Malaria: lo strano caso di Sofia

Morire di malaria, a 4 anni, senza avere effettuato un viaggio in zone endemiche, paesi a rischio in cui le zanzare anopheles, vettore per il contagio della malattia, sono presenti in numero importante e sono infettanti. Un caso “raro”, in Italia: eppure è quanto accaduto alla piccola Sofia, balzata tragicamente alle cronache degli ultimi giorni. Lasciando molti quesiti in sospeso che abbiamo provato a chiarire con Susanna Esposito, Professore Ordinario di Pediatria Generale e Specialistica della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Perugia e Presidente dell’Associazione Mondiale per le Malattie Infettive e i Disordini Immunologici (WAidid).

È possibile confondere la malaria con un’altra patologia?
«La malaria ha una sintomatologia molto aspecifica, si presenta infatti all’esordio con febbre elevata a volte associata a dolori muscolari importanti. Manifestazioni che sono piuttosto comuni e riferibili anche a una normale infezione virale. Il sospetto che si tratti di una febbre infettiva insorge quando si presenta in persone che hanno trascorso un periodo di soggiorno, anche di breve durata, in zone a rischio in cui una specifica malattia tropicale è endemica, ovvero molto frequente tra la popolazione e generalmente sul territorio. In assenza di una vacanza o di un viaggio in queste località, nessuna tipologia di protocolli prevede la ricerca di plasmodi della malaria, nello specifico, per l’approccio a una febbre di origine sconosciuta. Nel caso della piccola Sofia, ci troviamo di fronte a un evento eccezionale poiché chi l’ha accolta e seguita fin dagli inizi non aveva elementi né contesti situazionali, per sospettare che quella febbre avesse una possibile origine malarica. Poi confermatasi tale, con l’evoluzione molto rapida, tipica della malattia soprattutto nel bambino, e il coinvolgimento cerebrale che è stato causa del decesso».

Allora, come può essere avvenuto il contagio?
«La malaria si trasmette attraverso diverse vie: tramite sangue infetto, veicolato quindi da una siringa infetta o da una trasfusione, oppure per mezzo della puntura di una zanzara, essa stessa malarica. Dovendo escludere l’ipotesi associata al sangue, l’elemento zanzara diventa cruciale nel caso di Sofia. Va detto tuttavia che dal momento in cui una zanzara punge un soggetto infetto, occorre che maturi un intervallo di circa 8-10 giorni prima che la stessa zanzara sia veicolo di malattia. Ovvero diventi infettante e possa trasmettere la malattia al nuovo soggetto, che sarà vittima del suo pungiglione. C’è inoltre un altro elemento discriminante: la tipologia della zanzara. Infatti, non tutte le specie sono in grado di trasmettere la malaria, ma soltanto quelle del genere anopheles, sono cioè escluse ad esempio le zanzare tigre o di altre famiglie. Tra le anopheles esiste anche  la “razza” branchie, potenzialmente malarica, e presente nel nostro paese, la quale resta comunque inoffensiva (non infetta) fino al momento in cui non si registrano casi di malattia specifica. Il contesto muta anche in presenza di un solo caso di malaria, in cui la puntura a un individuo infetto può indurre il parassita a replicarsi nella zanzara stessa, rendendo l’insetto fonte e causa di trasmissione della malattia a uno o più individui. L’ipotesi più attendibile sembrerebbe dunque quella che durante il ricovero di Sofia per un problema di diabete, di cui la piccola era sofferente, fossero presenti nel reparto altri bambini malarici».

Quale sarebbe stata la giusta precauzione per tutelare Sofia come anche gli altri pazienti ricoverati?
«La malaria, a differenza del tifo, non impone l’isolamento tuttavia le linee guida e raccomandazioni prevedono l’uso di zanzariere alle finestre laddove esistano infezioni trasmesse dalla zanzara, tra cui malaria o anche dengue, tanto più utili e necessarie dato che anche sul nostro territorio vi è la presenza di questi insetti che, potenzialmente, possono diffondere la malattia. Dunque, in via precauzionale e preventiva, in caso di malaria è sempre importante isolare la persona in una stanza singola e fare corretto uso di zanzariere».

Qual è, dunque, la sua spiegazione in merito al caso di Sofia?
«Riterrei che una zanzara del genera anopheles, che è un potenziale vettore della malattia, possa aver punto un soggetto già infetto, trasmettendo l’infezione con un morso successivo anche la piccola Sofia».

di Francesca Morelli

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