I sintomi sono simili e possono essere confusi con altre infezioni respiratorie acute (come, ad esempio, influenza e COVID-19): tosse, starnuti, naso che cola, respiro sibilante. Potrebbe invece trattarsi di Virus Respiratorio Sinciziale (VRS), ben più “virulento” e possibile causa di complicanze importanti, soprattutto nei neonati e nei bambini, di età inferiore a 2 anni con un coinvolgimento delle basse vie aeree e con respiri brevi e poco profondi oppure rumorosi, dilatazione delle narici durante l’inspirazione, pause nella respirazione e rientranze della parete toracica, che indicano la necessità di un intervento medico urgente in quanto il quadro clinico potrebbe sfociare nella tipica bronchiolite e nelle sue complicanze, sia immediate che a lungo termine; e nei piccoli di età superiore ai 2 anni sintomi simil-influenzali, colpendo per lo più le vie aeree superiori. A questi si aggiungono anche soggetti fragili come gli over-60, in cui spesso il VRS non viene diagnosticato correttamente e persone immunocompromesse.
Il VRS, in Italia, è ad alta diffusione: si stimano circa 290 mila casi di infezione respiratoria acuta negli adulti e 1.800 decessi l’anno. Venticinquemila sono le ospedalizzazioni di bambini sotto i 5 anni per le complicanze correlate al VRS come bronchiolite e polmoniti, e circa 26 mila i ricoveri fra gli over 60. In realtà sono numeri sottostimati, perché non vengono effettuati i tamponi per individuarli. Gli anticorpi monoclonali rappresentano la terapia “gold standard”, quella più largamente utilizzata nei neonati, mentre sul fronte della prevenzione sono disponibili test specifici che aiutano a inquadrare correttamente i sintomi del VRS, senza confonderli con altre patologie respiratorie e strumenti sicuri ed efficaci come la vaccinazione. Nonostante queste opportunità, però, il vaccino contro il VRS non è ancora incluso nel Piano Nazionale di Prevenzione Vaccinale (PNPV). Inoltre è anche poco conosciuto dalla popolazione: è dunque fondamentale una corretta informazione. In occasione dell’evento “Giornalismo scientifico e comunicazione biomedica: il caso della malattia infettiva da virus respiratorio sinciziale” promosso dal Master SGP – La Scienza nella Pratica Giornalistica della Sapienza Università di Roma, con il contributo non condizionante di Pfizer, si sono confrontati i giornalisti con gli esponenti del mondo medico-scientifico, specialisti in igiene, medicina preventiva e pediatria.
Nell’occasione, abbiamo rivolto alcune domande alla professoressa Caterina Rizzo, Ordinaria di Igiene e Medicina Preventiva dell’Università di Pisa.
Cosa s’intende per Virus Respiratorio Sinciziale (VRS)?
«Il VRS è un virus che si trasmette sia per via aerea che per contatto e causa quelle che conosciamo come infezioni respiratorie acute o sindromi simil-influenzali. Come il virus dell’influenza e il SARS-CoV 2, può dare problemi gravi alle persone che hanno condizioni di rischio, come i bambini molto piccoli, i soggetti di età superiore ai 65 anni e le persone con malattie pregresse, come i diabetici, le persone obese, i soggetti con patologie cardio-vascolari, asma, malattie respiratorie croniche come la BPCO (Broncopneumopatia cronica ostruttiva). Questi soggetti, se contraggono il virus, potrebbero avere serie complicazioni».
Ha accennato alla gravità del virus: di quali proporzioni è, soprattutto nei fragili?
«Importanti, i dati disponibili mostrano come il VRS sia responsabile di un numero significativo di ospedalizzazioni e decessi, come si è accennato, con una mortalità a 30 giorni che può arrivare a 1 su 9 tra gli adulti ospedalizzati. Studi recenti dimostrano inoltre che le stime “corrette” con metodi di modellizzazione possono risultare da 2 a 6 volte più elevate rispetto a quelle basate solo su codici diagnostici o test clinici. In Italia, studi multicentrici e retrospettivi hanno evidenziato ad esempio che negli over 60 il VRS comporta un elevato utilizzo di risorse sanitarie, un forte impatto economico e una sintomatologia persistente anche a distanza di settimane. La sorveglianza delle malattie infettive svolge quindi un ruolo chiave in quanto consente di misurare il reale carico di malattia, supporta la programmazione sanitaria e l’allocazione delle risorse, guida le decisioni sulle strategie preventive e aumenta la consapevolezza del carico della malattia. Comprendere e comunicare il peso dell’RSV a tutti gli attori coinvolti è essenziale per rafforzare la prevenzione, ridurre la sottostima e tutelare le fasce più vulnerabili della popolazione».
