Ictus cerebrale: non c’è un minuto da perdere!

Un minuto può salvare la vita o comunque cambiarne la sorte. Almeno quando si tratta dell’ictus: ogni secondo perso nel prestare soccorso tempestivo brucia 32mila neuroni, 1,9 milioni ogni minuto, con danni irreparabili, che si traducono in disabilità permanenti. Con l’obiettivo di fare formazione al corretto riconoscimento e immediata gestione dell’evento, in occasione della Giornata Mondiale contro l’Ictus Cerebrale (29 Ottobre), A.L.I.Ce Italia Odv (Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale), promuove la Campagna di sensibilizzazione #Ogniminutoèprezioso. «L’ictus è una patologia tempo-dipendente – afferma Mauro Silvestrini, Presidente di ISA (Italian Stroke Association – Associazione Italiana Ictus) e responsabile della Clinica Neurologica Ospedali Riuniti di Ancona – e i risultati ottenibili dalle terapie disponibili (trombolisi e trombectomia meccanica) sono correlati alla precocità di intervento, entro le prime 4/6 ore al massimo, anche se recenti studi dilatano questo tempo fino a 24 ore, in casi in cui però i danni cerebrali siano circoscritti». Riconoscere i sintomi dell’ictus è dunque fondamentale: debolezza da un lato del corpo, bocca storta, difficoltà a parlare o comprendere (afasia), muovere con minor forza un braccio, una gamba o entrambi, vista sdoppiata o campo visivo ridotto, mal di testa violento e improvviso, insorgenza di uno stato confusionale, mal coordinamento dei movimenti, incapacità di stare in equilibrio. All’insorgere di questi sintomi improvvisi, occorre chiamare altrettanto tempestivamente il 112 (nelle regioni in cui è attivo il numero unico di emergenza) o il 118 per il trasferimento della persona in ospedali, possibilmente dotati di Stroke Unit, Centri Ictus altamente specializzati per la gestione della malattia, dalla fase acuta alla riabilitazione neuromotoria, che deve già iniziare nelle 48 ore successive all’attacco.

Quasi 150.000 italiani ogni anno sono colpiti da ictus e si stima che 1 persona su 4 nell’arco della vita possa esserne interessata, con maggiore probabilità se affetta da fibrillazione atriale (FA), una forma di aritmia cardiaca causa del 20% degli ictus ischemici e con un rischio 4 volte superiore per ictus tromboembolico, quest’ultimo associato a una mortalità del 30% entro i primi tre mesi dall’evento e esiti invalidanti in almeno il 50% dei pazienti. Da qui l’importanza di “intercettare” il più rapidamente possibile i pazienti con FA e stabilire una terapia anticoagulante per ridurre il rischio di ictus. Sono, invece, 913 mila gli italiani che convivono con (gli esiti) di un ictus, in assoluto la prima causa di disabilità, spesso dovuta alla mancanza di una corretta riabilitazione e alla scarsa informazione sulle possibilità di recupero oggi offerte dalle cure disponibili.

Con l’obiettivo di fare informazione e aumentare il livello di consapevolezza di pazienti, caregiver e medici specialisti sul post-ictus, ISA-AII promuovere la campagna Strike on Stroke, articolata in diverse iniziative. Tra queste due survey: una rivolta ai neurologi per capire come gli specialisti affrontano il post ictus, il percorso offerto ai malati, il loro livello di consapevolezza e le terapie che vengono proposte; la seconda indirizzata ai pazienti e per comprendere le difficoltà incontrate nel loro percorso, le paure, le angosce, i dubbi, una forte campagna social anche attraverso uno spot e talk show online. «Il post ictus è un tema trascurato nella pratica clinica e nella comunicazione – continua Silvestrini – nonostante la spasticità sia presente in circa il 19% dei casi 3 mesi dopo l’attacco e dal 17% al 38% a un anno dall’evento acuto. Solo pochi pazienti hanno accesso a trattamenti specifici: da qui la necessità di potenziale l’area di intervento su riabilitazione e qualità di vita, anche in relazione all’efficacia dei miorilassanti ad azione periferica e della tossina botulinica, considerata efficace per la spasticità di tipo focale, con possibilità di ripresa non trascurabile. I pazienti che vivono dopo un ictus presentano esiti più o meno invalidanti del danno cerebrale e per molti di loro ricevere una corretta informazione in fase riabilitativa può cambiare la situazione clinica». «Esistono ancora troppe disomogeneità territoriali nella distribuzione delle Stroke Unit– aggiunge Danilo Toni, past president di ISA-AII – bisogna invertire questa tendenza affrontando anche il tema della prevenzione primaria, che rimane uno dei capisaldi per ridurre il carico di malattia nel nostro Paese, anche attraverso una maggiore informazione tra tutti gli attori coinvolti». All’incirca l’80% di tutti gli episodi potrebbe infetti essere evitato, partendo dalla corretta individuazione delle condizioni sulle quali si può intervenire, dalle modifiche nello stile di vita – dieta corretta, attività fisica, abolizione del fumo, riduzione dell’alcool – e tenendo sotto controllo le patologie che ne possono essere causa, come il monitoraggio della pressione, ad esempio, favorito da smart-watch o dispositivi indossabili.

Francesca Morelli

 

 

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