“Vivi con il cuore”: le donne devono imparare a prendersene più cura

Si preoccupano della salute di mariti, compagni, genitori, figli, ma spesso trascurano la loro, soprattutto quella del loro cuore. Nel mese delle donne, la Campagna “Vivi con il cuore”, per riconoscere e prevenire l’infarto nella donna, è dedicata a loro, per renderle più consapevoli dei rischi di andare incontro a una patologia, come l’infarto che, dopo la menopausa, le colpisce in modo più grave rispetto agli uomini: con un decesso ogni 10 minuti, le malattie cardiovascolari e l’infarto sono il killer numero uno delle donne. All’interno del rinnovato sito web (www.viviconilcuore.it), le donne potranno trovare informazioni sulle malattie del cuore, riconoscere le differenze di genere, scoprire i sintomi dell’infarto e le specificità di genere, tanti consigli per attuare efficaci strategie salva-cuore e un semplice test per valutare il proprio stile di vita. Ma la maggioranza non è consapevole del rischio, mentre quasi l’80% degli eventi cardiaci potrebbe essere prevenuto. La raccomandazione viene dagli specialisti, riuniti al Convegno: “Infarto e malattie cardiovascolari al femminile: come vivere con il cuore”, promosso da Abbott, in collaborazione con la Società Italiana di Cardiologia, con l’obiettivo di aumentare la conoscenza delle patologie cardiovascolari e incentivare le donne ad adottare strategie salva-cuore. «Sebbene si pensi che le malattie cardiache non siano appannaggio del sesso femminile, queste sono la prima causa di morte anche nelle donne», dichiara Ciro Indolfi, Presidente della Società Italiana di Cardiologia. «La Società Italiana di Cardiologia ha tra i suoi obiettivi primari quello di promuovere il benessere delle donne, diffondere la consapevolezza del rischio cardiovascolare e incoraggiare le più efficaci strategie terapeutiche. Il messaggio importante che i cardiologi italiani vogliono diffondere riguarda anche la differenza dei sintomi dell’infarto che nelle donne sono frequentemente atipici. Campagne come “Vivi con il Cuore” hanno l’obiettivo di prevenire morti premature e permettere la migliore cura per le donne colpite da infarto».

«È importante mettere in guardia le donne che i sintomi dell’infarto sono differenti rispetto agli uomini», puntualizza la dottoressa Daniela Trabattoni, dell’Unità Operativa Cardiologica del Centro “Monzino Women”. «Se il dolore al petto e al braccio sinistro sono sintomatici di un infarto nei maschi, nelle donne la sintomatologia è spesso aspecifica, e si presenta a volte con un senso di pesantezza e bruciore allo stomaco, di inappetenza generalizzata, associati magari a mal di schiena, male ai denti e alla mandibola. Possono comparire anche sudorazione, svenimenti e capogiri. Una donna deve perciò essere allertata da questi sintomi e chiamare subito il 118: se si raggiunge un ospedale nell’arco di un’ora, il rischio di morire non arriva al 2%. Viceversa i danni al muscolo cardiaco possono diventare irreversibili. Si è visto che una donna su 3 trascura questi sintomi e impiega più di un’ora a chiamare i soccorsi: non a caso il principale fattore di mortalità per la donna è il ritardo pre-ospedaliero».

Ma quanto si conosce in generale del rischio cardiovascolare? A questo proposito Eikon Strategic Consulting ha intervistato un campione rappresentativo della popolazione italiana tra i 40 e i 70 anni, per comprendere la percezione maschile e femminile in relazione al rischio cardiovascolare. Dall’indagine emerge che, nell’immaginario collettivo, il cuore è considerato una vulnerabilità maschile, mentre il tumore un problema femminile. «Solo due donne su 10 sono consapevoli che la loro prima causa di morte sono le malattie cardiovascolari e l’infarto: sei donne su 10 indicano il tumore, mentre il 74% ritiene che le malattie cardiovascolari lo siano per gli uomini», riporta Cristina Cenci che ha coordinato l’indagine di Eikon. «Della stessa convinzione anche gli uomini: solo il 21% pensa che la prima causa di morte per le donne siano le malattie cardiovascolari. Tra gli uomini, la convinzione che il rischio di infarto sia maggiore per loro è molto forte: ben il 77% lo pensa. Il sintomo cruciale dell’infarto, il dolore toracico, è indicato da oltre il 70% degli intervistati, uomini e donne, ma meno della metà è in grado di riconoscere gli altri sintomi non specifici. La maggioranza degli intervistati (70%) vorrebbe essere informata sui rischi cardiovascolari e sulle modalità di prevenzione soprattutto dal proprio medico di base. Il 31% vorrebbe trovare informazioni anche sul web (siti, test di autovalutazione on line, informazioni scientifiche e consigli degli esperti)».  L’Oms stima che oltre tre quarti della mortalità cardiovascolare globale può essere prevenuta mediante l’attuazione di adeguate modifiche dello stile di vita e il controllo dei fattori di rischio, come ipertensione, ipercolesterolemia e il diabete che, da solo, raddoppia il rischio di una malattia coronarica. Per maggiori informazioni visita il sito www.viviconilcuore.it

