Nasce DicoGiovani, la fondazione che promuove la ricerca e la formazione in pediatria

Investire nei bambini significa investire nel futuro. Screening prenatali, vaccinazioni, l’educazione a stili di vita corretti, dall’alimentazione al movimento all’abolizione dei fattori di rischio, sono strumenti per la costruzione di prossime generazioni sane. Un “guadagno” per la salute dell’individuo che cresce, per la sostenibilità sanitaria e per il benessere economico del Paese. Diversi studi dimostrano, infatti, che investire in pediatria, tramite la ricerca scientifica, la formazione delle nuove leve di professionisti e la creazione di una “cultura” al vivere sano fin dai primissimi anni di vita, promuove migliore salute a livello comunitario e riduce i costi da dedicare alla sanità e fondi a supporto sensibilmente ridimensionati.

Con questo messaggio forte, molto positivo, dedicato ai bambini e ai professionisti pediatri del domani, entrambi “in crescita”, si presenta DicoGiovani, una nuova realtà nata per sostenere, promuovere e accompagnare la ricerca scientifica dei giovani in ambito pediatrico. Un progetto pensato per uniformare la formazione di oltre 400 nuove leve, pediatri sotto i 40 anni, grazie a protocolli comuni e condivisi, con particolare interesse alle novità e all’innovazione messe a disposizione dalla scienza. Un progetto che intende dare risposte concrete alle sfide ancora irrisolte nella cura dei bambini, in cui ad esempio sono in sensibile aumento le malattie croniche e a cui la medicina del presente e del futuro deve essere pronta a dare proposte e soluzioni di efficacia e di continuità, pur non trascurando la capacità di gestire casi e bisogni in emergenza-urgenza, contribuendo così a costruire percorsi virtuosi per giovani ricercatori e futuri leader della pediatria.

Come, dunque, questo nuovo contesto sta modificando il volto della professione pediatrica e quanto può contribuire la donna pediatra al cambiamento? Ne abbiamo parlato con la professoressa Franca Fagioli, Direttore della Clinica Pediatrica dell’Università degli Studi di Torino e Consigliere della Fondazione DicoGiovani.

Quale valore aggiunto può dare la donna alla medicina?
Maggiore sensibilità ed empatia, anzitutto, doti e qualità che sono insite nella donna e che a parità di contesto, ma anche di medesimo obiettivo, consente alla donna medico, rispetto al collega maschio, una visione del problema quadrangolare, con attenzione anche all’aspetto emozionale e del vissuto del paziente, tanto più prezioso in ambito pediatrico e in differenti ruoli. Sono capacità che ho potuto testare e sperimentare di persona, guidando dapprima una struttura complessa e poi una scuola di specialità, da sempre governata al maschile, e che mi hanno portato a focalizzare impegno e obiettivi su alcuni aspetti che potevano favorire una migliore qualità di vita dei miei collaboratori, come anche degli specializzandi, promuovendo valori e talenti che ho sempre ritenuto indispensabili. Come favorire e facilitare la formazione, ad esempio strutturando molte iniziative prima previste al sabato e alla domenica in infrasettimanali e come parte integrante dell’orario di lavoro, quale opportunità di crescita per le nuove leve. O, ancora, utilizzando i fondi disponibili del Dipartimento anche per l’iscrizione dei giovani a convegni o per viaggi all’estero qualora fossero parte attiva all’interno di un evento di (in)formazione. Credo fortemente nell’investimento nei giovani che spetta soprattutto alle generazioni “senior”. E non ultimo, ritengo che l’attuale disparità di genere possa essere combattuta dall’interno con un forte impegno al femminile, in qualunque ambito. Ad esempio una donna, madre di un figlio maschio e di una figlia femmina, deve riservare a entrambi lo stesso modello educativo per “uniformarli” nella opportunità e nel contesto sociale.

