MALALA, UN NOBEL DALLA PARTE DELLE BAMBINE

Che splendida notizia il Nobel per la pace assegnato a Malala! Studentessa diciassettenne, Malala Yousufza è una ragazza pachistana, normalissima ma straordinariamente coraggiosa. Due anni fa venne ferita gravemente dai talebani per la sua lotta a favore dell’istruzione femminile. Finalmente il Nobel, viene da dire: era infatti candidata già nel 2013. “Nonostante la sua giovane età”, come osserva il Comitato dell’altissimo riconoscimento, da anni si batte per la libertà e il diritto delle bambine all’istruzione, sfidando la forza bruta dei talebani e i fondamentalismi, religiosi e culturali. E’ quindi la persona più giovane ad avere ricevuto il prestigioso premio (che condivide con Kailash Satyarthi, 60 anni, un attivista indiano da decenni impegnato a liberare i bambini dalla schiavitù).
“Grazie a tutti per il sostegno e l’amore. Questo premio mi rende più forte e coraggiosa”, ha detto Malala in un tweet, dopo aver ricevuto la grande notizia. “Ora voglio vedere tutti i bambini andare a scuola”. Queste le sue prime parole, mentre era in classe, a una lezione di chimica, a Birmingham. Vive infatti in Inghilterra dopo l’attentato costatole quasi la vita in Pakistan, dove i talebani volevano impedirle di andare a scuola. E zittire la sua voce di denuncia, diventata troppo scomoda per il regime. “Avevo solo due opzioni: restare in silenzio contro i tiranni e farmi ammazzare, o alzare la voce e farmi ammazzare: ho scelto la seconda”, dice Malala, un nome che significa “oppresso dal dolore”.
Nascere donna, in Pakistan è un dramma, sinonimo di disgrazia, di diritti negati, corpi violati. Donne analfabete. Donne acidificate, abbandonate a se stesse e soprattutto costrette a subire in silenzio le leggi discriminatorie dettate dagli uomini e da una cultura maschilista patriarcale supportata da credenze religiose e tradizionali che opprimono. Un lembo di terra, il Pakistan, precipitato, dopo la destituzione di Benazir Bhutto da parte della Lega Musulmana, sotto il dominio dei talebani. Per fortuna Malala cresce in una famiglia speciale: suo padre continua a ripeterle: “Tu sarai libera…”. Lei è una bambina che ama la scuola e lo studio, una passione trasmessale dal padre, preside di alcune scuole nella loro regione di origine, uno dei pochi presidi che continuano a sfidare il divieto di andare a scuola per le bambine, imposto dai talebani della valle di Swat.
Ha solo 11 anni quando Malala decide di gridare il suo desiderio di leggere e studiare. Ma è nel 2009 che inizia la sua storia eroica: un amico del padre, Abdul Hai Kakar, corrispondente radiofonico della BBC con sede a Peshawar, sta cercando un’insegnante o una studentessa che voglia scrivere un diario per raccontare la vita sotto i talebani, nello Swat. Così Malala apre il suo blog, dove sotto pseudonimo comincia a documentare lo spietato regime dei talebani pachistani. Nonostante le minacce e rischiando aggressioni armate o con l’acido, racconta i divieti imposti alle bambine e i roghi delle scuole femminili, nella Valle di Swat: «I talebani hanno proibito alle donne di studiare, ma noi ragazze di Swat non abbiamo paura di nessuno e abbiamo deciso che andremo a scuola con i libri nascosti sotto i nostri veli».
Ha solo 15 anni quando, mentre è con le sue amiche sul bus che la riportava a casa da scuola a Mingora, Malala viene colpita gravemente alla testa e alle spalle dai proiettili (che hanno ferito anche le altre ragazze che erano con lei) sparati da un miliziano talebano. E’ il 9 ottobre 2012. Volevano ucciderla. Dopo le prime cure in Pakistan, è trasportata d’urgenza in condizioni critiche a Birmingham, in Inghilterra, dove viene letteralmente riportata alla vita. Da allora ha girato tantissimo, per portare nel mondo la sua parola. “Pensavano che i proiettili potessero zittirci. Ma hanno fallito. Da quel silenzio si sono alzate migliaia di voci. Impugniamo i nostri libri e le nostre penne, che sono le nostre armi più potenti. L’istruzione è l’unica soluzione. L’istruzione è la prima cosa… È l’istruzione l’arma potente che permette alle ragazze di crescere libere e consapevoli dei propri diritti di uguaglianza”, aveva affermato a testa alta, nel suo discorso tenuto al Palazzo di Vetro dell’Onu il 12 luglio 2013, nel giorno del suo sedicesimo compleanno, rivolgendosi ai leader della terra. Era vestita di rosa, avvolta nello scialle appartenuto a Benazir Bhutto. Era stata proprio l’elezione di Benazir Bhutto, prima donna eletta come Presidente del parlamento e figlia del deposto primo ministro Zulfiqar Ali, a gettare un seme di progresso e di coraggio nella mente di tanti uomini e donne del Pakistan.
Per il suo impegno, la giovanissima pachistana l’anno scorso aveva ricevuto il Premio Sakharov per la libertà di pensiero. “Oggi mi concentro sui diritti delle donne e sull’istruzione delle ragazze, perché sono quelle che soffrono di più”, ha dichiarato. “C’è stato un tempo in cui le donne hanno chiesto agli uomini a difendere i loro diritti. Ma questa volta lo faremo da sole. Non sto dicendo che gli uomini devono smetterla di parlare dei diritti delle donne, ma il mio obiettivo è che le donne diventino indipendenti e capaci di combattere per se stesse. Le nostre parole possono cambiare il mondo”.
Assolutamente da leggere e da proporre nelle scuole (ai ragazzini che non vogliono studiare) Io sono Malala, pubblicato da Garzanti nella collana Saggi. E’ la storia, vera e avvincente come un romanzo, della sua vita coraggiosa, un inno alla tolleranza e al diritto all’istruzione di tutti i bambini. Strumento dell’emancipazione femminile e di una società più libera e giusta. “Nulla è cambiato nella mia vita, eccetto una cosa: la debolezza, la paura e la disperazione sono morte. Al loro posto sono nati la forza, l’energia e il coraggio”. Un esempio straordinario per tutti. Ovunque nel mondo. Grazie Malala! Ti siamo vicine.

di Cristina Tirinzoni

Articoli correlati