Depressione: solo una persona su due riceve diagnosi e cure adeguate

«L’isolamento sociale e il distacco affettivo sono state le conseguenze più gravi del disturbo bipolare che mi è stato diagnosticato nel 2009. Da allora la mia vita era piombata in un tunnel senza via d’uscita», ricorda Roberta Del Bene, oggi attiva nell’Associazione Club Itaca di Roma. «Rifiutavo persino l’aiuto dei familiari e delle persone che mi stavano accanto. Ho avuto grossi problemi anche sul lavoro e nelle relazioni affettive: ho continuato a cambiare attività e anche partner. Poi nel 2016 mi sono finalmente convinta a rivolgermi a uno specialista, superando quel senso di auto-stigma che mi teneva lontana dalla gente. E’ indispensabile accettarsi, per farsi accettare. Comunicare il proprio disagio, senza vergognarsi, è il primo passo per poterlo affrontare. In questo mi ha aiutato l’incontro con il Club Itaca di Roma, un’associazione che si occupa del reinserimento lavorativo di persone con disturbi del comportamento. Qui ho trovato un clima amichevole, direi quasi familiare. Condividere gli stessi problemi con altra gente, ti aiuta ad accettarli e a metterti in discussione per risolverli. Oggi porto il mio contributo all’Associazione, parlando con le persone che a noi si rivolgono. E il consiglio che cerco sempre di dare è di rivolgersi a uno specialista e seguire le cure prescritte, perché la depressione è una malattia cronica e come tale deve essere curata con i farmaci appropriati».

La depressione è riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come la prima causa di disabilità. In Italia la prevalenza di questa malattia è del 5,5% con oltre 3,5 milioni di pazienti. Si stima però che solo una persona su 2 riceva diagnosi e cure adeguate, e che passi più di un anno e mezzo tra comparsa dei primi sintomi e decisione di rivolgersi ad un medico e circa due anni per ricevere una diagnosi corretta. «La depressione è un tema imprescindibile quando si parla di salute, in particolare di salute della donna che ne è colpita in misura doppia rispetto all’uomo. Il nostro obiettivo è aumentare la consapevolezza della malattia per superare lo stigma, ancora radicato e cercare di indirizzare i pazienti a diagnosi e cure appropriate», puntualizza Francesca Merzagora,Presidente Fondazione Onda, Osservatorio nazionale salute della donna. Il costo sociale della depressione è molto elevato e include le spese sanitarie dirette che riguardano la diagnosi, il trattamento, la riabilitazione, l’assistenza e la prevenzione delle ricadute, che pesano sul Servizio Sanitario Nazionale per circa 5.000 euro l’anno a paziente. Sono anche rilevanti i costi del non trattamento della depressione per i risvolti legati alla perdita di produttività, che si stima essere pari a 4 miliardi di euro annui in termini di ore lavorative perse. Per questo è stato presentato presso la Camera dei Deputati il documento “Depressione: sfida del secolo – Un impegno per contrastarla in attesa di un Piano nazionale”contenente il Manifesto in 10 punti “Uscire dall’ombra della depressione”. Lo scopo? Promuovere efficaci azioni di prevenzione per un tempestivo accesso ai percorsi di diagnosi e cura, anche attraverso il potenziamento dei servizi sul territorio e attività di ricerca per individuare le misure terapeutiche più efficaci e innovative in ambito farmacologico, cognitivo e psicosociale. Il documento è promosso da Fondazione Onda, Osservatorio nazionale sulla salute della donna, con il patrocinio di Cittadinanzattiva, Progetto Itaca, SINPF, Società Italiana di Neuropsicofarmacologia, SIP, Società Italiana di Psichiatria e il contributo incondizionato di Janssen.

«Questo sforzo non può prescindere dal ruolo delle Istituzioni che stiamo coinvolgendo su questo tema», continua Merzagora. «Il Manifesto “Uscire dall’ombra della depressione” è uno strumento che auspichiamo possa rappresentare la base per la costituzione di un tavolo interparlamentare, guidato dall’onorevole Rossana Boldi, al fine di definire in tempi brevi un piano nazionale di lotta alla depressione coinvolgendo tutti gli interlocutori».