Queste qualità come possono essere investite in pediatria, disciplina che potenzialmente richiede maggiore empatia e sensibilità rivolgendosi a bambini e famiglie?
La maggiore empatia nasce, nel caso del mio Dipartimento, dalla strutturazione di un modello olistico, cioè di un ambiente in cui il medico cresce e si forma sapendo che soprattutto in presenza di malattie complesse, questa “qualità” va messa al servizio del paziente e dei familiari/care-giver fin dal momento della diagnosi e della comunicazione, o che è sempre richiesto uno psicologo che segua i bambini e i loro genitori, così come di un assistente sociale in grado di cogliere le necessità delle famiglie, informando poi il clinico dei bisogni reali di quel nucleo familiare. Tutti aspetti che non possono non avvalersi di empatia, soprattutto in contesti di fragilità: famiglie economicamente svantaggiate, ad esempio, i cui figli vanno seguiti nella scuola, nelle attività di tipo fisico-riabilitativo e in qualsiasi altra necessità clinico-assistenziale. Il medico in formazione sa, pertanto, che non è sufficiente conoscere solo le modalità per agire con un controllo efficace della malattia ma che deve entrare, empaticamente, in un modello globale di cura. Se saremo tutti capaci di costruire un ecosistema virtuoso, ritengo che fra qualche anno potremo assistere a un cambio della pediatria che è di fronte a nuove necessità, quali il contrasto alla crescita dei disturbi del comportamento, degli abusi, dal bullismo. Fra i bambini e gli adolescenti. È compito del pediatra non solo arginare il problema, ma anche tracciare la rotta del cambiamento.

Ha citato alcune delle grandi sfide della pediatria, a cos’altro deve essere pronta e preparata la pediatria del futuro?
L’obiettivo più impegnativo è mantenere la mission e la direzione della pediatria: una medicina preventiva, promossa tramite screening, vaccini, nuovi farmaci da applicare e sfruttare più precocemente possibile, ma anche sfruttando nuove opportunità terapeutiche come la terapia genica, il trapianto di cellule staminali ematopoietiche. Tutte opzioni di trattamento che, se non possono portare a guarigione, possono contribuire a cronicizzazione la malattia con un’ottima qualità di vita dei bambini. Un esempio che mi piace citare è che in passato piccoli pazienti oncologici, ricoverati e allettati per un mese, alla dimissione non erano più in grado di camminare, oggi grazie ai nuovi approcci “preventivi”, percorsi di riabilitazione mirati evitano il rischio di immobilità dei nostri piccoli.

In tema di ricerca pediatrica, ci sono importanti criticità: pochi fondi, mancanza di farmaci dedicati, spesso usati off label. Come potranno essere “prese in carico” anche queste sfide?
È un dato di fatto che sono scarsi i fondi investiti in ricerca pediatrica, mettendoci di fronte a un grosso problema, che spesso impone l’utilizzo di farmacia usati off label, cioè senza specifica indicazione sul bambino, ma con efficacia comprovata solo nell’adulto. Allo stato attuale, per limitare questa criticità, le Company farmaceutiche hanno l’obbligo per legge di inserire una linea di ricerca di area pediatrica, differenziata per fasce di età e genere. Pertanto ritengo che un poco alla volta anche questo obiettivo di una ricerca “personalizzata” sul bambino sarà raggiunto.

Un traguardo che potrà riguardare anche la medicina di genere?
Auspico che la stessa operazione attivata per l’area pediatrica venga riservata anche alla medicina di genere, avviando studi dedicati alla donna in cui è nota la differente risposta ai farmaci rispetto all’uomo e che siano destinate più risorse a patologie invalidanti che colpiscono solo le donne. Al pari dovranno essere sviluppati studi per patologie della bambina, con grande attenzione ad esempio all’aspetto genetico, ed in particolare agli screening genetici e alla predisposizione genetica verso alcune malattie, in ottica di prevenzione, come è nel ruolo della pediatria. Infatti, molte malattie che avranno piena manifestazione in età adulta, possono già essere individuate in età pediatrica sulla base di una serie di sintomi ed evidenze cliniche. Attualmente questo tipo di ricerca è molto costosa e i tempi di analisi e refertazione sono lunghi, ma credo che si potrà arrivare nel prossimo futuro a sviluppare sinergie e strategie per rispondere efficacemente a una riduzione dei costi e a una velocizzazione delle risposte diagnostiche.

