IL GIOCO E’ CURA PER IL PICCOLO CHE AFFRONTA LA MALATTIA

Oltre 22mila bambini frequentano, ogni anno, le ludoteche dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù. C’è spazio per tutti: per i bimbi di passaggio che giungono alla struttura solo per un’analisi, per i piccoli ricoverati e per i fratellini che li vengono a trovare. Perché, sia nelle situazioni più lievi che in quelle più complesse e delicate, l’attività ludica ha un ruolo fondamentale nella “cura” dei bambini: è una parte integrante della terapia. Ne abbiamo parlato con la dottoressa Carla Carlevaris, psicologa e responsabile della ludoteca dell’Ospedale della Santa Sede.

In che modo avvicinare il bambino alla malattia e alle sue implicazioni attraverso il gioco?

«Come gli adulti, anche i bambini vanno preparati, informati e aiutati a familiarizzarsi con la malattia. Ma occorre farlo in maniera più “lieve”, con il gioco, che costella il vissuto più felice di ogni piccola creatura. Alla nostra ludoteca li avviciniamo al problema ad esempio attraverso il gioco sulle bambole per fare capire loro come avverrà una fasciatura, una ingessatura o un intervento, oppure utilizziamo dei video nei quali in modo fantasioso e adatto alla loro età, si racconta l’anestesia e cosa sta per succedere, mostrando loro anche luoghi e oggetti che poi possono toccare. A loro disposizione, per dipingere, hanno ad esempio le siringhe senz’ago da cui possono spremere il colore, piuttosto che le garze con cui possono fare un collage o una cuffietta con cui possono costruire un personaggio».

Questo serve ai bambini anche a esorcizzare la paura?

«Sì, certo. Ma la paura resta comunque una esperienza molto personale, vissuta in maniera diversa da bambino a bambino e non dipendente dall’entità della terapia o del trattamento. Ogni giorno accogliamo bambini provenienti da ogni reparto e da tutte le specialità che permangono presso il nostro spazio gioco centralizzato per periodi più o meno lunghi: ci sono bambini in attesa di una visita ambulatoriale o di un day hospital e altri ricoverati. Questo ci ha permesso di osservare che i piccoli, che entrano in ospedale per un piccolo intervento, possono essere più traumatizzati dei bambini affetti da una patologia cronica. Occorre prestare ascolto e attenzione a come il bambino attraversa l’esperienza della malattia, ma anche e soprattutto l’esperienza in ospedale deve essere vissuta nel modo più positivo possibile. Perché spesso su di loro può gravare anche lo stress sperimentato da mamma e papà o dai fratellini che collateralmente condividono questa esperienza di vita».

Quanto è importante l’approccio sereno alla malattia?

«È fondamentale perché nella fase dello sviluppo tutte le esperienze vissute vengono inconsciamente ricordate e diventano memoria fisica, psichica, sensoriale, emozionale che può riemergere anche a distanza di tempo, quando il bambino si ritroverà a vivere esperienza con caratteristiche analoghe».

I bambini che partecipano a queste attività in ludoteca reagiscono alla malattia in maniera diversa da quelli che non hanno condiviso i momenti di gioco?

«Non abbiamo ancora studi scientifici condotti a riguardo nella nostra struttura, ma molti dati osservazionali confermano il valore terapeutico del gioco. Anni fa, quindi all’apertura di questo servizio di ludoteca, abbiamo distribuito dei questionari a genitori, bambini e al personale sanitario, comprensivo di medici, infermieri e caposala, per capire quanto e in che modo queste attività ludiche avessero influito sulla cura. Ne è emersa una maggiore compliance da parte dei bambini, vale a dire che non solo venivano in ospedale più volentieri, ma anche che si sottoponevano alle cure e alle terapie più velocemente, grazie a un impatto diverso con la realtà dell’ospedale e motivati soprattutto dal desiderio di scendere a giocare in ludoteca dove potevano fare sempre cose un po’ speciali. A significare che il gioco consente al bambino anche di potere esprimere e riavviare meccanismi mentali di elaborazione dell’esperienza che tendono a bloccarsi sotto stress, aiutandolo ad attraversare e vivere meglio i momenti correlati alla malattia».

Funziona anche in situazioni importanti come durante una chemioterapia?

«Sì, anche in questi casi particolari, il gioco ha diminuito non solo il rifiuto verso il trattamento, ma anche la nausea e altri effetti collaterali. Grazie al gioco i bambini hanno pure imparato a portare fuori dall’ospedale la loro esperienza di malattia: da quanto esiste questo servizio riescono a parlare liberamente con i compagni di scuola e le maestre del motivo per il quale fanno giorni di assenza e delle cose speciali che realizzano in ludoteca, senza vergogna».

