IL VOLTO UMANO DELLA CHIRURGIA ITALIANA

Ha scelto grandi occhiali, Lucia Annibali, l’ultima vittima “dell’amore” del compagno, per nascondere dal volto cicatrici, indelebili, provocate dall’acido. Anche Shabila, che vive in Nepal, ha subito lo stesso destino: un’ustione sul suo giovane viso, che non tornerà mai più quello di un tempo, per il cherosene gettatole addosso dal marito con la complicità della suocera. Lucia, in occidente, ha il coraggio di denunciare e la possibilità di accedere a strutture ospedaliere di eccellenza che con una serie di intereventi le ricostruiranno il volto. Shabila, come in un fil rouge, ha incontrato sul suo cammino una équipe di chirurghi plastici italiani, volontari, che le hanno offerto l’unica opportunità di cura per la sua pelle sfigurata, altrimenti negata. Lucia può dire grazie a chi la sta aiutando. Shabila non è capace di comunicare con quei medici stranieri per la diversità della lingua e parla loro con lo sguardo, con gli occhi che le restano, colmi di una profonda gratitudine.

Quei medici, giunti in quella terra lontana dall’Italia, appartengono a Interethnos Interplast Italy Onlus (“3i”-www.3ionlus.org), un’associazione di medici specialisti in chirurgia plastica ricostruttiva, fondata a Bologna nel 1988 da Paolo Morselli, professore alla Scuola di specializzazione in Chirurgia plastica all’Università degli Studi di Bologna, la quale funge da collegamento tra i popoli (come dice il nome, Interethnos, dell’associazione), in un’azione di solidarietà sanitaria e assistenziale. Tre “i” che da 25 anni operano, silenziosamente e gratuitamente, nei paesi più disagiati del mondo: 62 missioni umanitarie attuate in 19 paesi (Albania, Bolivia, Honduras, Bangladesh, India, Nepal, Buthan, Kurdistan, Thailandia, Cina, Tanzania, Togo, Uganda, Zambia, Perù, Tibet, Iraq, Marocco e Myanmar), a volte in condizioni sanitarie tanto critiche da richiedere da 6 a 12 mesi per l’allestimento di adeguate strutture operative per l’accoglienza e l’ospitalità, oltre 7.500 interventi soprattutto a donne martoriate da traumi e percosse provocati dall’uomo, da tumori giudicati inoperabili e diventati tanto grandi da ricoprire abbondanti parti del corpo e a bambini affetti da malformazioni del volto (labiopalatoschisi) e immobilità degli arti per esiti di ustioni mal curate o non trattate affatto.

«L’associazione – spiega il Professor Morselli – è attiva in tutti i paesi più bisognosi del mondo e senza fare distinzione di razza, sesso o religione, nel rispetto delle tradizioni culturali del luogo, rende possibile ai pazienti più disagiati l’accesso alle strutture ospedaliere rappresentando molto spesso, per loro, la sola opportunità di sopravvivenza, di guarigione e/o di ritorno a una vita normale». Svolgere una missione, in questi luoghi, non è semplice in un tempo poco superiore ai dieci-quindici giorni: eppure 3i seleziona i pazienti per i quali l’intervento chirurgico apporta un reale beneficio; mette a disposizione risorse e materiale sanitario necessario, dai ferri chirurgici ai fili di sutura, dalle apparecchiature anestesiologiche ai cerotti per le medicazioni, per consentire lo svolgimento dell’attività chirurgica in maniera autonoma, in sicurezza e con gli strumenti indispensabili per far fronte a eventuali rischi; opera in sale operatorie in cui i mezzi sono manuali – come moltissimi anni fa – e non elettronici; dilata gli orari di lavoro per aiutare e ridare una speranza al maggior numero di pazienti possibili.

«Il nostro obiettivo – commenta il dottor Giancarlo Liguori, chirurgo plastico di Torino e vicepresidente di Interplast Italy – è curare le patologie più gravi e più urgenti da un punto di vista funzionale e socialmente più importanti, alcune delle quali in questi territori costituiscono un vero e proprio fattore di emarginazione, consentendo a questi pazienti di reintegrasi nell’ambiente con la minore difficoltà possibile e riacquistare una qualità di vita». Ma la competenza professionale, di fronte a queste realtà, spesso non basta per fare fronte agli innumerevoli e inaspettati ostacoli quotidiani. «Solo una grande determinazione e una ferrea forza di volontà – dichiara la dottoressa Chiara Novelli, chirurgo plastico specialista in chirurgia della mano al Policlinico Multimedica, Ospedale S. Giuseppe di Milano che ha partecipato a diverse missioni di 3i – permettono di affrontare e portare a termine con successo questo lavoro in contesti così difficili. Determinazione che diventa ulteriore motivazione nel riscontrare la fortuna di essere nata in Italia, paese nel quale le donne hanno possibilità di realizzarsi professionalmente e di valorizzare la propria persona, in ambito familiare e lavorativo. In Bangladesh e in Sudan, invece, ho visto madri sperare nella morte delle proprie figlie pur di non saperle nuovamente vittime delle percosse o delle volontà dell’uomo». Amarezza e sofferenza ricompensate però dal forte legame umano, empatico, che si stabilisce con queste donne e madri che abbracciano stretti i loro piccoli. «Da loro, tutti noi – commenta la dottoressa Barbara Banzatti, specialista in chirurgia plastica all’Istituto Clinico Humanitas di Milano, che ha partecipato alla prima missione di Interplast in Tanzania nel 2010 – abbiamo ricevuto una immensa riconoscenza, espressa sempre in modo molto riservato e silenzioso. In occidente, anche con i miei pazienti, non ho mai provato un impatto emotivo così forte. Credo che ciascuno di noi sia rientrato da ogni missione arricchito dal punto di vista professionale ma soprattutto interiore e umano».

Anche il Dalai Lama ha riconosciuto il valore etico e socio-sanitario dell’associazione 3i con il conferimento al suo fondatore del titolo di Unsung Hero of Compassion, concesso a selezionate personalità, enti e istituzioni che si sono distinti per azioni caritatevoli al servizio del prossimo. «I premiati, 24 donne e 27 uomini di età fra i 16 e gli 85 anni provenienti da 21 diversi paesi – racconta e conclude Morselli – sono stati coinvolti, prima dell’incontro con il Dalai Lama, in una semplice, ma sublime lezione di ricerca spirituale dai diversi rappresentanti di fede religiosa, conclusasi con un semplice gesto delle mani, uno sguardo profondo diretto negli occhi tanto potente da non poter esser sostenuto a lungo, e il capo reclinato verso il basso, verso la terra, quale gesto di umiltà. Un’esperienza che lascia un segno profondo e un prezioso insegnamento di vita».

 

di Francesca Morelli

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