LE AZIENDE SONO SEMPRE PIU’ “ROSA”, MA LA MATERNITA’ LIMITA ANCORA LA CARRIERA

Negli ultimi vent’anni, il numero di donne lavoratrici in Italia è cresciuto del 22,2%, in netta controtendenza rispetto a quello maschile che invece è sceso dello 0,3%. I dati occupazionali, però, per chi decide di affrontare la maternità, sono sconfortanti, per non dire un vero deterrente. Nel nostro Paese, infatti, la percentuale di donne ancora occupate dopo il primo figlio è del 59%. Una percentuale inferiore rispetto a quella delle europee: le tedesche lavorano nel 74% dei casi, le svedesi nell’81% e le spagnole si attestano intorno al 63%. Per poter comprendere le attitudini personali verso la gravidanza e la maternità in ambito lavorativo, e valutare l’impatto che il lavoro ha sulle donne lavoratrici dipendenti, sui colleghi e sulle organizzazioni di appartenenza, è stata realizzata un’indagine ad hoc, condotta su un campione di quasi 4000 persone (di cui circa 700 finora intervistate, dipendenti di grandi aziende private).

I risultati preliminari sono stati presentati a Roma, presso il Centro Nazionale delle Ricerche (CNR), in occasione dell’evento “Donna, salute e lavoro”, promosso dai docenti dei dipartimenti di Diritto ed Economia delle Attività Produttive, di Ginecologia e Ostetricia e di Management della Sapienza Università di Roma. «I primi risultati di questa nostra indagine dicono che il ruolo della donna all’interno delle aziende sta cambiando rapidamente e, con esso, criticità un tempo sconosciute», ha dichiarato il professor Flaviano Moscarini, docente di Economia Aziendale della Sapienza. «Le aziende diventano sempre più “a trazione femminile” eppure, a un avanzamento del ruolo femminile, soprattutto nelle grandi organizzazioni produttive, non corrisponde ancora un adeguato riconoscimento della diversità biologica (che culmina nel momento della gravidanza) in ambito professionale. Dall’indagine è emerso che un confortante 90% degli intervistati (costituito per il 46% da donne, di cui il 78% con figli, e per il 54% da uomini, di cui l’81% con figli e per il 94,4% di età compresa tra i 35 e 55 anni) ritiene che la produttività della donna al lavoro non sia messa in pericolo a causa della gravidanza e solo il 16% degli intervistati crede che la gravidanza renda la donna fisicamente limitata al lavoro, lasciando spazio a un altro rassicurante 87% di intervistati che ha confermato di non aver percepito diminuite efficienza e capacità sul lavoro da parte della collega in stato di gravidanza».

In generale, da un lato l’evento gravidanza in azienda sembra essere accolto e vissuto con una certa serenità (l’87,5% delle donne ha dichiarato di aver comunicato quasi subito la notizia a colleghi e superiori, che nel 55% dei casi hanno reagito positivamente); dall’altro, il 78% degli intervistati continua a ritenere che la maternità rappresenti un limite alle opportunità di carriera di una donna e il 49% pensa che non sia conciliabile con il lavoro quando l’ambiente è molto competitivo. Altro dato da non sottovalutare è l’età sempre più avanzata della prima gravidanza. «Va detto che in Italia – ha osservato Donatella Caserta, professore ordinario di Ginecologia e Ostetricia alla Sapienza Università di Roma e presidente del Congresso – la gravidanza in età avanzata (il 34,7% delle donne partorisce dopo i 35 anni) non è dovuta solo a ragioni meramente economiche, ma è causata dalla paura della donna di essere tagliata fuori da ogni possibile progressione di carriera, avanzamento economico o di essere relegata ad anello debole della catena produttiva al suo rientro». Mancano una promozione della cultura della maternità e una maggiore tutela da parte del legislatore. Il 63% delle donne ritiene infatti poco o per niente adeguato il periodo di congedo di maternità di 5 mesi previsto dalla legge italiana, così come il 73% ritiene insufficiente la previsione di 1 giorno di congedo obbligatorio e 2 facoltativi per i padri.

«Occorre superare la cultura diffusa, che considera la gravidanza come fonte di potenziali conflittualità e giungere a una cultura realmente improntata al sostegno della gravidanza e della maternità in azienda – ha commentato Mauro Gatti, Professore Ordinario di Organizzazione Aziendale alla Sapienza Università di Roma – ciò consentirebbe alla donna di poter essere pienamente valorizzata e, all’impresa, di sfruttare appieno il patrimonio di competenze che le donne sono in grado di esprimere. Un’organizzazione basata sulla fiducia facilita e alimenta un dialogo continuo tra la donna e i vertici aziendali, permettendo la gestione di problemi lavorativi che la maternità potrebbe comportare. Per esempio – ha aggiunto Gatti – non possiamo trascurare che il 49% delle donne intervistate abbia riferito di non essere stata coinvolta dai propri superiori nelle decisioni riguardanti la propria posizione in azienda e l’organizzazione del suo lavoro per il periodo dell’assenza. Il rischio – ha concluso l’esperto – è che a un’iniziale serenità nell’affrontare e comunicare la notizia della gravidanza, subentrino timori e frustrazioni provocati dall’incertezza del proprio ruolo professionale al rientro in azienda».

di Lara Luciano

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