Quindi la malattia passa in secondo piano rispetto al gioco?

«È possibile dire che grazie al gioco i bambini riescono ad attraversare un’esperienza senza bloccarsi sulla parola “malattia” e vedendola a tutto tondo. La malattia, anche nel bambino, non va messa da parte, perché minimizzarla o tentare di fargliela dimenticare contribuisce solo a isolarlo nelle sue fantasie e preoccupazioni. Bisogna invece dedicare più tempo a raccontare ciò che il bambino sta attraversando e capire quanto e come vuole comunicare il suo vissuto. Il nostro compito non è quello di forzarlo a raccontare, ma di metterlo nelle condizioni di poterlo fare, restituendogli il senso di sicurezza che spesso si perde durante la malattia. Ovvero creare relazioni di fiducia in cui il bambino senta che non ci sono pressioni, ma persone affidabili che lo possono capire e ascoltare e che il mondo, che prima era in un certo modo e che improvvisamente si è trasformato, può tornare a essere un luogo sicuro».

Come racconta il bambino la sua paura e il suo dolore?

«Non è per tutti uguale. Ci sono bambini che lo fanno a parole, narrando storie che apparentemente non hanno nulla a che vedere con loro, ma che invece nascondono tanti elementi di loro stessi; altri che lo fanno metaforicamente nel disegno attraverso l’uso di particolari forme e colori. Altri ancora che sono talmente piccoli da non esser ancora in grado di esprimersi a parole e utilizzano un linguaggio non verbale. Come ad esempio l’agitazione fisica, la disorganizzazione del movimento, chiari segnali dell’immensa tensione e energia accumulata che si portano nel cuore».

Come sono organizzati questi spazi: con colori, immagini, decalcomanie?

«La nostra ludoteca è particolare: è centralizzata e ha pareti vetrate in modo da creare un filtro protettivo con l’esterno, senza tuttavia isolare da esso. Ma questo spazio è anche oscurabile con delle tende, se necessario. Per il resto lo spazio, colorato dai giochi, dai barattoli di tempera e carte variopinte, è popolato dalle creazioni dei bambini, talune tridimensionali, e dai disegni nati dalla loro fantasia talvolta legati anche alla stagionalità, che vengono appesi alle pareti trasparenti o posti su pannelli a muro. È uno spazio in cui il bambino può essere libero di dare sfogo a tutta la sua creatività. Non occorre nulla di più, per animarlo, che i nostri bambini».

di Francesca Morelli

 

UNA TAC A MISURA DI BAMBINO

L’hanno battezzata AstroTAC perché mentre esegue l’esame diagnostico, alla velocità della luce, ma consentendo la visualizzazione dettagliata di organi interni e strutture vascolari, trasporta il bambino in viaggio tra stelle, astri, pianeti e suoni. Con un importante obiettivo: quello di prevenire l’insorgenza del dolore, di ridurne al minimo la percezione e di ricorrere il meno possibile all’uso dell’anestesia, contenendo in questo modo ansia, paura e stress, sia nei bambini che nei genitori.

La TAC “spaziale” sta quasi diventando realtà presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù il cui acquisto, nell’ambito della Campagna “Ospedale senza Dolore”, è stato reso possibile anche dal supporto di Enel.
Nel rispetto del diritto alla cura senza dolore, come riconosciuto dalla Carta dei diritti dei bambini in Ospedale, presso il nosocomio pediatrico romano è stato anche attivato un ambulatorio dedicato alla terapia del dolore; le sale operatorie sono state aperte ai genitori, che possono accompagnare i bambini fino a un attimo prima dell’intervento. Ancora sono state sviluppate tecniche di chirurgia mini-invasiva che consentono di ridurre il dolore post-operatorio e la durata del ricovero; promosso il “prelievo con un sorriso”, ovvero l’insieme delle modalità per ridurre la paura nei piccoli di affrontare il prelievo di sangue, e la tecnica della “sedazione cosciente” (tramite protossido d’azoto) come alternativa all’anestesia generale. Non ultimo per l’Ospedale Bambino Gesù è stato avviato, in via sperimentale attraverso un servizio ‘app’ per smartphone e tablet, il monitoraggio e la valutazione a distanza del dolore di 800 piccoli pazienti dimessi dall’Ospedale dopo un intervento chirurgico, consentendo ai genitori e ai bambini di interagire in tempo reale con il personale sanitario.
(Francesca Morelli)

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