È possibile intercettare precocemente la presenza di questo virus?
«Non sempre purtroppo viene individuato tempestivamente. Di solito, infatti, quando il paziente arriva in ospedale con sintomi respiratori, e magari ha una patologia sottostante come la BPCO, nessuno pensa di fare un tampone per il virus sinciziale. Tutti pensano sia un peggioramento della sua condizione di base e si concentrano sulla malattia e il virus potrebbe sfuggire. E questo porta a una sottodiagnosi dell’infezione. Un altro problema della mancata diagnosi è che i test a disposizione possono non essere sufficientemente sensibili per identificare il virus».
Nel caso di positività al virus, come si procede?
«In presenza di infezioni polmonari gravi, il medico è restio a fare il tampone per VRS perché, comunque, non avendo a disposizione una terapia, non può mettere in atto cure mirate. In media un caso di RSV può rimanere ricoverato anche 17 giorni, con un impatto rilevante sul Sistema Sanitario. Oltre al decadimento delle funzioni cognitive e all’incapacità di provvedere alle attività quotidiane, soprattutto sopra i 75 anni, con aggravio del peso anche per le famiglie».
Attualmente è a disposizione un vaccino per prevenire l’infezione da VRS?
« Sì. Dal 2023, nell’Unione Europea sono disponibili tre vaccini contro il virus respiratorio sinciziale (VRS): uno a mRNA e due ricombinanti a subunità proteica.
Il vaccino a mRNA è indicato esclusivamente per gli adulti di età pari o superiore a 60 anni. Dei due vaccini ricombinanti, uno è monovalente e adiuvato, contenente la proteina F del sottogruppo RSV-A nella conformazione di prefusione, ed è indicato per gli over 60. L’altro è bivalente e non adiuvato, contenente entrambe le glicoproteine F ricombinanti dei sottogruppi A e B, e ha la particolarità di essere indicato per la vaccinazione delle donne in gravidanza, al fine di proteggere il neonato nei primi mesi di vita. Entrambi i vaccini ricombinanti sfruttano la proteina F nella sua conformazione di prefusione, che induce una risposta immunitaria più efficace stimolando la produzione di anticorpi neutralizzanti capaci di bloccare il virus prima che infetti le cellule».
Perché è importante vaccinare la donna in gravidanza?
«È importante vaccinarla al terzo trimestre, in particolare nella finestra tra la 24a e la 36a settimana di gestazione, per il suo “effetto domino” in cui cioè il vaccino, in maniera indiretta, protegge i neonati fino ai 6 mesi. Ricordo inoltre che le Società scientifiche, e in particolare in Italia il Board del Calendario Vaccinale per la Vita, raccomandano la vaccinazione per i soggetti a rischio di 60-74 anni e per le persone di età pari o superiore a 75 anni, in cui l’efficacia è scientificamente dimostrata. Diversi studi, e in particolare uno pubblicato sull’importante rivista New England Journal of Medicine, mostra la capacità del vaccino bivalente nel prevenire i ricoveri, riducendo le ospedalizzazioni per malattia respiratoria da virus respiratorio sinciziale da 0.66 a 0.11 eventi per 1000 persone/anno, con un’efficacia dell’83.3%. Per le forme più gravi, che interessano il tratto respiratorio inferiore, l’efficacia è salita al 91.7%. Per il momento il vaccino contro il VRS non è rimborsato dal Sistema Sanitario Nazionale per le donne in gravidanza, a differenza di altri Paesi, come l’Inghilterra, e persino l’Argentina, dove si sono registrati incoraggianti risultati».
In funzione di queste “criticità”, qual è l’auspicio?
«La speranza è che le Istituzioni sanitarie italiane integrino quanto prima l’offerta e raccomandino il vaccino RSV per la popolazione anziana e soggetti a rischio per patologie nel calendario delle immunizzazioni offerte attivamente e gratuitamente alla popolazione. Mentre per noi clinici la sfida è quella da un lato di rafforzare la raccolta di dati epidemiologici solidi per comprendere con precisione la diffusione e l’impatto della malattia infettiva da VRS e dall’altro integrare in modo equilibrato le strategie di prevenzione disponibili, tenendo conto di tutte le popolazioni fragili a rischio di complicanze. Un approccio basato sulle evidenze scientifiche potrà fornire un contributo concreto al dibattito pubblico e istituzionale, sostenendo scelte consapevoli e mirate nella tutela della salute collettiva».
di Paola Trombetta