze sono un’occasione per ridurre lo stress, scegliendo attività semplici e stimolanti come leggere, visitare un museo, scrivere o ascoltare musica. La televisione spegniamola il più possibile».
  4. Mettersi in ascolto del corpo. A partire dalle pure sensazioni fisiche e riparandoci dall’attacco di eventi esterni, a partire dal freddo. «Vestiamoci sempre a strati – raccomanda Ferri – proteggendo testa, piedi e mani. Attenzione agli spifferi d’aria, specie in presenza di disturbi cardiocircolatori».
  5. Monitorare la salute, soprattutto se si cambia altitudine. «Prima di una vacanza – conclude l’esperto – è bene fare un check della pressione arteriosa, ricordandosi, se si viaggia in Italia o all’estero, di mettere in valigia il kit di farmaci abituali e anche quelli strumentali, come l’apparecchio per la misurazione della pressione e della glicemia, in caso di diabete o i device necessari al controllo di altre problematiche in atto».  F. M.

Articoli correlati