«La depressione maggiore è una malattia psichiatrica spesso non diagnosticata e non compresa nella sua gravità», commenta l’onorevole Rossana Boldi, vice Presidente Commissione Affari Sociali, Camera dei Deputati.«Compromette la vita lavorativa, sociale e affettiva di chi ne è affetto, che spesso, a causa dello stigma che ne consegue, rifiuta la diagnosi. Credo sia arrivato il momento che le Istituzioni si facciano carico in modo concreto del problema. Tre milioni e mezzo di pazienti in Italia, di cui due terzi donne, non possono più essere trascurati. Mi auguro che questo manifesto diventi la base per proposte concrete, così da definire un Piano Nazionale per la depressione e stabilire percorsi certi per la prevenzione, la diagnosi e la cura di questa patologia. Un piano che metta al centro i pazienti, le famiglie e possa cogliere la complessità di questa patologia»

Tra i 10 punti del Manifesto emerge l’importanza di non sottovalutare i campanelli di allarme, come gli stati transitori di tristezza, e rivolgersi al proprio medico di fiducia o allo specialista quando questi perdurano; ridurre i tempi della diagnosi; favorire l’aderenza terapeutica, coinvolgendo familiari e caregiver nel percorso di cura; ridurre lo stigma che c’è ancora sulla malattia e che impedisce ai pazienti e a chi sta loro accanto di chiedere aiuto attraverso una corretta informazione e sensibilizzazione. Il Manifesto italiano è in linea con il rapporto “A sustainable approach to depression: moving from words to action”recentemente presentato al Parlamento Europeo su iniziativa di una coalizione di società scientifiche e associazioni di familiari europee impegnate nella lotta alla depressione. Il rapporto, che evidenzia la gravità della depressione in Europa e le necessità di maggiori investimenti a livello politico-istituzionale, suggerisce concrete raccomandazioni su come affrontare questa malattia, basandosi su prove scientifiche, auspicando una risposta adeguata dei decisori politici.

«Anche se gli italiani non sono i più depressi della UE, la media del nostro Paese è alta: il 5,5% della popolazione soffre di depressione maggiore con una netta prevalenza al femminile»ribadisce Claudio Mencacci, Direttore DSMD – Neuroscienze ASST Fatebenefratelli-Sacco di Milano e Presidente Società Italiana di Neuropsicofarmacologia.«L’importante è riconoscerla nelle varie fasi della vita dove si nota un crescendo, dall’adolescenza (1,9%) all’età adulta (6,5%), fino al 13% negli over 65. È fondamentale un precoce riconoscimento dei sintomi e l’applicazione di appropriati percorsi terapeutici».«La depressione comporta anche un grave danno allo sviluppo e al mantenimento delle competenze lavorative, familiari, relazionali, affettive e sociali per chi ne soffre e per i caregiver»,afferma Alberto Siracusano,Direttore UOC Psichiatria e Psicologia clinica, Policlinico Tor Vergata, Roma.«Questa malattia provoca inoltre un netto peggioramento della qualità di vita, sia per la comorbidità con molte patologie mediche, sia per il rischio di suicidio, elevato tra i 20 e i 34 anni e dopo i 65, con oltre 3.600 casi di suicidio annui».

«La ricerca farmacologica è mirata a rispondere agli attuali bisogni terapeutici insoddisfatti nella cura della depressione, soprattutto per quanto riguarda i sintomi cognitivi e residui in pazienti che non rispondono ai trattamenti farmacologici tradizionali»conclude Giorgio RacagniPresidente eletto SIF, Società Italiana di Farmacologia.«La perdita di plasticità dei neuroni di specifici neurotrasmettitori costituisce un fattore cruciale nella farmacologia e patologia di questa malattia, portando all’ipotesi neurotrofica della depressione. È su questo target che si basa il meccanismo d’azione dei nuovi farmaci glutammatergici che vengono somministrati per via inalatoria e hanno dimostrato una rapida risposta clinica».

di Paola Trombetta

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