 Sindrome di Takotsubo: l’infarto senza l’occlusione delle coronarie

Colpisce soprattutto le donne, anche se la mortalità per questa patologia è più frequente negli uomini. La sindrome di Takotsubo rientra in una classe di malattie cardiache, denominate MINOCA (Infarto Miocardico in Assenza di Stenosi Coronariche Ostruttive) e ha diverse cause, legate soprattutto a uno stress psico-fisico eccessivo che provoca spasmi alle coronarie, fino al totale restringimento del lume. Rientrano in questa sindrome le morti per “crepacuore”, causate da un intenso dolore, magari per la perdita di un congiunto. Se ne è parlato in occasione del recente convegno di Firenze: “Conoscere e curare il cuore”. «Un corretto iter diagnostico di queste patologie prevede test di primo livello (esame clinico, ECG, dosaggio degli enzimi che segnalano necrosi del miocardio, ecocardiogramma, coronarografia) e test di secondo livello (imaging intracoronarico, test di vasomotricità coronarica, risonanza magnetica cardiaca)», puntualizza il professor Francesco Prati, presidente della Fondazione Centro per la Lotta contro l’Infarto di Firenze e promotore del convegno fiorentino. «L’esame clinico potrebbe ad esempio indirizzare a un sospetto di miocardite (febbre, recenti infezioni compresa quella influenzale); l’elettrocardiogramma può invece far pensare alla sindrome di Takotsubo, che sarà poi confermata dalla ventricolografia. Con questi esami si possono identificare le cause di queste malattie, fondamentali per la scelta della terapia. Nello studio VIRGO, che ha preso in esame pazienti con età inferiore a 55 anni, è stata confermata la prevalenza di queste malattie nelle donne e una prognosi, a 12 mesi, simile a quella degli infarti da coronaropatia ostruttiva. La mortalità intraospedaliera è invece risultata più bassa rispetto agli infarti tradizionali».

Fibrillazione atriale e demenza: una correlazione al femminile

Anche la fibrillazione atriale (FA) è malattia tipicamente femminile: è causata da un difetto elettrico che provoca aritmie, ed è associata a un aumentato rischio di ictus e demenza. Ne hanno parlato gli specialisti intervenuti al convegno “Conoscere e curare il cuore” di Firenze. «Si sta valutando in che modo lo stato trombo-embolico, associato a fibrillazione atriale, sia responsabile degli eventi neurologici acuti, così come delle lesioni cerebrali che, sommandosi nel tempo, si traducono in un progressivo declino cognitivo», ha spiegato la professoressa Eloisa Arbustini, responsabile del Centro di Malattie Genetiche Cardiovascolari del Policlinico San Matteo di Pavia. «In realtà nella FA, c’è il rischio del distacco di microtrombi che vanno al cervello e rappresentano l’inizio di microeventi cerebrali: se ripetuti nel tempo, possono creare piccoli danni che si accumulano nella sostanza cerebrale». Un recente studio retrospettivo è stato condotto su 10.537 pazienti: i risultati hanno mostrato che i soggetti con fibrillazione atriale presentavano tassi più elevati di demenza (5.8% contro 1.6%), malattia di Alzheimer (2.8% contro 0.9%) e demenza vascolare (1.0% contro 0.2%) rispetto agli altri. È stato anche  dimostrato che la fibrillazione atriale si associa alla compromissione della memoria, indipendentemente dai segni di infarto cerebrale. Il ritardo nell’avvio della terapia anticoagulante nella fibrillazione atriale sembra associarsi a un aumentato rischio di demenza. «Per questo è fondamentale proteggere il paziente, facendogli iniziare subito la terapia», sottolinea la professoressa. «Oggi i nuovi anticoagulanti orali (NAO) consentono un migliore controllo, senza dover effettuare i ripetuti esami della coagulazione (ogni 15 giorni) che la terapia tradizionale richiedeva. Nella donna la diagnosi è più difficile: se la FA è a bassa frequenza, episodica e parossistica, la donna può non accorgersi di averla. Negli ultimi anni sono state riconosciute alcune forme genetiche, che si trasmettono dalla madre ai figli e si stanno cercando specifici marcatori genici per individuarle».

di Paola Trombetta

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