Investire in ricerca e in ricerca pediatrica in primo luogo, significa dunque prendersi cura delle future generazioni e costruire un mondo in cui anche le malattie oggi senza soluzione possano un giorno essere curate. Ma significa anche credere nei giovani, nella loro forza, nella loro intelligenza. La Fondazione DicoGiovani vuole essere un laboratorio verso il futuro, un luogo dove idee, talenti e passione possano incontrarsi e generare cambiamento.

di Francesca Morelli

Anche la SIGENP sosterrà la ricerca pediatrica indipendente

È stata presentata a Milano la Fondazione SIGENP (Società Italiana di Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica), la prima in Italia in ambito pediatrico nata da una società scientifica con l’obiettivo di promuovere la ricerca indipendente, soprattutto in ambito gastroenterologico e di nutrizione pediatrica. Due contesti in cui vi sono ancora molti “unmet need”, problematiche in attesa di risposte diagnostiche o cliniche efficienti ed efficaci. Prioritari saranno per la Fondazione gli investimenti in ricerca e sviluppo per sanare la mancanza di famaci dedicati a questa fascia di popolazione che “obbligano” i pediatri a ricorrere a farmaci off label, basandosi su dati di efficacia e sicurezza insufficienti o assenti; o anche sostenere ricerche per patologie croniche complesse (CMC) che colpiscono un paziente su 200 in età compresa tra 0 e 16 anni, per le quali servono dati più precisi per la definizione di specifiche terapie. La ricerca indipendente potrebbe ad esempio dedicarsi a studi di farmacocinetica in terapia, studiando ciò che l’organismo fa a un farmaco, con indagini differenziate fra bambini e bambine, in cui vi sono diversità in termini metabolici dove, di recente, è stata evidenziata una diversa sensibilità dei due sensi per sensibilità all’insulina.

«Intento della Fondazione – dichiara il professor Claudio Romano, Presidente SIGENP – è riuscire a cambiare la ricerca nel nostro campo, riducendo la presenza quasi esclusiva dell’industria negli studi clinici, stimolando altre società scientifiche a intraprendere iniziative simili o ad unirsi al nostro progetto».
Sono grandi le attese legate alla neonata Fondazione: «Ritengo che possa favorire il progresso scientifico – aggiunge la professoressa Annamaria Staiano, presidente ESPGHAN (European Society for Paediatric Gastroenterology Hepatology and Nutrition) – supportando la ricerca e la collaborazione etica tra ricercatori, Istituzioni e stakeholder, finalizzata a migliorare diagnosi, terapie e percorsi di cura dei bambini affetti da patologie croniche del tratto gastrointestinale e in altri ambiti come quelli di malattie rare e degenerative, sindromi genetiche, malformazioni congenite, grave prematurità, patologie croniche o acute, insufficienza respiratoria, paralisi cerebrale, patologie neurologiche».

In queste aree di ricerca, ma non solo, un grosso contributo potrà essere dato dal passaggio della pediatria da una medicina reattiva, che poneva la diagnosi solo dopo l’insorgenza del sintomo, a una medicina predittiva e preventiva, che ne anticipa quando possibile la comparsa; e dall’ingresso delle nuove tecnologie, come la biologia dei sistemi che integra le conoscenze di genomica, proteomica e transcittomica e l’impiego di tecniche di bioinformatica o di sequenziamento di nuova generazione diventate lo “standard of care” per molte patologie croniche. Tali tecniche, grazie all’identificazione di specifiche varianti genetiche associate a fenotipi clinici, oggi è possibile stratificare meglio il paziente, quindi offrirli cure di migliore qualità, più precise e personalizzate.  F. M.

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