LA FEBBRE NEI BAMBINI: QUANDO E COME TRATTARLA

Mal di gola e d’orecchie, raffreddore, qualche linea di febbre: in questa stagione sono i sintomi più diffusi nei bambini. E troppo spesso si ricorre agli antibiotici, definiti i “farmaci della paura”(“drugs of fear”), perché somministrati nella speranza che risolvano tutti i problemi. In età pediatrica sono i farmaci più usati, spesso a sproposito, soprattutto per le infezioni respiratorie. Gli antibiotici vengono utilizzati nel 42% dei bambini sotto l’anno, nel 65% tra 2 e 5 anni, nel 41% tra 6 e 11 anni e nel 33% degli adolescenti. Lo confermano i dati presentati al Congresso di Antibioticoterapia in età pediatrica, che si è tenuto i giorni scorsi all’Hotel Executive di Milano, promosso dall’Unità di Pediatria ad Alta intensità di cura dell’Università degli Studi di Milano, in previsione della Giornata europea degli antibiotici (18 novembre). Nell’occasione sono state discusse le Linee guida sulla gestione della febbre in età pediatrica.

«Proprio la febbre è il sintomo che induce i genitori a somministrare antibiotici ai bambini, senza consultare il pediatra», fa notare Nicola Principi, presidente del Congresso e ordinario di Pediatria all’Università degli Studi di Milano. «Ma la febbre è in realtà una reazione fisiologica dell’organismo e fino a 38 °C non deve allarmare, soprattutto se il bambino non avverte malesseri o dolori. L’organismo, infatti, reagisce a un’infezione e ciò provoca la liberazione di citochine (interleuchina 1) che agiscono sui centri di termoregolazione, responsabili del rialzo della temperatura. Nella maggior parte dei casi si tratta di forme di origine virale che provocano raffreddore, sinusite, otite e si risolvono in 48-72 ore: quando la febbre supera i 38,5 °C si possono somministrare antipiretici. Se la febbre persiste e i sintomi si aggravano con tosse, affaticamento respiratorio, stanchezza, dolori muscolari, allora occorre consultare il pediatra che valuterà, in base a esami specifici, tra cui il tampone faringeo, quale terapia antibiotica sia più indicata. E’ fondamentale utilizzare l’antibiotico mirato per quei batteri che sono responsabili dell’infezione. In caso contrario si rischia di non eliminare l’infezione, di provocare resistenze e di distruggere inutilmente la flora intestinale». In quali casi la terapia antibiotica diventa invece fondamentale? «In tutti i casi di bambini con patologie croniche, che sono circa il 10% (malattie da immunodepressione, leucemia, talassemia, anemia, cardiopatie, fibrosi cistica) », risponde il professor Principi. «In questi casi gli antibiotici difendono il bambino da possibili sovra-infezioni batteriche, anche in presenza di un attacco di origine virale».

In accordo con le Linee guida sulla gestione della febbre in età pediatrica, ecco le 10 raccomandazioni che i pediatri rivolgono ai genitori per gestire correttamente la febbre nei bambini.

1. Per i bambini fino a 4 settimane si raccomanda la misurazione ascellare con termometro elettronico; per i bambini oltre le 4 settimane, si può utilizzare la misurazione ascellare con termometro elettronico o quella timpanica con termometro a infrarossi.

2. La misurazione rettale della temperatura corporea non dovrebbe essere impiegata di routine nei bambini con meno di 5 anni, a causa della sua invasività e del disagio che comporta. 

3. La misurazione orale della temperatura corporea è da evitare.

4. L’impiego di mezzi fisici per la terapia della febbre (spugnature con liquidi tiepidi, bagno, esposizione a correnti di aria fresca, applicazione di borse del ghiaccio, frizione della cute con alcol) sono generalmente sconsigliati, perché sono poco o nulla efficaci e possono addirittura peggiorare la situazione.

5. Paracetamolo e ibuprofene sono gli unici antipiretici raccomandati in età pediatrica, sono farmaci generalmente sicuri ed efficaci, a condizione che siano somministrati ai dosaggi e con la frequenza raccomandata.

6. I farmaci antipiretici devono essere impiegati nel bambino febbrile solo quando alla febbre si associ un quadro di malessere generale.

7. L’uso combinato o alternato di ibuprofene e paracetamolo non è raccomandato sulla base delle scarse evidenze scientifiche disponibili riguardo la sicurezza rispetto alla terapia con un singolo farmaco.

8. Paracetamolo o ibuprofene non devono essere utilizzati per la prevenzione delle convulsioni febbrili.

9. L’acido acetilsalicilico non è indicato in età pediatrica per il rischio di Sindrome di Reye.

10. Non è raccomandato considerare l’entità della febbre come fattore isolato per valutare il rischio di infezione batterica grave. La febbre di grado elevato può essere considerata predittiva di infezione batterica grave in particolari circostanze (per esempio nei bambini di età inferiore ai 3 mesi).

di Paola Trombetta

 

L’IMPORTANZA DEI PROBIOTICI, SOPRATTUTTO IN GRAVIDANZA

L’uso dei probiotici, in particolare Lactobacillus GG e Rheuteri, è particolarmente indicato, nei bambini e negli adulti, durante l’assunzione di antibiotici, allo scopo di proteggere la flora batterica intestinale. Diversi studi scientifici, presentati al Congresso di Antibioticoterapia di Milano, ne confermano i benefici, in particolare nella donna in gravidanza. Sarebbero infatti in grado di prevenire nel neonato, ma anche nella prima infanzia, diverse forme allergiche come riniti, asma e allergie alimentari, e/o infettive che si possono sviluppare entro i primi 7 giorni di vita, nel 3% dei casi anche in forma grave. «Studi scientifici – spiega la professoressa Susanna Esposito, presidente del Congresso e di WAidid, Associazione Mondiale per le Malattie Infettive e i Disordini Immunologici nonché direttore dell’Unità di Pediatria ad Alta Intensità di Cura del Policlinico dell’Università degli Studi di Milano – attestano che fino all’85% della flora microbica nel neonato nei primi giorni dalla nascita, ha l’esatta composizione della flora materna, nella quale si possono trovare numerosi batteri. Fra cui uno dei più temibili, causa di infezioni neonatali gravi nei Paesi industrializzati, è lo Streptococcus agalactiae (Streptococco del Gruppo B). Questo si annida nel tratto gastrointestinale e/o genitale della mamma e può venire contratto dal piccolo durante il passaggio nel canale del parto». L’infezione vaginale indotta da questo microrganismo è asintomatica nella mamma, mentre nel neonato può dare manifestazioni anche molto gravi: come sepsi e polmonite nelle forme ad esordio precoce, fino a meningite, seppure i casi siano sempre più rari. «In Italia – aggiunge la Esposito – 1/3 dei neonati, figli di donne portatrici di questo streptococco, è colonizzato al momento del parto e il 3% di essi, durante i primi 7 giorni di vita, potrebbe sviluppare un’infezione a esordio precoce». Evento che nel neonato può essere prevenuto, o comunque abbassato dal 4,7% allo 0,4%, sottoponendo la mamma portatrice a una profilassi antibiotica con ampicillina, dal momento del travaglio fino al parto. «Anche l’Enterococcus faecium L3 – conclude la professoressa – un probiotico che vive nell’intestino umano, somministrato in gravidanza, sembra essere in grado di ridurre nella mamma la positività allo Streptococcus agalactiae e, nei neonati prematuri, la frequenza di complicazioni infettive, come la diarrea da Clostridium difficile e manifestazioni dispeptiche».    

(Francesca Morelli)

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